Ulisse Barbieri
Plauto e il suo teatro

CAPITOLO VII. Forme delle composizioni teatrali.

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CAPITOLO VII.

Forme delle composizioni teatrali.

È indubitabile che questo genere di commedia esercitò una grande influenza sullo sviluppo della letteratura romana, ma vi occorrevano totali modificazioni adatte all'indole romana a cui si faceva servire la forma greca.

Le produzioni della scuola comica di Menandro e di Filemone per quanto siano rispettabili come lavoro d'arte, e d'un arte che era sul suo principio, sono d'una tediosa monotonia. L'argomento è quasi sempre un giovane che a spese di suo padre o talora d'un lenone, vuole conquistarsi il possesso d'una bella fanciulla posta al mercato. L'intrigo che finisce colla vittoria dell'innamorato è condotto per solito mercè una trufferia pecuniaria; e lo scaltro servitore il quale procaccia l'occorrente somma per la soddisfazione del capriccio dell'amante è il perno su cui si aggira l'azione.

Non vi abbondano che le consuete considerazioni sulle gioie e sulle pene dell'amore; le separazioni con grande spargimento di lagrime, e non vi manca il solito spediente dell'amante che per ottennere uno sguardo di compassione dalla sua bella, minaccia di uccidersi.

L'amore o piuttosto gli spasimi dell'amore, erano come dicono i vecchi giudici in arte, il vero alito vitale della poesia di Menandro.

Nelle sue commedie il matrimonio ne è l'inevitabile conclusione, ed a quest'uopo per maggiore edificazione degli spettatori, si mette in luce la virtù dell'eroina se non affatto intemerata, almeno abbastanza sana e salva.

Si scopre per solito che essa è la figlia smarrita di un uomo dovizioso e quindi un buon partito sotto ogni aspetto.

Trovansi accanto a queste commedie dove tutto è amore, qualche altra produzione di genere patetico, ed è a quest'ultimo genere più che agli altri che appartengono le commedie di Plauto fra cui: La Gemena (Rudens) che tratta del naufragio e del diritto d'asilo, ed il «Trinummo ed i Captivi» che non toccano intrighi amorosi, ma dipingono la somma devozione dell'amico per l'amico, o dello schiavo pel padrone.

V'è però in esse un grave difetto ed è che le situazioni vi si ripetono all'infinito come si ripete uno stampo sopra una tappezzeria. Da per tutto vi sono ascoltatori invisibili. – Si ogni momento alle porte di casa. – Vi sono le maschere fisse di cui non si poteva fare a meno ed avevano un numero determinato.

Sono, per esempio, otto vecchioni e sette domestici fra cui il poeta era libero di fare la sua scelta.

In simili commedie bisognava sopprimere l'elemento lirico, il coro della commedia antica e limitarsi al dialogo e tutt'al più permettersi qualche recitativo.

In ogni modo mancava il brio, l'elemento politico, la vera passione, ed ogni poetica elevatezza.

Il merito di questo genere di commedia consisteva totalmente nell'occupare l'attenzione dello spettatore e si staccava un po' dalla vecchia forma perchè era trattata con maggiori dettagli e con maggior complicazione d'interesse nella favola.

C'erano dei particolari trattati con diligenza, – dell'eleganza dei dialoghi, – dell'arguzia qua e , e ciò costituiva il trionfo del poeta ed il diletto del pubblico.

Una gran parte dell'elemento comico che dava loro la vita, erano strane complicazioni con cui si accomodava il passaggio alla burla la più stravagante.

La Casina per esempio termina con vero stile Falstasffiano colla partenza dei due sposi, e col soldato acconciato da donna. In mancanza d'una vera conversazione vi sono scherzi, frottole ed enigmi.

La gran manìa del pubblico pareva quella di indovinar rebus e spiegar sciarade.

Nello Stico di Plauto sono invece trattati con verità molti vivaci caratteri di servitori, diversi amoruzzi a cui si prestano inconsci i padri, ed è nel suo genere, avuto riguardo al tempo in cui fu scritto, un buon genere di commedia.

Vi figurano bene le eleganti cortigiane le quali si presentano profumate ed adorne con vestimenta a lungo strascico di varj colori, trapuntati in oro e che si azzimano in mille foggie sulla scena.

Alla loro coda trovansi delle mezzane talvolta dell'infima classe, come la Scafa nella Mastellaria, tipo che Goethe riprodusse poi nella sua Barbara. Non vi mancano fratelli e compagnoni pronti a dar una mano all'innamorato. – Nella forma infine della commedia greca trovansi stupendi tipi che servirono poi a tutte le commedie ed a tutte le creazioni teatrali di tutti i tempi,... imitate da Plauto sino a noi. Tipi di vecchi, padri severi, avari o teneri, o debolimezzani compiacentivecchiacci innamoratiaccomodevoli zitellonivecchiarde golose come serve, che tengon sempre per la padrona contro il padrone.

Le parti dei giovani invece ci sono meno brillantemente trattate. Ma evvi però l'immancabile buffone (Parassitus) il quale in ricambio del permesso di sedere alla mensa dei ricchi, ha l'incarico di divertire gli ospiti narrando baie, motteggiando e lasciandosi motteggiare. È questo uno dei tipi meglio riusciti della commedia greca poichè in Atene quello del parassita era un vero mestiere se non è certo per una finzione poetica che vediamo questo giullare riprodursi sotto mille aspetti nelle diverse scuole teatrali.

Abbiamo cuochi che sanno acquistarsi bella fama facendo nuove salse. – Dei lenoni bugiardi dalla faccia bronzina che di gran cuore tengon mano ad ogni nefandità, tipi di cui il Ballio ce ne un modello nel Pseudolo. Nei militari spacca montagne alla foggia del Miles Gloriosus di Plauto, si personifica benissimo il governo di quei capitani di ventura... – Nella poesia Ellenica v'è infine qualche cosa di plastico, di scolpito che le altre scuole non poterono a meno di immitare.

L'unico avanzo della tragedia greca di quel tempo, parodiata, l'abbiamo nell'Anfitrione di Plauto.

In questo lavoro più che in altri spira un'aria più pura e più poetica.

Gli Dei faventi vi sono trattati con gentile ironia.

Le nobili figure del mondo eroico, gli schiavi burlescamente vigliacchi, presentano tra loro le più meravigliose antitesi, e dopo il comico svolgimento dell'azione, la nascita del figlio degli Dei fra i lampi ed i tuoni, offre un quasi grandioso effetto finale.

Fu con codesti elementi della scuola greca che Plauto formò il suo teatro. – Gli era esclusa l'originalità non solo per mancanza di libertà estetica, ma ancora perchè doveva sotto gli occhi della vigile Censura velare nomi, fatti e date!... e far credere greco apparentemente quello che realmente era romano.

Fra il gran numero delle commedie latine del sesto secolo che pervennero sino a noi, non ve n'ha una sola che non si presenti modellata sopra una commedia greca. Si esigeva dagli edili, affinchè il titolo fosse completo, l'indicazione della commedia greca ed il nome dell'autore e se come soleva avvenire ne era contestata la novità, trattavasi solo di sapere se la medesima fosse già stata prima d'allora tradotta. La scena della commedia è sempre in paese straniero; ciò era anche imposto da necessità artistiche ed il nome speciale di questo genere di commedie (Fabula Palliata) deriva appunto da ciò che la scena è fuori di Roma.

D'ordinario essa è un Atene ed i personaggi portanti il Pallio, sono greci, od almeno, non sono romani.

Persino nelle minuzie e più specialmente in quei particolari di cui anche il rozzo popolo romano sentiva chiaramente il contrasto, erano severamente osservati i costumi stranieri.

Non si pronuncia mai il nome di Roma, di romano!... e si dice per stranierobarbaro...

Dovrebbe aver un idea ben singolare dell'ingegnogrande e sì potente di un Nevio e di un Plauto, chi s'immaginasse che tutti questi capricci e ghiribizzi del poeta non dipendessero da altro che dalla impossibilità politica di completare con esattezza l'estiticità della forma.

Lo stravolgere, nella Roma dei tempi di Annibale, le relazioni sociali sino al punto di assimilarle a quelle rappresentate nella nuova commedia attica, sarebbe parsa cosa intollerabile e da punirsi come un attentato contro l'ordine e la moralità sociale.

Era ancora proibito agli autori di nominare alcuna persona vivente per lode per biasimo e così era vietata ogni compromettente allusione alle condizioni dei tempi.

In tutto il repertorio delle commedie di Plauto e dell'epoca dopo Plauto, per quanto ne dice Mattel non vi fu materia per nessuna causa d'ingiuria, e trovasi appena nelle sue commedie qualche frizzo che tocca gl'infelici capuani unito al motteggio sulla superbia e sul cattivo latino dei Prepestini32.

Nelle allusioni agli avvenimenti ed alle condizioni dell'epoca che si riscontrano nelle commedie Plautine, non ci sono che auguri per la pace e per la guerra prospera.33 Invettive contro gli accapparratori di grano e in generale contro gli usurai, contro i dissipatori, contro i brogli dei candidati, contro gli esattori delle multe, e contro i pegnoranti appaltatori dei dazi.

Una sola volta nel Circulio, si trova una lunga ed un po' pungente tirata su quanto avviene nel Foro romano. (V. p. 374) ma il poeta s'interrompe anche in questa scappata patriottica che però non usciva di riga e dice:

«Ma non sono io pazzo di pensare alla cosa pubblica?...
«Ove vi sono magistrati a cui tocca provvedere?...

Considerando la cosa nell'insieme non si può immaginare una cosa più privata e più domestica della commedia romana del sesto secolo34.

Il solo Gneo Nevio, il più antico poeta comico romano, fa una notevole eccezione. Benchè egli non scrivesse precisamente commedie romane originali, i pochi brani di quelle da esso composte sono piene di allusioni a fatti ed a persone.

Fra le altre libertà che egli si prese, non solo mise in ridicolo un certo pittore Teodato, chiamandolo per nome, ma diresse persino al vincitore di Zama i seguenti versi.

«È quello ancora che spesso colla mano compì gloriosamente grandi cose.

«Le cui gesta tuttora vivono, presso agenti ed è solo riputato!

«Fu dal proprio padre staccato dalla sua amante e ricondotto a casa col solo Pallio.

Come pure nelle parole

«Oggi festa della libertà parliamo libere parole!...

.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   . 

«Come faceste a mandare sì presto in rovina un sì possente stato?...

Dice egli in uno dei suoi prologhi, volgendo la parola alla polizia con chiare allusioni.

Ma la polizia romana non era troppo disposta a sopportare sulla scena dei rabuffi.

Nevio fu messo in prigione in grazia di questi e d'altri simili motteggi e non ne uscì fintanto che un'altra commedia non ne ebbe fatta piena ammenda.

Queste persecuzioni lo decisero ad abbandonare il proprio paese ma i suoi predecessori impararono da lui a procedere cauti.

Fu in causa di ciò che in un'epoca dove ferveva il più febbrile ecitamento nazionale, nacque un teatro senza ombra di colore politico.





32 (Bacchidi 24 – Timanno 619, Livio – 23, 20, 421).



33 (Il prologo della Cistellaria termina colle seguenti parole) si riferiscono alla guerra con Annibale...

«Così la cosa avvenne. State sani.
E come già faceste per l'addietro
Colla vera virtù vincete sempre.
Degli aleati vostri e vecchi e nuovi,
Abbiate cura e poscia distruggete.
Tutti i rubelli,
ecc.



34 Anfitrione 703, Aulul. 3, 1, 3.



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