Ulisse Barbieri
Plauto e il suo teatro

CAPITOLO X. Amore e Sfortuna.

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CAPITOLO X.

Amore e Sfortuna.

La rappresentazione del Miles Gloriosus fu un grande successo per Plauto, ad onta che Giugurta la moglie di Momus protestasse per vedervi raffigurata una sua conoscenza, vale a dire quel tal guerriero che il giovane poeta aveva incontrato nella taverna dove erasi recato per passare un'ora coi suoi comici e compagni.

Fu uno dei bei giorni per Plauto innebbriato dai plausi e dai viva della folla tumultuante. Nidia che assisteva allo spettacolo era rapita dalla spigliata fantasia del poeta il di cui frizzo pieno di sale usciva facile e continuo dalle labbra degli attori. Scambiavansi intanto ardenti occhiate e si comprendevano. Quando giunta la sera si festeggiò il lieto successo, mollemente appoggiata alla sua spalla colla bella testa, Nidia lo divorava collo sguardo.

V'era tanta voluttà in quel suo grande occhio nero di cui il giovane sentiva il fascino irresistibile, che più d'un bacio espresse alla fanciulla come nel suo cuore giovane ed ardente, vivesse una di quelle fiamme che non era così facile estinguere colla semplice autorità di Momus. Egli dichiarava però, che Nidia era sua merce e che ci teneva a conservarla per le possibili occasioni.

Momus d'altronde era così vincolato a Plauto per i buoni affari che questi aveva a lui procacciati colle sue opere, che sentivasi obbligato a lasciar correre sguardi e baci, senza darsi pensiero delle logiche conseguenze che ne venivano in seguito.

Con Momus egli erasi però fatalmente impegnato in cose a cui il teatro era affatto estraneo, e colla lusinga di concorrere al totale miglioramento della sua sorte, egli avevalo trascinato in arrischiate speculazioni.

A lui desideroso di allegri convegni e di quella vita a cui l'agiatezza promette le indipendenze della mente e del cuore, l'usurajo pose innanzi l'incantevole sogno della richezza ed avevalo infine associato alle sue speculazioni.

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Un giorno mentre egli era intento a svolgere col pensiero il modo per sciogliere Nidia dalle unghie del feroce usuraio, questi gli capitò alle spalle torvo in viso e più brutto del solito.

La sua fronte da piatta che era, mostravasi tutta grinze.

L'occhio piccolo ed infossato, mandava dei lampi sinistri... Gli si fermò dietro le spalle e stette immobile a guardarlo.

Accio si volse.

«Che hai Momus? gli chiese.

«Tristi nuove da darti, rispose egli asciutto.

«Gli edili ti ricusarono il prezzo d'una mia commedia?...

«Che edili!... ho altro pel capo che gli edili.

«Ebbene?... per gli Dei tutelari!... mi fai una certa faccia!...

«C'è, riprese l'usuraio, che siamo rovinati.

«Come?...

«Come! come!...

«Ma sì... parli o no?...

«Vuoi proprio che la dica?...

«È quello che aspetto.

«Ebbene, disse Momus... tu sognasti la ricchezza...

«Per Giove!... è una cosa che mi alletta tanto!..

«Bisogna rinunciarvi

Accio fissò in volto il mercante. La sua fisonomia non espresse che la più grave serietà.

«Cos'è successo? domandò egli.

«È successo, riprese Momus, che...

«Ebbene?...

«Che la nave dalla quale aspettavamo quel carico di lane e di perle che abbiamo commesse è naufragata.

«Naufragata!... esclamò il giovine. Un sinistro pensiero attraversò la sua mente; una vampa ne arse la fronte.

Egli afferrò l'usuraio per le braccia e convulsamente fissollo in volto.

«Non è questo forse un infame tranello inventato dalla tua ingordigia?.. gli chiese.

La fisonomia del mercante restò così impassibile sotto quello sguardo, che egli curvò il capo.

«Dunque è vero? riprese pallido in volto e scoraggiato.

«Com'è vero che io vivo.

«Chiedine se vuoi saperlo ai registri pubblici ove abbiamo iscritti i nostri affari.

Non c'era da ribattere.

La notizia era vera.

Che fare?...

Plauto si risovenne con disperazione dei tanti impegni ch'egli aveva contratti e delle spese superiori alle sue forze ed al suo stato che aveva fatte, nella speranza dei guadagni che Momus gli aveva fatti lampeggiare d'innanzi allo sguardo.

Di tanti sogni!... di tanti desiderii, più nulla!...

Tutto ritornava nel vuoto!... tutto si inabissava e gli restava soltanto una delusione!...

La fatalità lo accerchiava colle sue ferree anella – che fare?...

La sola cosa di reale che gli restava, erano i suoi debiti, e le leggi romane parlavano chiaramente su tale proposito.

.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   . 

Dopo pochi giorni, siccome ogni sventura non vien sola, come dice un vecchio proverbio; una delle sue commedie fece un fiasco solenne.

Momus scoppiò in una sfuriata terribile in cui lamentava d'averlo accolto, e d'averlo protetto mentre doveva lasciarlo, morir di fame. Plauto ribellandosi coll'animo esulcerato a quella intempestiva smanceria fatta da un uomo che aveva guadagnato colle opere sue ben più di quello che lamentava perduto, e che avevalo trascinato in speculazioni, che egli non avrebbe azzardate, acerbamente rampognò il mercante. Momus come è naturale da parte sua trovò stranissime e fuori di posto le sue tirate.

La conclusione fu che egli restava coi suoi debiti e che non sapeva come pagarli.


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