Ulisse Barbieri
Plauto e il suo teatro

CAPITOLO XIII. L'Anfitrione.

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CAPITOLO XIII.

L'Anfitrione.

L'indomani tutto fu concluso. L'Anfitrione comprato dagli edili insieme ad altri due suoi lavori, permise al giovane di gettare in faccia al Fornajo il prezzo che egli aveva sborsato per comperarlo.

Al vederlo arrivar da lui con un bello e pesante sacchetto di sesterzi, il vecchio si domandò se nella notte quel miserabile si fosse permesso di commettere qualche assassinio, e quando Plauto gli disse che dai papiri che voleva abbrucciare, ricavò tanto che gli restava ancora più del doppio di quella somma, credette di strabigliare.

Plauto non si curò gran fatto della sua sorpresa ed uscì felice di sentirsi libero e ridonato alla scena, la qual cosa quando ripensava a quello che era jeri, parevagli ancora un sogno.

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Occorrevano le feste di Saturno celebratissime in Roma, ed istituite dal favoloso re Giano dopo che Saturno scomparve dalla terra. Erano giorni di baccanale nei quali gli schiavi deponevano la marra, le schiave cessavano dai loro lavori, ed ognuno votavasi agli Dei!... Regnava in Roma sovrana assoluta l'orgia. – Durante quelle feste tutti erano liberi e ciò facevasi per rendere un omaggio all'aurea età del regno del tanto acclamato Saturno dove era tradizionale la credenza che l'uguaglianza tra servo e padrone vi regnasse senza distinzione alcuna.

Ai servi persino era concesso di comparire per le vie in abito di liberi cittadini ed erano qualche volta serviti dai padroni stessi. È bensi vero però che finite le feste riserbavansi questi il diritto di frustarli per ricordar loro come quella libertà non fosse che una burla.

Per quanto questa fosse la cruda realtà, questi brevi istanti di riposo e di baldoria erano aspettati con ansia, ed accolti con entusiasmo.

Qualche volta, persino i colpevoli erano rilasciati in libertà e nel tempio di Saturno portavano in voto le loro catene.

La città tutta non eccheggiava che d'un grido:

Io bona Saturnalia – Io bona Saturnalia!...

Si mangiava e si beveva. – Invitavansi amici, – visitavansi i parenti e scambiavansi doni. – Ai fanciulli donavansi delle figurette come si usa oggi da noi nel della Befana.

Ogni affare così pubblico che privato era sospeso – non incominciavasi guerra, davasi battaglia, infliggevansi castighi ai colpevoli.

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L'Anfitrione di Plauto fu dato in mezzo al chiasso delle feste saturnie e vi fu accolto con entusiasmo.

Egli pose con quel lavoro suggello alla sua fama e da poi le sue commedie furono salutate da tali applausi che come dice Bakr pochi furono i poeti comici che ebbero maggior fortuna.

Durò diffatti tanto tempo il teatro di Plauto sulle scene Romane, che fino al secolo di Cicerone e di Augusto si diedero molte sue commedie.

Probabilmente si continuarono ancora, giacchè a Pompei si è trovato un biglietto o (Tessara) d'ingresso per la rappresentazione della Casina35 la quale deve avere preceduto di poco la distruzione di quella città (79 d. c.).

Momus che aveva volte le spalle al povero poeta, quando la fortuna gli arrise di bel nuovo, non si lasciò troppo pregare a fargli buon viso... tanto più che egli aveva tanti sesterzi da poter comprare anche Nidia la quale non chiedeva di meglio.

Il mercante infatti gliela vendette ed Accio si trovò un bel giorno cinto il collo dalle leggiadre braccia bianche come il marmo, della cara fanciulla, che gli ripeteva con tutte le inflessioni della espansione: Ti amo!

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Al Poeta cui sorride la gloria! sorride l' amore!...

L'amore questa vita dell'anima!...

Plauto era Boeme!... come Shakspeare, come Tasso, come Goldoni!... come tutta quella infinita schiera di uomini la cui vita fu un continuo passaggio dai sogni della gloria alla realtà dei bisogni e che a palmo a palmo dovettero misurare la strada percorsa fra i mille ostacoli dell'egoismo altrui e della miseria propria, ma con un'arma invincibile, il pensiero! – con una potenza... la fede del loro ingegno!... – con una necessità nell'ordine della loro vita – il disordine!

Riguardando dietro la via corsa, pensando a quella che gli resta da compiere, correndo dietro colla mente ai mille sogni della fantasia, mi piace idearmi il poeta romano seduto sovra una delle più alte gradinate d'una basilica. Egli è rientrato da una delle porte della città, e Nidia stanca gli appoggia il capo sulle ginocchia. Essa si è addormentata pensando al suo amore!... Egli ha sentito fremere dolcemente il suo corpo... e nei loro sguardi che si sono incontrati, leggesi una infinita sensazione di contento!...

La brezza della sera aleggia intorno alla fronte dell'addormentata e passa su quella ardente del giovane.

Una dolce penombra li circonda – la luna è coperta da qualche nube, ma curiosa di vedere quel quadro, mette fuori il capo, e avvolge quei due coll'argenteo splendore del suo raggio.

Quale spettacolo imponente sta intorno al poeta, mentre egli stesso è una specie di poetica immagine che si fonde col grande e pittoresco quadro!...

Sul suo capo il cielo!... al suo fianco Nidia. Nidia! vale a dire l'amore della fanciulla colle sue estasi, l'amore della romana colle sue voluttà. – Intorno a lui Roma!... un'epopea di memorie!... la grande anima del mondo... la stupenda figura dell'arte...

Roma dalla rupe Tarpea al Campidolglio... dagli archi di Tito alle colonne di Trajano. Dal tempio di Giano a quello di Vesta!... dal foro d'Augusto a quello di Giulio... dai Rostri alla via Sacra... da Scipione a Cesare... da Fidia a Michelangelo...

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Secondo le accurate indagini di Ritschl De aetat Plauti il poeta sarebbe morto nel 569 di Roma e la sua nascita cadrebbe nel principio del sesto secolo.

Gelio ne l'epitaffio da Plauto stesso composto.





35 Vedi RomanelliViaggio a Pompei I. p. 216 (Cf. Orell. Inger. cali. I N. 2539).



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