Ulisse Barbieri
Poesie varie

NORENI BALLATA

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NORENI

 

BALLATA

 

Armi! armi! in man del forte

Sia la spada, od il pugnal,

Non risponda che la morte

Al nemico che si assal.

Armi! armi! O mia Noreni,

Vedi l'empio Mussulman?

Non invan su lui baleni

Il mio fido Jatagan.

Io trascorro il piano e il monte,

Tu difendi il nostro Ostel.

Su!... le ciglia a mirar pronte,

Bella!... impugna il tuo coltel.

Già corruscano gli acciari,

Già di sangue fuma il pian,

Su!... slanciamoci del pari

O mio fido Jatagan!...

 

Sì, disse: e balzato sul dorso al corsiero

Fra un nembo di polve si slancia, e dispar;

E a lei che lo segue pel torto sentiero

Rassembra una vela perduta nel mar.

Più nulla si scorge, ma in cor gli rimbomba

L'estrema parola che il labbro parlò.

È vile chi trema fra l'onta e la tomba!

È vile chi al grido di Patria mancò!

 

Vola! Vola! mio fido Morello!...

Su!... mi porta ove ferve la mischia!...

Ecco! vedi l'orrendo macello?

Ve' la palla che accanto mi fischia,

Ve' il nitrito di cento cavalli,

E il lamento del gramo che muor.

S'alza un suon dalle amene convalli,

Dio, Patria e un altar han nel cor.

Montenegro!... Maometto! ... i due gridi

Con un urlo di rabbia feroce,

Si distendon per barbari lidi,

Cozza il ferro, si perde la voce,

E com'ombra tra il lampo ed il tuono

Degl'ignivomi bronzi, talor

Allegrato al terribile suono

Passa il forte sul suo corridor.

 

Noreni, aspetta: già la notte scende

Di procella foriera, e mugge il vento

Che per l'immenso piano si distende.

Mentre l'Upupa in tuono di lamento

Il mesto strido innalza a cui risponde

Talora il cupo mormorar dell'onda.

È cessata la zuffa, eppur funèbre

Regna un silenzio che t'agghiaccia il cor,

E in mezzo a quelle cupe, alte tenèbre

Veglia Noreni presso un uom che muor.

 

Un tuo bacio, o mia diletta!...

Anco un altro... estremo ei sia.

T'ho fremente al seno stretta,

T'ha chiamata il labbro, mia!

La tua lagrima sincera

Sulla guancia mi scendè,

Sorvenuta è la mia sera,

Un mattin sarò con te.

A me dolce è questo letto,

Che mi cinge al crin la palma,

Ei un santo affetto

Onde altera andò quest'alma,

Né mi mesce collo sciame

Che fra il gaudio può scordar,

Che una voce grida infame

Chi calpesta il patrio altar!...

 

Ei più non disse: al sussultante petto

Noreni lo serrò. Le torve luci

Nelle immote di lui, fisse, baciollo;

E delirante quasi agli atti, al volto,

Più e più volte dal suol levollo, e lento

Il depose, dippoi sovra l'esangue

Spoglia curvossi, le pallide labbra

Bisbigliar rotti accenti. (Oh quai si furo...)

Formolli amore, e gli erano tributo.

Poi si rizzò. Dalle avvampanti ciglia

Guizzò un balen, alzò la fronte al cielo

E sparve. Bella intanto sorridea,

La notte, e in armonioso accordo, liete

Carolavan le stelle. Un'aura lene

Incalzava pei vasti aerei campi

Qualche errabonda nube, e somigliante

Al sospiro amoroso di due cuori

Nel casto bacio dell'estremo addio.

In fra le fronde del vetusto pino

Sussurrava, ove il passero discioglie

L'armoniosa nota e par saluti

Il sorridente sorger dell'aurora.

 

Ma qual grido d'intorno s'eleva?

Passa un'ombra... l'inseguono mille,

Quai dal cener rideste faville

Splendon brandi, s'accalcan guerrier.

Morte! morte! vendetta! a cavallo!

In disordin s'accozzan tai detti,

E lo scoppio di cento moschetti

Iterato risponde a quel suon.

Turbinosa una turba, s'avventa

Dietro un'ombra che innanzi le va;

Né quel grido di morte paventa,

Che nel cor santa fede gli sta!...

 

Lo scalpito cessa dell'ugne frementi,

S'arrestan sbuffando cavalli e guerrier,

Innanzi a lor sguardi feroci ed intenti

Quell'ombra disparve, né più san veder...

Ma sorge un tugurio, nel fondo al sentiero

Che corser veloci seguendola ognor

E a lato alla soglia, un teschio, un cimiero

Infitto ad un'asta presentasi a lor.

Un urlo di rabbia dai petti s'emette,

Sia tratta l'infame! sia tratta a morir!

Che scorgon trofeo di giusta vendetta

La testa recisa dell'empio Visir.

 

Dai vili ladroni già violasi il tetto,

Già fremono sangue que' barbari artigli,

Ah, no! Ma non fia che liberi figli

Di libero suolo, s'insultin da lor!...

Innanzi ai lor passi gigante barriera

Con furia crescente la fiamma s'innalza,

L'investe la brezza, più serpe ed incalza,

Divora il tugurio che scroscia e dispar.

E in mezzo alle mille sue lingue struggenti

Noreni comparve, sorrise e spirò.

E martire altera, maestra alle genti,

Siccome s'attenga una fede! insegnò.


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