Ulisse Barbieri
Poesie varie

UN SOSPIRO FANTASIA

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UN SOSPIRO 

FANTASIA

 

Ecco già della notte il negro manto

Sul Creato si stende, e l'assopita

Famiglia che di fa altera pompa

Sotto l'astro diurno, e sfavillante

Mostra le ricche sue messi fiorite,

Nel funereo lenzuolo della notte

Tutta s'avvolge e calma si riposa

Per sorgere il diman più lieta e bella.

Più lieta e bella!.. Ahi! l'innocente pure

S'addormì tante volte, e col domani

Quanto era vita del pensier disparve!

Fragile troppo è la volubil ruota

Onde la gioja intorno a folleggia;

E dal riso al dolore è breve il tratto.

Sperde un istante solo il caro frutto

D'assidua lena, il fanciullin che ride

Pensa più adulto, e piange, e a quello impreca

Che jeri accarezzò. Di quanto male

Un sol istante è causa!... Un'ora d'odio,

Un momento di fede, un d'amore

Del disinganno nei dischiusi gorghi

Le pie menzogne della vita avvolge,

Tutto distrugge, e lo sparito raggio

Che l'anima allegrò più non ritorna.

Giorni felici della prima etade

Oh perché mai sì rapidi scorreste?

Allora ch'io leggiadro fanciulletto

Al soave spirar d'amica brezza

Sovra la tiepid'erba saltellante

Che di mille color smaltava i prati,

Con ingenuo sorriso, al ciel volgendo

L'attonite pupille, arcana voce

Mi scendeva nel core, e il labbro muto

Una prece scioglieva, ed avea fede!...

Ahi!... Mi s'offriva al guardo il variopinto

Fiore, che inaffia la rugiada, ingemma

Il sol nascente, e al molle aere affida

Il suo fragrante olezzo. M'era ignoto

Allor che la cicuta e le ben mille

Altre piante venefiche i lor fiori

Hanno pur elle, e bella mostra al guardo

Fanno siccome spesso l'apparenza

Vela l'abisso dell'umano core.

Allor che volteggiava gorgheggiando

Negli spazj l'allodola, e da mite

Auretta scosse eran le fronde; lieto

Io sorrideva, e dell'augello il canto,

Il mormorare del ruscel, nell'alma

Mi scendeva siccome un'armoniosa

Nota d'amor che del creato intessa

La catena sublime al guardo offerta.

Ma non sapeva allor che si converte

In torbido aquilon la mite brezza,

Che il rio mormoreggiante della valle

Al margine fangoso, ed alle falde

D'un clivo; al fiume, indi da quello al

Mette per varie vie, sì che s'affaccia

Imponente allo sguardo, e il marinajo

A sfidarlo s'avezza. Tale ovunque

È il contrasto fatale della vita,

Che ridente incomincia e sol d'affanni

Apportatrice nel suo corso incede.

Oh perché mai dal nulla s'evocaro

Simulacri giganti, e dal delirio

Delle menti sacrati, fieramente

Sovra il lor piedestallo si rizzaro,

A cui dinanzi l'uom prostrossi: e cieco

A stolte larve, ed a strani capricci

Diede nome di leggi! E scogli eterni

Contro cui sanguinante il cor si frange,

Stanno; Ministre di giustizia, forse...

Ma in che mi addentro mai?... e il sogno ardente

Sull'ali d'altro sogno mi trasporta?...

Di fede, di virtù, perché ragiono?

Di pace, di candor che vo sperando

Ove l'uomo comanda e sull'altr'uomo,

Frate e fratel non più, ma servo e prence

Tende la destra, e con un pie' lo calca

Nel fango donde ei pur sortìa la vita?...

Muta incede la notte e sovra i capi

Che nel sonno riposan; sol riposo

Dato al mortale nel feral tragitto

Del rabido Oceàn che vita ha nome,

Mille gemme scintillan sorridenti

E percorron gli spazj; quali immote

Adornano la volta portentosa

Che alla mente nasconde il suo segreto,

E dal travaglio stanco del pensiero

Anch'io mi v'addormento. Realtade

Colle sue cupe immagini dal guardo

Fugge veloce, ed alla mente brilla

Il leggiadro mattino della vita,

Quelle care menzogne onde s'intesse

Di vergini illusioni il primo sogno

Del pensiero, ove lieto si trastulla

Quando scorda il passato, nel presente

S'immerge baldanzoso, e del futuro

Disprezza i misteriosi avvolgimenti.

Addio dolci e soavi rimembranze,

Iridi belle, che al pensier fulgeste

Brillanti d'una speme... Addio sublimi

Delirii d'amore. Oh, troppo presto

Da me fuggiste!... Or che mi resta?... Invano

Giro lo sguardo a me d'intorno... Invano

Scruto dentro quest'alma arida e fredda,

Penso, fremendo; d'un sorriso amaro,

Che sorriso non è, me stesso guato.

Creder vorrei... Ma nelle spire atroci

Del disinganno soffocata muore

La fede, e il grido che festante spunta

Sulle labbra, converto in un singulto

All'aere affida la febbrile nota.

 

Mantova, Dicembre 1863.


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