ODE
Salve terren fatidico
Che
libero scorreva,
Quando
serena l'anima
Nell'avvenir
tendeva,
Ed
allo sguardo estatico
Un
sogno era la vita,
Un'ombra
che fuggita
Svelommi
il triste error.
Da quest'angusto carcere
Ove
m'è sol compagno
De'
ceppi il suono lugubre,
Dell'infelice
il lagno,
O
l'incitato anelito,
Lo
spiro faticoso,
O
il gemito angoscioso
Che
rompe il cupo orror,
Sacra vieppiù dal tribolo
La
voce mia s'innalza,
Pari
alla nave intrepida
Che
se più il vento incalza
Più
disprezzando il turbine
Tocca
alla fin la sponda
Tra
il fremito dell'onda
Che
le contende invan.
Quei nodi cerca infrangere
Onde
la grava il forte,
Passa
lo spazio e libera
Schernendo
l'aspra sorte,
Vola
a quei gaudii ingenui,
Alle
illusion fallaci,
A
quei desiri audaci,
Che
forse torneran!...
Oh son pur dolci al misero
Le
rimembranze amate,
Esse
che al pensier vergine
Furono
un dì strappate,
E
colà dove l'anima
Vedeva
un roseo fiore
Degli
uomini il livore,
L'iniquità
scoprì.
Oh, quando mesto chiudesi
Sovra
il guanciale il ciglio,
Quando
fra sogni trepidi
Sul
duro mio giaciglio
Dibattomi,
e trascorrere
Veggo
lontan la mente,
Or
sovra un dì nascente
O
a quello che sparì;
Vive di mille palpiti
Il
core in quell'istante,
Della
speranza il fremito
S'eleva
in lui gigante,
Sino
che all'ansia indomita
Ond'ha
il pensier fomento
Mi
desto: e sul momento
Ogni
illusion scompar.
In un confuso mescersi
Di
mille smanie atroci,
Sento
nel petto il sonito
Delle
svariate voci
Che
alla memoria tornano
Gioje,
timori, affanni,
La
speme e i disinganni
Che
l'ora e il dì formar.
In quella muta tenebra
Penso:
e una mesta calma
Tra
le passate immagini
Va
ricercando l'alma,
Quando
il dolore inconscio
Era
alla gaja mente
Quando
nel sol morente
Guardava
l'avvenir.
Alle tue piaggie fermasi
Come
al più dolce amico,
Volge
il sospiro l'esule
Che
vive in suol nemico,
E
a te con ansia trepida
Manda
il suo mesto viva
La
lagrima furtiva
Spremuta
dal desir.
Quando giulivo l'agile
Piè
sul tuo vial calcava
E
sotto l'ombra placida
Del
tuo Castel posava,
Il
sol che bello ornavati
Tra
l'edera romita
La
speme mia blandita
A
meditar trovò.
E al quadro incomprensibile
Di
quel contrasto strano
L'ora,
al passato, giungere
Cercò
la mente invano,
Che
se parlavan lugubri
Que'
suoi scomposti avanzi,
Avea
la gloria innanzi
Che
un giorno il coronò.
Gloria che il fato sperdere
Volle
da questo cielo,
Cui,
il fervente spirito
Guarda;
e ristassi anelo,
Chè
fulger vede un'iride
Nella
nascente aurora,
Sente
una voca ?? ancora
Tuonargli
- non morì!...
Salvete!... O lieti crocchii,
Lievi
solazzi, o danze!...
O
dolce tua concordia,
O
vergini esultanze,
Cari
piaceri agricoli,
Baldi
e leali amici,
Con
cui sempre felici,
Scorsi
e tranquilli i dì.
Oh!... quando l'ampia sorgere
Veggo
ridente aurora,
E
l'astro altero e vivido
Che
le tue piagge irrora,
Spander
focosi radii
Sulle
tue verdi zolle
Ove
il piacer s'estolle
In
mezzo del terror,
O gl'infiniti spazj
Ingombra
un fosco velo,
Allor
che scroscia il fulmine
O
che il vernale gelo
Brilla
sui campi, e l'esile
Copre
gentil virgulto,
O
il nembo sperde inulto
Le
messi tue, tuoi fior,
Sempre sei bella o libera
Stanza
di cari affetti!...
Tu
che vedesti i teneri
E
primi miei diletti,
Ove
i miei giorni scorsero
Quando
fidente il core,
Credea
che nel dolore
Fosser
fratelli ancor.
Dalla
Giudecca, Ottobre 1861.