ODE
Oh, quando l'alma espandere,
I
sensi suoi desira,
Quando
veemente il palpito
Dalle
sue fibbre spira,
Ed
ebbro il cor d'innumeri
E
care rimembranze
Le
tenere speranze
Vagheggia
e in esse ha fè,
Dove potrà men libera
I
suoi bollenti affetti
Versar
nel seno provvido
Da
cui non sien rejetti,
E
nell'accento unissono
Del
più fervente amore
Ricever
del dolore
Più
bella la mercè?
Con chi le luci schiusegli,
Pianger,
gioir, sperare,
Insiem
le preci mescere,
Con
quello delirare,
Se
l'anelato gaudio,
Onde
la vita ride,
Al
fianco non s'asside
Di
chi lo cerca invan?
Quando a' suoi figli teneri
Sorregge
il debol passo,
Quando
in carole affabili,
Ei
dalle veglie lasso
Giocarellando,
gl'esili
Alza
lor corpi e posa
Con
vece più affannosa
Nelle
materne man.
Poscia più adulti a nobili
Sensi,
dispone i cori,
Un
avvenir procuragli
Che
base ha i suoi sudori,
Quando
che l'oro o l'obolo
Con
indefessa lena,
Parte
con essi, e frena
L'alme
che incita a amar
Nullo per lui di vivere
Gode,
pei figli solo,
Per
quei che lo compensano
Forse
con crudo duolo,
E
agli infiniti triboli
Cui
frutto è l'esser loro,
Con
un feral martoro
Rispondongli
talor!...
Deh!... non ti stanchi il lugubre
Fato
che sì t'incalza,
Quando
più rugge il turbine,
L'ardire,
l'opra innalza.
È
santo inarrivabile
L'amor
che a petto al male
Nell'infierir
fatale
Rimane
saldo ognor.
Soffri; è caro all'anima
Anche
il soffrir, pel bene!...
Quando
che il cor non mescesi
Alle
comuni mene,
Sente
che in sè v'ha spirito
Cui
dà l'Eterno aita,
E
lascierà la vita,
Senza
rimorsi allor.
Mantova,
1863