Ulisse Barbieri
Poesie varie

ADELIA NOVELLA Comune storia ma pur troppo vera A voi fanciulle io narro...

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ADELIA

NOVELLA

Comune storia ma pur troppo vera

A voi fanciulle io narro...

 

Levasi il sole, e versa sulla terra

I rai cocenti di che tutti investe

I rigogliosi parti di natura,

E nelle quete acque riflesso oscilla

Onde Mantua recinse opra non sua.

Un prolungato di sacri bronzi

Si distende frattanto ed alla chiesa

Di Cittadini invita un vago stuolo.

Lieta e gentil d'ingenuo sembiante

Giovin ventenne della madre al braccio

Sorretta pur vi move, e dalla via

Ond'ei mettono assorta nel tiranno

Spazïar della mente innamorata

Onde lampeggia un cielo all'ansie luci

Giunge un garzon. Di bell'aspetto, dolce

Ha lo sguardo che a d'intorno gira

E par cercando tra la folla alcuno

Mova dubbioso il piè. S'incontra d'ambo

L'eloquente raggiar della pupilla

Che l'arcano del cor sovra le labbra

Trasmette in un sorriso in che compresi

Son del giovin pensier gl'impeti ardenti

Onde dal nulla un'evocata larva

Sorge di gioja, oscilla un raggio e muore.

Tenero fior che sulla sfavillante

Aurora della vita s'abbandona

Alle dolci chimere, onde si pinge

D'iridi belle l'avvenir, traeva

Adelia il riso de' suoi vergini anni...

Adornava il bel volto il dolce incanto

D'una mestizia che rivela al guardo

Il pio raccoglimento del pensiero.

Nereggia il crin sotto il modesto velo

Che gli scende sugli omeri ondeggiante,

E quando al bacio della vecchia madre

Porgea le gote in dolce atto d'amore,

Chiamava sulla sua giovine fronte

A larga mano dell'Eterno i beni.

Bello è il riso degli astri, e allor che splende

La compagna dell'ombre, e l'armonia

Del creato sfavilla, a me discende

Dolce nell'alma una speranza pia.

Caro è l'amplesso d'una madre, e santa

La parola che al cor parla la fede;

Ma tutto tace se dal duolo affranta.

Ebra d'amor, non ha d'amor mercede,

L'alma che solo in sente la vita

Nel delirio gentil con te rapita

Come del masso è l'edera compagna,

Come al ceppo la fronda, ed alla riva

Del fiume l'onda che in suo gir la bagna;

Indiviso al sorriso che l'avviva

E il trepido sospiro onde festante

Le balena una gioja altiera innante.

Sol io deserto ricercando vado

Un cor che al grido del mio cor risponda,

E d'una cara illusion suado

L'alma d'amor digiuna e sitibonda.

In una dolce calma riposava

La notte, allor che il modulato suono

Della mesta canzon si distendeva,

Sovra i vanni dell'aere; n'eran le note

A un sospiro simile, ed un sospiro

Parean domandar, ecco diletta.

Un verone s'aperse, e il lungo sguardo

Della fanciulla dentro le tenêbre

Della sopposta via, ansio si spinse.

Nulla s'udì... tutto taceva intorno

Fuorché il febbrile palpito d'un core,

Che d'un passo la lenta eco lontana

Indovinò... Poi tutto ritorno

Nella quiete primiera, Adelia sola

Già ratta si sentia fuggir la calma

Dentro il seno pudico, e concitati

Sogni sul suo guancial ferver confusi,

 

Era una sera; l'uno all'altra appresso

Stavansi lieti mentre un'aura lene

I neri crini ondeggiava lasciati

Sugli omeri cader in abbandono

E al loro orecchio sussurar parea

Voce d'amor che comprendean soll'essi,

Porgeale Paolo di gentil trappunto

Pegno della sua fe candido velo,

Ed intrecciato il manco braccio al bianco

Collo della fanciulla in sulla fronte

Un bacio ardente impresse... ammutolito

Tacque il labbro... d'un sguardo si fissaro

Indeffinito, onde compreso un mondo

Era d'incanti... il cor stretto sul core

Palpitò d'un sol palpito; la mente,

Nel turbinoso fremito del gaudio,

Dimenticò la terra, e insiem confuso

Il respiro al respir, nel dolce amplesso

Che catena indivisa tutti stringe

L'opre sublimi dell'Eterno spiro,

S'inebbriar così che ratto troppo

Al senso della vita ridestolli

Della vita il respir, a deplorare

Che in quell'abbraccio avvinti non si fosse

Dischiuso il cielo all'anime festanti.

Oh, ineffabili, dolci rapimenti

Che irradiate d'un rapido baleno

I fuggitivi istanti, onde si tesse

Fatuo così dell'esistenza il nodo,

Perché mai, vi frappose uman capriccio

Un fantasma di ghiaccio, una parola

Che millantata ognora a fior di labbro

A pochi siede in cor, larva gigante

Onde s'impone altrui e si conculca?...

Paolo... le disse un la giovinetta

Mollemente posando il fulvo crine

Sovra il seno di lui... nell'abbandono

Fiducioso del cor, che trepidante

All'evocate larve onde si mesce

La fede e il dubbio nell'irrequieto

Agone del pensier, contro stesso

Scudo si fa di nobili menzogne.

Paolo tu m'ami?... non è vero?... m'ami?...

Me 'l dice il core ed allorquando sola

Seguo i bei sogni della mente, lieto

Ti vego unir la mia colla tua destra

Mentre all'altar ne benedice Iddio...

Oh Paolo, tu non sai, seguì la grama,

Con qual'ebrezza, con qual forza io t'ami...

A me dolce è il dolor, persino il pianto

A sagrificio susseguito e parmi

Che più grande mi senta nel mio amore

Dacché tutto a te offersi, e la mia vita,

Innocenza, avvenir, tutto confusi

In un amplesso, a piedi tuoi deposi

Quanto di caro avea. Te solo resi

Arbitro tu del mio destino, o mio

Paolo... fra poco... e lo sguardo smarrito

Sovra di lui figgeva soffocando

Un detto pur che traboccante uscia

Dall'alma vinta da un terrore arcano.

Madre sarò... proruppe alfine, e belle

Le gote di rossor soffuse, e calde

Della lagrima ancor che il ciglio elice,

Offerse al bacio che dovea compenso

Al continuo alternar di tante pene

Cara promessa, suggellar quel patto.

Mute furo le labbra, freddo il ciglio

Nella pupilla delirante ei fisse

Della tradita... Inerti le sue braccia

Accolser la fanciulla... Ella che il giuro

Or mentito d'amor primo ebbe accolto

Nel troppo facil, troppo ingenuo core...

Che trasognata lo guardò; convulso

Dal petto un grido emise, alzò le belle

Sue luci al ciel la forza domandando

Che sentiasi mancar, sulle sue labbra

Col sospiro morì, l'ultimo addio

Alle sue spente illusïoni... e svenne.

 

Il funebre rintocco d'una squilla

Vaga solenne, e nota di lamento

Chiama il pensier sulle caduche gioje

Che d'un riso riveston l'esistenza.

Nel suo pallore ancor leggiadra e bella,

Nella sua calma rassegnata, Adelia

Curva dal duol la fronte, eppur serena

Nella coscienza, di stessa, attende

L'ora ferale che gli aleggia intorno:

Tutto è silenzio... e solo il soffocato

Singulto della pia madre che veglia

Al capezzal della giacente, turba

La quïete solenne; il moribondo

Sguardo raccolse la fanciulla, e porta

La scarna destra al bacio dell'afflitta,

Madre, le disse... ancor non venne? e bello

Del pensiero di lui anco un sorriso

Dentro il ciglio gli errò... non risposta

La madre, e sì che pur vorria d'un dolce

Detto la figlia confortar... Comprese

Il suo pensiero l'infelice... E mesta

Il capo abbandonò sovra il guanciale,

I tardi lumi volse a quel verone

Da cui la prima nota l'alma accolse

Di quel canto d'amor... poi si raccolse

Nelle tristi memorie del passato,

E all'avvenir sorrise, all'avvenire

Che gli offriva il riposo della tomba,

E sol di lei gli increbbe, che deserta

A lagrimarla si starà... Sorgeva

Il sole del doman; sovra la zolla

Di fresco smossa inginocchiata e muta

Una donna pregava...

 

All'abbaliante

Sfavillar dei doppieri, tra una turba

Gavazzante ond'avea vile corona

Dell'applauso comun, l'opra impudente

Che si compie fra il riso, e larga messe

Di vittime trascina, fra quei gorghi

Che all'inesperto piè vile dischiude

La mano istessa che di mille giuri

Doman mentiti, insulta l'innocenza,

Paolo sedea, stringendo un'altra destra

Che di venduti baci il concambiava

Al spumiggiar dei nappi, onde il rimorso

Avea tomba col lento ottenebrarsi

Della ragion, di baldo e vigliacco.

Mantova, 1863.


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