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XIV.
Federico II era stato scomunicato per la prima volta nel Concilio di Roma (1227). Egli aveva risposto con un manifesto ai popoli ed ai sovrani cristiani; e, passand'oltre, erasi recato a combattere gl'infedeli - mentre Gregorio IX gli faceva la guerra in Italia, ed eccitava il figlio Enzio e i suoi sudditi alla ribellione. Federico ottenne Gerusalemme dai Maomettani, e consenti ad una tregua. Gregorio - cui i Romani avevano cacciato dalla loro città, poichè allora erano ancora Romani quelli che adesso non sono che sudditi del papa - Gregorio, dico, considerò l'atto di Federico come un delitto, lo scomunicò con maggior solennità, e predicò una crociata contro il vittorioso crociato.
Innocenzo IV fu eletto. Questo terribile Genovese cercò di far avvelenare Federico dai Francescani; ma, andato fallito il colpo, se ne fuggì in Francia, e convocò un Concilio a Lione nel 1248.
Cento quarantaquattro Padri si raccolsero nella cattedrale. Innocenzo presiedette, avendo alla destra l'imperatore di Costantinopoli ed alla sinistra gli ambasciatori di Francia e d'Inghilterra. Taddeo da Sessa e Pier Delle Vigne, inviati di Federico II, si tennero in disparte: il primo, altiero, superbo, come un uomo che dice a sè stesso: «Io lotterò!»; il secondo, abbattuto e scoraggiato. L'aspetto del Concilio era cupo: tutti capivano che vi si trattava qualche cosa di grave, di terribile e d'illegittimo.
La prima seduta, del resto, designò assai chiaramente il cómpito del Concilio. Innocenzo IV aveva invitato i Padri, non già per consultarli, ma per renderli complici dell'atto che aveva risolto e preparato. Il silenzio fu così profondo, che, se lo Spirito Santo fosse disceso, tutti lo avrebbero udito. Innocenzo prese la parola, ed accusò l'imperatore: d'essersi fatto crociato, e di non esser partito che assai tardi per la Terra Santa, «senza provvedersi del consenso del papa, e dopo essere stato scomunicato»; d'essersi posto in lotta col legato apostolico, che comandava in capo la spedizione; di aver trattato cogl'infedeli; d'esser entrato a Gerusalemme e d'esservisi incoronato da solo; d'essere ritornato in Europa senza l'ordine del papa; d'aver nominato re di Sardegna suo figlio Enzio; d'aver espulso da' suoi Stati i monaci ecc., ecc. Il vescovo di Catania si levò poscia, ed aggiunse, tra l'altre cose: che Federico voleva ridurre il clero alla povertà degli apostoli; che non aveva assistito mai alla messa; che teneva delle concubine saracene; che aveva detto con Averroè, il mondo essere stato ingannato da tre impostori: Mosè, Maometto e Gesù, l'ultimo de' quali era il meno glorioso.
Queste accuse, che oggidì ci paiono ridicole e sconvenienti, erano a quell'epoca capitali e formidabili. Esse fecero, infatti, fremere l'assemblea e impallidire tutti i volti - meno due, quello d'Innocenzo IV e quello di Taddeo da Sessa.
Pier Delle Vigne, cancelliere di Federico, uomo di grande dottrina ed eloquenza, che doveva prendere la parola, non fiatò. Taddeo capì che il papa l'aveva guadagnato, lo chiamò traditore, e si alzò per parlare.
Ed egli fu meravigliosamente splendido, dice Matteo Paris. Nondimeno non fece che narrare la vita e gli atti del suo signore, il principe più grande del medio-evo.
Taddeo domandò la pace in nome di Federico, facendo magnifiche promesse per il bene della cristianità, ed offrendo come garanti di tali promesse i re di Francia e d'Inghilterra, i principi di Germania e le città ghibelline d'Italia.
Alle parole di Taddeo, l'assemblea fu côlta da profonda costernazione.
Taddeo allora esclamò: «Io m'avveggo, finalmente, che la condanna del mio nobile signore è decisa. Il mondo intero lo saprà. Lo spirito di Dio non è in questo Concilio, ove non si trovano che de' servi, e da cui è assente la maggior parte de' vescovi della cristianità. Noi ce ne appelliamo ad un altro Concilio, più completo e più giusto, ad un altro pontefice meno appassionato; e in nome del mio signore, della giustizia eterna, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, io protesto. Voi condannerete, ma la vostra sentenza non sarà registrata in cielo».
Innocenzo non lasciò all'emozione il tempo di manifestarsi. Si alzò, e soffocando colla voce tutti i suoi rimorsi, pronunciò la sentenza, «alla presenza del Concilio», e non «con l'approvazione del Concilio», secondo la formula. Egli scomunicò l'imperatore, e lo dichiarò decaduto e spogliato di tutti i suoi Stati. Dopo di che, i Padri spensero i ceri, che avevano tenuto accesi finchè il papa leggeva l'anatema, e li gettarono in mezzo alla sala.
Allora, mentre Innocenzo intonava il Dies irae, Taddeo da Sessa, con voce terribile (dice Matteo Paris), esclamò: Sventura! Sventura! Questo è il giorno della collera, delle calamità e delle miserie!
Allorchè la notizia del decreto del Concilio giunse a Federico, egli sorrise, e ponendosi in capo la corona, disse: «Essa non è perduta!»
Innocenzo cercò di farlo avvelenare da Pier Delle Vigne; ma ciò essendo stato scoperto, Piero si suicidò per isfuggire al castigo,
Credendo col morir fuggir disdegno.
Dante la collocò nell'Inferno.