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XXXI.
Dopo l'ottava sessione, l'11 marzo del 1547, il Concilio fa rinviato a Bologna, ove tenne l'intermezzo della nona, decima e undecima sessione, senza nulla decidere.
Giulio III, ch'era succeduto a Paolo III, restituì il Concilio a Trento il 14 dicembre del 1550.
Giulio III era quello stesso cardinale Del Monte, che era stato il primo legato al Concilio, nominato papa malgrado la stessa candidatura di Carlo V, e quantunque avesse detto, ridendo, in un gruppo de' più giovani dei suoi elettori: «Se voi mi fate papa, vi dò per confratello il prevostino».
Il prevostino era uno de' suoi molti figli, ch'egli aveva fatto allevare insieme con uno scimiotto ed una bambina, sua figlia anch'essa, «e l'aveva tenuto dapprima nella sua camera, e poi nel suo letto», secondo la narrazione del Dandolo, ambasciatore di Venezia. Del Monte era un allegro compare, dedito agli amori. «Il cardinale di Trani, scriveva Mendoza a Carlo V, ha sempre la sua casa piena di puttane e monti di garzoni». Egli era stato l'amante della famosa cortigiana Beatrice Ferrarese, che servì di modello per tante Madonne. Egli viveva come un sibarita, e bestemmiava come un carrettiere. Un giorno, mentre bestemmiava contro un maggiordomo, a proposito d'un pavone mal cotto, ed un cardinale essendosene scandalizzato, Giulio III esclamò: «Che se Dio era montato in collera per un cattivo pomo, egli, che n'era il vicario, poteva bestemmiare per un pavone, che valeva molto di più». Enrico Estienne assicura ch'egli abusava de' suoi giovani cardinali more sodomitico, non meno che di suo figlio il prevostino, che aveva fatto cardinale, e che Paolo IV degradò pei suoi delitti. Giulio III fu sul punto di far cardinale l'Aretino, ch'egli baciò in bocca. Morì poi quasi di fame, per ordine dei medici.
Il cardinale di San Marcello, Marcello Crescenzio, fu mandato legato alla riapertura del Concilio, aggiungendogli, in qualità di nunzii, l'arcivescovo di Siponte e il vescovo di Verona.
Il 28 di aprile del 1552, alla sedicesima sessione, il Concilio fu di nuovo interrotto.
Giulio III morì nel 1555, ed ebbe per successore il suo collega al Concilio di Trento, il cardinale Santa-Croce, Marcello Cervini. Questi volle conservare il proprio nome, e si chiamò Marcello II.
Il mutamento di nome dei papi datava da Sergio II (844), il quale, chiamandosi Boccaporci, Os porci, come dice Onofrio Panvini, ob turpitudinem cognomenti, prese un altro nome.
Corse voce che Marcello II fosse stato avvelenato, a cagione della rigidità de' costumi che voleva imporre agli ecclesiastici. Adriano VI fu certo avvelenato per la stessa causa.
Il suo successore, l'inquisitore Caraffa, Paolo IV, minacciava di mostrarsi ancor più severo. Egli metteva paura alle persone della sua Corte, e diceva: Uxorem non habentes sæpe verberant - «i celibatarii percuotono volontieri». E percosse molto, anche de' cardinali, e strappò la barba all'ambasciatore di Ragusa. Le prime parole dette da Paolo IV, appena nominato, furono: «Io non devo la mia tiara a nessuno». E quando gli fu domandato come voleva esser trattato: «Da gran principe», egli rispose. Paolo mangiava molto - -venticinque piatti -, e beveva forte: rimaneva a tavola tre ore. Egli era accuratissimo, siccome d'alto lignaggio. L'Inquisizione fu la sua più grande occupazione. Odiava profondamente gli Spagnuoli e l'imperatore, «Io sono Italiano! - diceva egli con più verità che Giulio II - ed in Italia non v'ha che una tiara ed un berretto: Roma e Venezia». Ei li odiava talmente cotesti Spagnuoli, che si collegò coi protestanti di Germania, e chiamò in Italia Solimano per discacciarne i marrani.
Questo papa fece paura allo stesso duca d'Alba. Ma Paolo IV era stato terrificato da Filippo II.... Quando egli fu eletto, andò scritto il seguente feroce epigramma:
Sixtum lenones, Julium rexere cinædi,
Imperium vani scurra Leonis habet.
Clementem furiæ vexant et avara cupido;
Quæ spes est regni, Paule, futura tibi?
(I lenoni governarono Sisto, i cinedi Giulio; i buffoni guidarono il leggero Leone; le furie, l'avarizia, la cupidigia possedettero Clemente. Quale specie di regno ci riservi tu, o Paolo?)
Alla sua morte, mentre i Romani ne spezzavano la statua, un poeta componeva un epitaffio sanguinoso, che terminava con questi versi:
Hostibus infensis supplex, infidus amicus:
«Egli fa papa» - ciò dice tutto25.
Paolo non si curò punto del Concilio.
Per lui, i Padri non erano che semplici consiglieri del pontefice, al quale appartiene ogni autorità e dinanzi al quale tutto si piega.