Giuseppe Regaldi
La Dora

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ALLA MEMORIA DI TERESA GEORGE CIBRARIO

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ALLA MEMORIA

DI

TERESA GEORGE CIBRARIO

 

Anima bella, che dal buio uscita

Della mortal vallea, drizzasti il volo

Agli splendor della seconda vita;

O Teresa gentil, vedovo e solo

Quaggiù l'Eletto che ti fu consorte,

Si lagna a te per insanabil duolo.

Ed io compunto dell'acerba sorte,

Fa cor, gli dissi, e contra i mille strali

Della fortuna opponi anima forte.

Tu che del tempo l'ira invitto assali,

Erodoto novel, ne' dotti studi

Ti riconforta de' sofferti mali.

A te conviensi disfidar de' crudi

Eventi le procelle, a te fia gloria

Sdegnar del mondo i miseri tripudi.

Tu che dell'egra patria alla memoria

Porgesti, quasi farmaco sicuro,

L'augusto onor della sabauda istoria,

Torna a svegliar de' secoli che furo

I magnanimi gesti, e nuova lena

N'avrà d'Italia il fato alfin maturo.

Vieni meco a spirar l'aura serena

Fra i pioppi della Dora, e fanne aperti

I patrii fasti onde la mente hai piena;

E i campi, dove più sembran deserti,

Di tua scïenza popolati al lume,

Mi narreran del secol prisco i merti;

Sì che levato oltre il volgar costume

Ad ardua meta, di te degno io sia,

Mentre a te vo sacrando il mio volume.

«Dolce amico, ei sclamò, l'opera pia

Del tuo volume, deh! sacrar ti piaccia

Alla memoria della donna mia.

Ella che fida alla paterna traccia,

Amò gli eroi Sabaudi, e disdegnosa

Fremea dello straniero alla minaccia,

Ed ora innanzi a Dio canta festosa

Questo bel regno ausonico nel verso

Che a noi pingeva ogni diletta cosa;

Ella di nostre lagrime cosperso

Avrà in grado il tuo libro, ed io n'avrei

Per te conforto, io che fra cure immerso,

Sempre ho l'imagin sua negli occhi miei».

E sì dicendo per la man mi prese,

E mi addusse alla stanza, ove tu sei

Effigïata sì che fai palese

La nobil'alma nel gentil sembiante,

In che l'amico mio tanto s'accese.

A te, come a risorta, io trassi innante

Preso di meraviglia, e dai coralli

Del tuo labbro attendea parole sante.

Le rose e i gigli delle nostre valli

Ti fiorivano in volto, e fuor ti usciva

Dagli occhi il lampo de' siderei balli.

Irradïato di tua diva,

Vid'io converso in mistica Sionne

Il sacro ostello che d'intorno oliva.

O benedetta fra le itale donne,

Prendean vita per te le pinte mura,

I cherubi arpeggianti e le madonne;

E parlavan del Ben che sempre dura,

E delle rose ch'ei lassuso eterna

Per chi si leva dalla terra impura

All'empireo giardin che mai non verna:

E tu nell'ineffabile sorriso

Significasti la tua pace interna.

Ahi! m'afflisse il mirar nel tuo bel viso,

Quando alla dolce illusïon fui tolto

Da lagrimosi guai che m'han conquiso.

Era lo sposo tuo che ruppe il molto

Dolorar ne' singulti a me d'accanto,

E presso al caro effigïato volto

Mostrando sovra eburnea croce il santo

Martire del Calvario, ah! ne' sospiri,

Amore e morte, dir parea col pianto.

Cittadina del ciel, tu che i martìri

Puoi consolargli col benigno raggio

Che accende l'aurea sfera in cui t'aggiri,

Deh! tu l'aiuta sì che possa il saggio

Colla virtù della civil parola

Far nuovo al Sire ed all'Italia omaggio.

O grazïoso spirto, a lui deh! vola

Nel mormorio de' zeffiri söavi

Onde il Chiuson le afflitte alme consola;

E di un sorriso rallegrando i gravi

Lutti nell'odorifera pineta,

Torna al poggio ospital che tanto amavi.

Se incontrerai me pellegrin pöeta

Col tuo fedele che mi fu sì pio,

Deh! mi piovi nell'anima inquïeta

Il bello e il ver che tu vagheggi in Dio,

Mentre t'invoco ne' miei versi, e come

Dettami patrio amor, ti sacro il mio

Libro, che fausto ha dalla Dora il nome.

 

 

 


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