Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO TERZO DA SUSA AL PIRCHIRIANO

XIII.

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XIII.

 

Sono grotteschi, a dir vero, questi simulacri di antiche lotte.

Un tempo gli spadeggiatori di Val di Susa uscivano nei giorni solenni da diversi paesi ad accompagnare le feste religiose e civili; ma da qualche anno que' di Giaglione, di Venaus e di Chiomonte hanno deposto l'elmo e la serica sopravvesta, e gettato lo spadone fra i vani arnesi delle loro terre. Ultimi e soli rimasero gli spadeggiatori di San-Giorio; e ben era loro debito tener vivo un tal costume nelle Alpi Cozzie, per onorare il santo patrono della cavalleria; imperocchè vogliono alcuni che la loro origine si abbia a cercare tra i gladiatori romani, o tra gli ordini dell'antica cavalleria; altri ne cercano l'origine tra i martiri della legione tebea, ed altri, assegnando loro un'origine meno gloriosa, li credono reliquie de' tanti mimi e buffoni che trastullavano i tirannelli.

In tanta discrepanza di opinioni interrogai il degno prevosto di San-Giorio, G. B. Pettignani, che mai significasse la strana scena testè rappresentata nel prato Paravì; e presso la torre quadrangolare che fiancheggia la sua casa, innanzi alla gemebonda fontana che gl'irriga il pensile giardino, egli gentilmente così mi rispose:

- Probabilmente è una di quelle tante scene del medio evo, in cui, come a Cesana e ad Ivrea, il popolo si sbarazza del suo oppressore.

- Appunto così e non altrimenti, sclamò l'egregio avv. Gianone di Bussoleno, che mi era compagno. Appunto così, e non altrimenti si ha da interpretare, come nella festa del Barro, da due anni, con dispiacere di molti, cessata nel mio paese. Colà nel pomeriggio del giorno di Pasqua, nella sala del Comune, convenivano i membri del Consiglio, a ciascuno dei quali era consegnato un grosso fuso, nelle due estremità munito di punte di ferro. Quindi fra le musiche, e con gran seguito di popolo, si andava nel prato del Barro, dove, sorteggiati que' consiglieri, partivansi in due campi, e, fissato il segno del bersaglio, giocavano a chi meglio vi colpiva, e i vinti pagavano le spese del convito alla festante brigata.

La festa dei fusi ricorda una magnanima nostra popolana, che, tentata da lascivo feudatario, vuolsi che in petto gli abbia confitto il fuso ad arte ferrato, e tolta così di pericolo la sua onestà, e liberata da un tiranno la nostra patria. E il nome Barro ricorda un benemerito Bussolenese, che per testamento legava al Comune la proprietà d'un suo prato, a condizione che ogni anno vi si facesse il giuoco dei fusi, che in segno di riconoscenza verso il gentil donatore, assunse il nome di giuoco del Barro. Bell'esempio di giustizia e di virtù cittadina!

 

 


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