Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO TERZO DA SUSA AL PIRCHIRIANO

XVI.

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XVI.

 

Mentre io m'inebbriava negli estri d'Ariosto, e mi vedeva innanzi Orlando investito dalle furie della gelosia, ecco all'improvviso avanzarsi a cavallo, e con grande celerità, un giovane animoso, scintillante negli occhi neri. Era il dottore Rumiano, mio conoscente, che in atto amichevole veniva a stendermi la destra, e, sapendo i miei desiderii, profferivasi di guidarmi sulla riva sinistra del fiume ad una grotta memorabile, un tempo abitata da un santo, onde si è diffusa nel popolo una pia tradizione.

Accettai di buon grado l'invito. Salutammo Villarfocchiardo, i suoi annosi castagni e le reliquie due antichi monasteri benedettini; e quindi varcammo la Dora sul ponte della Giaconera, bellissimo ponte in pietra a tre archi, che illustra il regno di Carlo Alberto, e costò poco meno d'un milione di franchi e l'opera di sei anni. Al di del ponte toccammo Borgone, dove a piè d'ignudo poggio coronato da solitaria torre mi fu additata l'allegra villa di Enrico Montabone, ricco uomo, la cui più preziosa gemma è la bella e colta sua consorte.

Traversato il paese, lieto di vigneti, costeggiammo a levante la montagna di Frassinere, passammo presso il ponte della strada ferrata, gettato in linea diagonale sulla Dora, e torcendo a sinistra, giungemmo a San-Valeriano, piccola borgata, frazione del paese di Borgone, addossata alle rocce cavernose di Pietraculera. Quivi entrammo nella chiesuola di San Valeriano, da cui si denomina il divoto villaggio, e penetrammo a sinistra in un disadorno antico oratorio, al cui fianco apresi nella montagna la grotta ove si ricoverò e morì San Valeriano.

Attigua allo speco v'ha una piccola finestra d'onde i divoti possono sporgere il capo ed osservarlo. In quel una povera donna del villaggio, non ha guari campata da una grave infermità per le assidue cure del Dottor Rumiano, inginocchiata, dalla finestruola sporgeva le congiunte mani, intrecciate fra le deche di un rosario, e mormorava preghiere.

Il dottor Rumiano, al vederla:

- Eccovi, mi disse, chi meglio di me potrà narrare i prodigi di San Valeriano, e come riparasse in questa grotta.

- Oh! ben volentieri, signor dottore, rispose la pia donna: poichè, come più volte le ho detto, io deggio al patrocinio di questo Santo le tante sue cure nella mia infermità, e il poter sostenere insieme colla povertà i continui disastri della vita. -

Ed entrata nell'oratorio, andò a prostrarsi innanzi alla grotta, e baciato con riverenza il sasso, così riprese:

- Io narrerò del Santo quello che nelle lunghe serate d'inverno, presso al focolare, sino dall'infanzia udii spesso ripetere dalla mia vecchia nonna.

Valeriano, Tiburzio, Ignazio, Pancrazio, Maurizio, Giorio e Giacomo erano sette fratelli addetti alla legione Tebea, ed avevano una sorella per nome Cecilia, fatta cristiana prima di loro. Valeriano, persuaso dalle buone opere e dai consigli della sorella, si convertì anch'egli alla fede cristiana, e pertanto fu, dappertutto ove andasse, perseguitato dagl'infedeli. Si ricoverò fra Giaveno e Pinerolo ne' monti di Cumiana, ma anche fu dai nemici investito; ond'egli spiccato un salto da un masso, potè sfuggire ai suoi persecutori e trovar rifugio sicuro qui lungo la Dora, e propriamente in questa grotta dove santamente morì.

A Cumiana un sasso tuttavia serba l'impronta d'un ginocchio del nostro Santo, la chiesa di Villarfocchiardo ne possiede il cadavere, e fra noi si ha una sua reliquia, donataci dal Vescovo di Susa, cara memoria che abbiamo sempre nel cuore e nelle preghiere, che festeggiamo ogni anno il 14 aprile. -

Così parlava e così credeva la pia donna, e le sue parole e la sua fede mi toccavano il cuore.

 

 


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