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XXI.
I Longobardi, questi barbari dalle lunghe barbe e dalle lunghe labarde, condotti dal feroce Alboino, insignoritisi di molta parte d'Italia, ebbero a lottare colla potenza de' papi e per essa caddero. Ariani dapprima, furono ostili ai papi. Divenuti cattolici nel florido regno di Teodolinda e di Agilulfo, dopo qualche tempo di pace, tornarono ad aperte ostilità contro i papi, che invocarono l'aiuto de' Franchi, i quali due volte capitanati da Pipino valicarono il Moncenisio, superarono le Chiuse, e vittoriosi in Pavia imposero tributi ai Longobardi e l'obbligo di restituire le conquiste fatte sopra la Chiesa. Accettarono i vinti le condizioni della pace; ma Desiderio, ultimo dei re longobardi, associatosi al regno il figlio Adelchi o Adelgiso, non le attenne; anzi corse coll'armi le città papali. Carlomagno, il figlio di Pipino, invocato da Roma, con poderoso esercito per le note vie del Cenisio e della Novalesa si fece alle Chiuse, che afforzate di torri e di muraglie dal Pirchiriano al Caprasio, serravano lo sbocco della valle. Caduto di animo, già stava per rivalicare le Alpi, quando, secondo strane leggende, un giullare lombardo, e secondo il racconto della Cronaca Novaliciense, confermatoci da prezioso documento conservato in Cremona, un tal Martino, diacono di Ravenna, per reconditi cammini giunto al campo della Novalesa, insegnò a Carlomagno la via ch'egli tenne; per la quale una schiera di Franchi potè sorprendere i Longobardi alle spalle, in tanto che il grosso dell'esercito fra lo scompiglio e la paura li vinceva facilmente alle Chiuse. Importante vittoria, che diede ai Franchi le chiavi d'Italia, e una ingerenza, non cessata per anco, nelle faccende dei pontefici romani, coll'assicurarne le conquiste ed accrescerne l'autorità.