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VII.
In mezzo ai terrori del medio evo non di rado i monisteri furono asilo di pace e di santità, e sede nobilissima della scienza. Tale fu quello di S. Michele della Chiusa. Basti ricordare i preclari uomini che lo fondarono, governarono e protessero, e tosto all'ingresso del cenobio voi vedrete svolgersi ricca di splendori la storia di dieci secoli, da Arduino il generoso e sventurato re d'Italia, lontana imagine di Carlo Alberto, al monarca Vittorio Emanuele II, che l'uno e l'altro vendicando, alla trionfante nostra Penisola restituì più splendida e sicura la regal corona dei marchesi d'Ivrea.
Sedendo su gli scaglioni della roccia presso la porta simbolica del medio evo, nell'ora vespertina, io vidi aprirmisi lo storico volume di un millennio. Risorti nella mia mente agitata dalla maestà del luogo e dall'ora conveniente alle meditazioni salivano per que' scaglioni, e per la porta misteriosa entravano nel tempio uomini di grande autorità.
Saliva il magnanimo marchese Arduino, accompagnato dal fondatore e dal primo abate del monistero, Ugone e Adverto; e li seguivano il beato Giovanni di Ravenna, ed Amisone, vescovo di Torino. Salivano gli abati Benedetto il Seniore e il Giuniore, e con essi l'Ildebrando, il restitutore della libertà alla Chiesa e combattitore delle superbie e simonie imperiali del tedesco Enrico IV. Santo Anselmo, l'arcivescovo di Cantorbery, congiunto di sangue coi principi di Savoia, e il venerabile cardinale Pier Damiani salivano ragionando insieme della fede, della ragione, della scolastica e del ristauramento della ecclesiastica disciplina. Il beato Umberto III saliva accompagnato dal suo diletto monaco Antoniano Giovanni Gerson, che gli andava recitando alcuni versetti del suo libro De imitatione Christi. In seguito nella chiesa odorosa d'incenso e sonante di cantici io vedeva affollarsi lunghe schiere di monaci venerati, e famosi principi, fra i quali Eugenio di Savoia, abate commendatario della Sagra, prima di essere il vindice capitano delle milizie subalpine, e l'immortale Giacinto Gerdil, precettore di Carlo Emanuele IV, l'ultimo abate, quando allo scorcio del secolo passato la Rivoluzione francese abbatteva il vecchio edifizio sociale per ringiovanirlo.
La mia mente non riposava, ed ultimo vedeva salire il glorioso martire dell'indipendenza italiana, re Carlo Alberto, che tornò in onore la deserta Abazia, e fece rivivere quello stupendo monumento di antichità cristiana. Egli mi apparve accompagnato dal sommo filosofo Rosmini-Serbati, al cui sodalizio della Carità affidò la cura della risorta Abazia, divenuta, come Superga ed Altacomba, sepoltura dei principi della R. Casa di Savoia.