Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO QUARTO DAL PIRCHIRIANO A TORINO

XVII.

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XVII.

 

Addì tre dicembre del 1851 un eletto giovane, caldo di poesia e fior di gentilezza, Camillo Verdi, in sul meriggio mi accompagnava fra i deserti ruderi del vecchio castello, già segno a gravi sciagure.

Invadevano il castello le armi di Lamagna ai tempi del conte Umberto III di Savoia, parteggiante per la Chiesa, nemico a Federico Barbarossa; e nel 1636, comechè difesa dal presidio spagnuolo, la rôcca di Avigliana fu assalita dai Francesi che nell'orrendo eccidio risparmiarono una donzella piemontese, disarmati dalla rara sua bellezza. Risorta la rôcca di Avigliana, fu nel 29 maggio del 1691 nuovamente percossa dai Francesi capitanati dal Catinat, al quale, si racconta, una vecchierella indicasse la Pietra-piana, l'eminenza donde il Generale potè con truce fortuna investire il castello, e farne informe ammasso di rovine, per muovere dipoi al campale combattimento della Marsaglia, ov'ebbe il bastone di maresciallo.

Rimangono del castello vôlte sotterranee e una massiccia muraglia con tre finestre. I gufi e le nottole fanno lor nido e stridono ove un tempo fra gli scudieri e i falconieri ferveano le virtù cavalleresche ne' tornei, nelle caccie e negli amori dei corazzati principi e guerrieri, e ne' canti de' trovadori, ed ove si agitavano le politiche imprese, che per lungo ordine di vicende prepararono il concetto rinnovatore della presente Italia.

 

 


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