Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO QUARTO DAL PIRCHIRIANO A TORINO

XXXIX.

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XXXIX.

 

- Oh Regaldi! sclamò il prete francese cingendomi il collo delle sue braccia.

- Oh! signor abate, risposi io facendo altrettanto. E stemmo alcun tempo guardandoci l'un l'altro con sorriso di gioia.

Alla fine l'abate prese la parola e mi disse:

- Mio caro, il proverbio non falla: i monti stan fermi e gli uomini s'incontrano.

- Oh! senza dubbio, risposi, con lui rientrando nella biblioteca al dolce invito del cappellano, e ci sedemmo l'un presso l'altro in vecchi seggioloni a bracciuoli.

- Gli uomini, seguitai a dire, si muovono e s'incontrano. Io incontrai l'ultima volta il nostro rimpianto Ozanam nel 1841 in Sicilia, innanzi alle storiate porte di bronzo della basilica normanna di Monreale, e in certe antiche parole di quella porta salutammo insieme gli esordi della lingua che divenne tanto armonica e divina nel poema dell'Allighieri, di cui egli fu sublime interprete filosofando cristianamente. Ed ora incontro voi (e ne ringrazio il cielo), suo degno amico, pure innanzi a cristiano monumento, in luoghi ricchi di memorie religiose e guerresche.

Dacchè ci siamo conosciuti volsero molti anni, ne' quali ho corso l'Oriente studiando la storia del Cristianesimo e i fasti della cavalleria latina.

- Ed io, ripigliava egli, ho corso ormai tutta Europa, rovistando gli archivi polverosi, per suscitare nomi e storie d'insigni francesi che portarono fra gli uomini la fede, la scienza e la civiltà.

Spesso mi chiudo e vivo nella solitudine de' chiostri, e non cercando i rumori della fama, colla pubblicazione di memorie anonime mi compiaccio di rivendicare a' miei antichi ciò che loro è dovuto: e qui, poco discosto dalle Chiuse, qui dove suonano gl'imperituri nomi di Pipino, di Carlomagno e di Rolando, non può a meno che non si rinvengano le notizie di qualche nostra gloria, di cui siansi giovate a vicenda la Religione e la Civiltà. -

Ciò diceva con quel fare enfatico, proprio de' Francesi, che cercano la loro patria in ogni terra, e fiso aspettando da me una risposta.

- Oh! ripigliai sorridendo, qui nel chiostro di Ranverso non credo che i vostri Franchi abbian lasciato veruna memoria. Il convento e la chiesa sono del secolo duodecimo, e debbonsi ad un Umberto di Savoia ed a Giovanni Gerso.

 

 


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