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XXXI.
- Oh il Cibrario! interruppe l'Abate: l'autore della Economia Politica del Medio Evo, è scrittore grandemente stimato anche dai nostri Francesi, i quali non sogliono tener conto che delle vere celebrità.
- Ebbene, vediamo che dice il Cibrario.
Pregai il Cappellano ad aprirmi la libreria, ch'io aveva mezz'ora prima esaminata, e tratto da uno scaffale un volume del Cibrario stampato dai Botta a Torino nel 1860, l'apersi alla pagina 425 e vi leggemmo: «Sovrabbondano poi argomenti e prove materiali per dimostrare che ad uno scrittore del secolo xii e xiii, non ad altri d'età posteriore, si debba attribuire il libro Dell'imitazione di Cristo. Prima di tutto, lo stile dove si vedono di quando in quando reminiscenze di quelle cadenze rimate colle quali s'intendeva ad abbellire la metà ed il fine dei versi ed anche le prose dei letterati dei secoli xi e xii - Parvus est dictu, sed plenus sensu et uberi fructu - Si posset a me fideliter custodiri, non deberet in me turbatio oriri».
- Oh! sì, sì, codesto è modo antico, esclamò l'Abate.
- Proseguiamo a leggere: «Poi la dolcezza, la semplicità dello stile, la scarsità delle citazioni convengono ai tempi in cui fiorì il fondatore di Sant'Antonio di Ranverso, e spiegano come il libro De imitatione abbia potuto attribuirsi da molti a S. Bernardo, che di alquanti anni lo precedette. Ed all'opposto dimostra il poco avvedimento di coloro che a Giovanni Gerson, cancelliere parigino, e peggio ancora, a Tommaso da Kempis, scrittori dei secoli xiV e xV, e di genio disparatissimo, lo attribuirono».
- Queste gravi ragioni del Cibrario mi entrano nell'animo, sclamò l'Abate francese.
- Ma procediamo innanzi, ripigliai io, vediamo che dice il Cibrario intorno ai codici del famoso libro controverso. Egli ne cita sei: quello della Cava che dalla forma dei caratteri, e specialmente delle maiuscolette, riconosce evidentemente non potersi riferire fuorchè alla prima metà del secolo xiii; quelli di Polirone e di Vercelli, che appartengono al medesimo secolo; quello di Robbio in carta bambagina, ed altrettanto antico; quello di Arona, conservato nella biblioteca della R. Università di Torino; alfine è l'Allaziano, che il Baluzio, il Ducange ed altri autorevoli paleografi, giudicarono del secolo xiV. Ora, signor Abate, sapreste dirmi quando nascesse e quando sia morto il vostro Giovanni cancelliere?
- Credo nascesse nel 1360 o in quel torno, e morisse presso a poco sul 1430.
- Si fa presto, soggiunsi, a saperne precisamente le date. Ecco qua il Dizionario Universale del cav. Angelo Fava. Ecco l'articolo Gerson.... Vediamo: «Giovanni Charlier nacque a Gerson nel 1363 e morì a Lione nel 1429». Ora se il codice della Cava del libro De imitatione, nel quale è miniata l'effigie di un monaco Antoniano, fu scritto prima del 1260, non poteva l'opera essere dettata da chi venne al mondo un buon secolo dopo. Non parliamo del Kempis che nacque nel 1380, e morì decrepito nel 1471.
- Intorno al Kempis, m'interruppe l'Abate, io non avrei questionato mai. Tommaso da Kempis, di cui ho letto attentamente la vita, nacque in Prussia a Kempen, e si chiamava Hamerken, cioè Malleolus, ed essendo poverissimo, si fece monaco a Monte Sant'Agnese di Deventer, e da principio si guadagnava la vita copiando libri corali. Valente calligrafo, trascrisse poscia e ripetè Bibbie e raccolte diverse, e specialmente i quattro libri De imitatione Christi, cui scriveva in fondo finitus et completus per manus fratris Thomae a Kempis; e li mandava pro praetio a vari monasteri della Germania. Da ciò si vede che era un amanuense, un copista, ma non un autore, come indarno tentò dimostrare l'illustre prelato Malou.
- Ebbene, io replicai, v'invito a leggere per intiero questa erudita memoria del Cibrario, da cui si apprende eziandio che il Gerso di Cavaglià era monaco Antoniano e non Benedettino, come si era creduto per lo innanzi, e che probabilmente s'iniziò alla vita monastica nella casa dei frati Spedalieri in Vercelli; dipoi qui venuto a fondare il chiostro di Ranverso, fu assunto alle più alte dignità del suo ordine religioso.
Non vi prenda maraviglia, ottimo Abate, ch'io m'intrattenga con tanto zelo a ragionarvi dell'autore del libro Dell'imitazione di Cristo: incontrerete altri e non pochi in Italia, che ve ne parleranno col medesimo affetto.
Presso Padova, nel cospicuo monistero di Praglia, il monaco benedettino Buzzone per molti anni volse l'animo a raccogliere in gran copia le edizioni a stampa di questo santissimo libro; e Murano, l'isoletta che fu prigione a Silvio Pellico, ne ha una raccolta più abbondante nell'antico ospizio di S. Michele. Inoltre un viaggiatore inglese narra nel Galignani (giugno 1859), che in Vercelli, mentre ardeva la mischia fra Italiani ed Austriaci sulle prossime rive della Sesia, un canonico nell'archivio capitolare gli mostrava il codice De Advocatis, e si riscaldava a provargli che l'autore di quel libro era il Gerson vercellese; e tutto ciò faceva il buon canonico con animo sereno, come se allora la guerra non tonasse alle porte della città.
Questi particolari dimostrano la riverenza profonda degl'Italiani al libro Dell'Imitazione, fatta più viva dalla maggior frequenza di lettori, allettati dall'elegante versione italiana dell'abate Cesari.
Caro Abate, non vi maraviglierete dunque che anch'io, come il monaco di Padova e il canonico di Vercelli, porti singolare affetto al Gerson che fu il fondatore di questo chiostro, e che forse meditò il celebre libro nella prossima chiesa che andremo a visitare.
- Ammiro, sclamò l'Abate, l'ossequio degl'Italiani al pio libro su cui tanto si è disputato. Benchè un nostro romanziere lo pigliasse a gabbo in questa età di scettici, pure le anime credenti, nelle tribolazioni, cercano conforto in quel libro, che il nostro Lamennais traduceva e splendidamente commentava nei giorni migliori della sua fede, e che il vostro Gioberti baciava morendo.
Così parlando mi strinse fortemente la destra e poi riprese:
- Sì, sì, il libro Dell'Imitazione è santissimo libro. Oh! come si sarebbe deliziato in questi discorsi il nostro lagrimato Ozanam, che tanto amò Francia e Italia, immedesimandole nel sentimento del bello e del vero. Egli, abborrente dagli spiriti di parte, e con intendimento tutto umano, avrebbe con noi conchiuso, che il libro Dell'Imitazione, sia dettato da un Francese, da un Italiano o da un Alemanno, è opera che onora tutta la cristianità.
- È vero, è vero, disse il Cappellano, ch'era stato sempre intento ad ascoltare il nostro dialogo, e soggiunse: Ora venite meco a visitare la bella chiesa fondata da Giovanni Gerson.