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XXXV.
Il Sepolcro di Giovanni Gerson.
Ciò detto, il Cappellano dopo di averci additato pregevoli affreschi nelle pareti della sagrestia ci ricondusse nel presbiterio innanzi all'antico sepolcro dei monaci Antoniani, e sclamò:
- Qui, come appresi da antiche carte, qui fu sepolto Giovanni Gerson, il fondatore del chiostro. -
L'Abate francese e il Cappellano chinando il capo sul sepolcro alternarono insieme una preghiera; e poi, mentre stavamo per uscire dal tempio, l'Abate dando un ultimo sguardo alla tomba del Gerson ripetè le memorande parole: Vanitas vanitatum et omnia vanitas.
- Oh rispettabile Abate, gli osservai: un altro grande italiano, Giacomo Leopardi, come Giovanni Gerson pianse le miserie della vita
«E l'infinita vanità del tutto».
Ma il Gerson si confortava delle umane calamità in Dio e nell'avvenire dello spirito immortale; all'opposto l'infelice Leopardi nella vanità del tutto rimaneva agghiacciato dallo scetticismo.
- Oh beato l'uomo che serba la fede, questo tesoro preziosissimo dell'anima! proruppe il Cappellano riconducendoci nella piazzetta presso al simbolico piliere. -
Un colono di Alpignano, inteso ai lavori campestri della Commenda, trovandosi accanto al piliere, nell'udire il Cappellano far cenno di un tesoro, voltosi a noi disse:
- Se vanno in cerca di tesori nascosti, vadano al mio paese; ve n'ha uno sepolto sotto il castello, che non si è potuto scoprire. -
Il colono di Alpignano ci mosse a riso. Mi accommiatai con affetto dal Francese, che recavasi al luogo delle Chiuse ed alla Badìa di San Michele: ed io, ringraziato il buon Cappellano, volsi i pensieri e la persona al castello del tesoro.