Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO QUARTO DAL PIRCHIRIANO A TORINO

XLII.

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XLII.

 

Vuolsi che Alpignano prendesse il nome da un Alpino, romano, possessore di quel luogo. Si dice pure che vi stanziasse una colonia romana, la quale operò il taglio di una rupe per dare corso alle acque della Dora impaludate ne' luoghi adiacenti. Certo si è che diverse famiglie illustri ebbervi signoria. L'ebbero i principi d'Acaia, che nel secolo xiV ne investirono Guglielmo di Mombello, signore di Frossasco; e l'ebbero in feudo i conti di Provana, edificatori del vasto castello, che ammirasi riabbellito e ricco di ogni guisa di arredi ed ornamenti.

Morto senza prole l'ultimo feudatario nel 1797, il Governo rimase padrone di diritto.

Alpignano obbediva un tempo a quattro padroni, perchè parte di esso era dello Stato, altra porzione apparteneva alla Famiglia reale, la terza ai monaci e la quarta al feudatario.

Nel Governo si raccoglievano tutti i poteri, quando nel 1804 il Demanio francese vendeva il castello all'avv. Modesto Paroletti, che fu sul punto di demolirlo per cercarvi nelle fondamenta il desiderato tesoro; ma poi si persuase di lasciarlo incolume e venderlo ai fratelli Revelli, l'avvocato e il pittore, che vi portarono gli splendori dell'arte.

Dalla famiglia Revelli nel 1840 lo comperò il conte Michelangelo Robbio di Varigliè, e da questo nel 1863 lo acquistava l'avvocato Riberi, ornato giovane, che in mezzo a tanta amenità di paese e in compagnia di colti amici mostrasi tutto applicato a nobilissimi studi, onde potrà illustrare e la patria, aiutato dal pingue retaggio lasciatogli dallo zio paterno, il celebre professore di medicina.

 

 


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