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Lasciamo le celie ora che ci traggono memorie severe alle foci della Dora. Voglio in pria far cenno dell'ultima volta che, da Susa per la strada ferrata tornando a Torino, m'incontrai col vecchio Giacomo, col bellicoso pastore di Bousson, che conoscemmo presso alle sorgenti del patrio fiumicello.
Lo rividi una bella sera di maggio del 1858. Trovandoci nel medesimo vagone, il buon vecchio, richiesto, mi parlò della figliuola Lucia, divenuta madre d'una pargoletta, e del genero Maurizio fattosi soldato nell'esercito italiano; e passando di discorso in discorso, egli mi espresse la soddisfazione che provava nella tarda età, potendo agevolmente dai monti di Susa con frequenti e rapide gite tornare agli allegri piani di Torino.
- Oh! mi diceva, se Vossignoria avesse conosciuto questi luoghi com'io li vidi fanciullo! Allora erano poche e recenti le strade carrozzabili. Ne' paesi alpestri si andava a stento per vie lunghe, tortuose, aspre e non sicure. Erano lente le comunicazioni, ed intricato il commercio. Quei telegrafi di legno, i cui pali salivano e scendevano nelle cime de' monti, che cosa erano mai, messi a riscontro coi fili elettrici, che attraversano valli, gioghi e mari, portando la parola colla rapidità del desiderio nelle più lontane regioni?
Ma chi diede la scossa più vigorosa al mondo addormentato fra i castelli feudali? Fu un potente italiano, l'imperatore Napoleone I, a cui nelle famose battaglie consacrai volentieri la mia spada. Sì, ricordo con orgoglio di essere stato uno de' suoi soldati, ed ora vengo a Torino per avere anch'io la medaglia di S. Elena, che il degno nipote del grand'uomo decretò ai soldati dell'antico Impero. -
Mi congratulai col buon Giacomo, che sarebbesi trovato insieme co' suoi commilitoni schierati alla presenza del Principe Napoleone, futuro sposo alla nostra augusta Principessa Clotilde, e con cordiali saluti ci separammo giunti alla stazione di Torino, prossima ai ruderi della smantellata cittadella.