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I.
Un Napolitano e un Piemontese.
Due morti colle palme del martirio, Micca e Giannone, nel maggio del 1858 fra i ruderi della cittadella mi profetavano il prossimo unificarsi d'Italia; e presso al medesimo luogo, indi a pochi giorni dall'ultimo incontro col pastore Giacomo, due vivi mi significarono colle musiche lo stesso concetto.
Erano due giovani popolani che deliziavano gli accorrenti ad un caffè innanzi al teatro Alfieri, il cui nome ricorda i primi onori della tragedia italiana e i primi impeti del nostro politico risorgimento.
Uno di essi era un Viggianese che toccava maestrevolmente l'arpa. Chiamavasi Gennarino Pennella, che garzoncello io avea conosciuto in Malta quand'egli faceva ancor parte della compagnia di undici arpeggiatori diretta da Vincenzo Pezzi e da Maddalena Volo. L'altro, che sonava la ghironda e chiamavasi Pietro, era uno de' figliuoli del pastore Giacomo che udimmo ricordare nella capanna di Bousson.
Ora dirò come i due sonatori, il Napolitano e il Piemontese, si conobbero e furono concordi di musica e di cuore.