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III.
Gennarino, d'indole irrequieta, entrato nel quarto lustro di sua vita lasciò la compagnia de' conterranei ed elesse vivere solo, venendo per le spaziose vie di Torino a cantare e sonare. Ma non andò guari di tempo che sentì amara nel cuore la solitudine, e desiderò un compagno.
Lo trovò nella piazza di San Carlo. Quivi innanzi alla statua equestre di Emanuele Filiberto incontrava spesso il figlio del pastore Giacomo che, sonando la ghironda e traendo gente a guardare la scena di remote regioni nella sua lanterna magica, cantava le canzoni piemontesi del Brofferio, il Béranger della Dora.
Il Viggianese fecesi a conversare col giovane delle nostre Alpi, e si piacquero e s'intesero a vicenda.
Un dì Gennarino, narrando al sonatore della ghironda avventure de' suoi confratelli di Viggiano, gli disse, che Antonio Varallo, dopo avere per trentacinque anni viaggiato trattando l'arpa, era tornato dovizioso in patria; e gli parlò di Vincenzo Miglionico che nell'anno 1806 partì da Viggiano coll'arpa sola, e, dopo lungo pellegrinare, tornato ricco nel 1832, lasciò l'arpa per le lettere di cambio e i numeri musicali per le cifre algebriche.
S'intrattenne più a lungo a raccontargli i casi d'un guardiano di porci, che licenziato dal signor Poliodoro suo padrone, si appese un'arpa al côllo e girando l'America fece gran fortuna, più che non avrebbe fatto se a Viggiano egli fosse divenuto un Eumeo, e il suo padrone un Ulisse. Tornato al nativo paese con moglie e prole, Vincenzo Poliodoro, il figlio dell'antico padrone, fu lieto di poterglisi avvicinare, e si acconciò di tôrre a sposa una figlia di lui con cospicua dote.
- «Insomma, esclamò Gennarino, tu vedi, caro Pietro, che molti sonatori Viggianesi partono poverelli dal monte nativo e tornano ricchi e beati.
«Io li voglio imitare; e tu Pietro dovresti abbandonare il pesante impaccio della lanterna magica ed associarti a me colla ghironda e col canto.
«Tu canterai le canzoni del tuo paese, io quelle del mio, accompagnandole insieme coll'arpa e colla ghironda, e canteremo entrambi que' canti italiani che sono venuti in moda; e da onesti e solerti compagni ci aiuteremo l'un l'altro nella buona e nella avversa fortuna.
«Un piemontese ed un napolitano cantando, sonando e vivendo insieme troveranno il comune tornaconto».
Pietro lo ascoltò attentamente ed acconsentì, vendendo ad un amico di Susa la lanterna magica.
Così innanzi alla statua di Emanuele Filiberto il Napolitano e il Piemontese stringendosi le destre sull'arpa e su la ghironda si dissero fratelli.
Il primo atto del loro musicale consorzio fu sonare ambidue sotto il portico vicino, in faccia alla operosa bottega di C. S. Caffarel; e quivi amabili ed oneste donzelle, sempre in faccenda a vendere merletti, nastri, cuffie e guanti, sospesero le cure del commercio un istante, e vispe si affacciarono alla porta per udire Gennarino che fiso guardandole e sorridendo cantava:
«Io te voglio bene assai
E tu non piense a me».
I due sonatori raggranellando danaro errarono per diverse nostre città; e poi, tornati a Torino, io gl'incontrai tra gli olmi secolari che ombreggiano il Teatro Alfieri.
Colà udii Gennarino cantare le canzoni in dialetto napolitano di Totonno Tasso, e Pietro quelle del Brofferio nell'idioma piemontese; e insieme ripetere l'inno del Tirteo genovese:
L'ultima volta li udii nuovamente cantare per le contrade di Genova con insolito brio l'inno del Mameli, mentre si andava preparando la celebre spedizione di Garibaldi per Marsala.
Salutai gli animosi pellegrini e domandai loro se avessero buona fortuna.
- Sì, sì, mi risposero impazienti, ma ora vogliamo anche noi aiutare la fortuna della patria più che la nostra.
Cari giovani! Si erano nobilmente accesi dello spirito dei cantici nazionali che solevano ripetere nei pubblici ritrovi.
Deposero l'arpa e la ghironda, ed impugnata la carabina, andarono essi pure insieme col manipolo dei mille eroi a debellare in Sicilia la borbonica tirannia.
Infelici e generosi! nella pugna caddero per la nazionale indipendenza.
Italiani! nessuno mai ardisca scindere la unione politica del sud e del nord della nostra patria, raffigurata in due figli del popolo fra le memorie di Emanuele Filiberto e Vittorio Alfieri, e poi solennemente celebrata fra i trionfi delle imprese guerresche nell'antica metropoli de' Subalpini.