Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO QUINTO TORINO

VI.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

VI.

 

L'augusta città della Dora meritossi tanta gloria segnalandosi nelle guerre de' tempi antichi e de' moderni. E per vero fu maravigliosa Torino in due memorabili assedi de' secoli xvii e XVIII.

Negli anni 1638 e 1639 nacque guerra per la reggenza degli Stati di Carlo Emanuele II affidata a Cristina di Francia, madre del Duca fanciullo, e contesa dai Principi Tommaso e Maurizio, i quali, cognati della donna e zii dell'infante, volevano entrare nella pubblica amministrazione per impedire che la Francia se ne impossessasse colle scaltrezze del superbo Cardinale di Richelieu. Questa discordia di famiglia fu accompagnata da invasione straniera. Un esercito francese sosteneva la Reggente, uno spagnuolo i Principi. Questi occuparono la città, i Francesi tennero la cittadella.

Erano i Francesi capitanati dal conte di Harcourt, gli Spagnuoli dal marchese di Leganes, il quale, anzichè espugnare la cittadella di Torino, come il Principe Tommaso desiderava, distrasse parte del suo esercito, e lo condusse a Casale ch'era tenuta dai Francesi, e ben munita e guardata. Il 29 aprile 1640 fu data gran battaglia con rotta degli Spagnuoli.

L'Harcourt, baldo della vittoria ottenuta in Casale, strinse d'assedio Torino, in cui s'era chiuso il valoroso Principe Tommaso, deliberato di difenderla sino agli estremi. L'accanimento de' soldati da ambe le parti fu smisurato e crudele. Ventinove sortite tentate e rintuzzate, assalti feroci, carnificine da ambe le parti. I contadini si levavano da ogni banda, ma indarno, contro ai Francesi; i cittadini difendevano in armi i loro bastioni e la indipendenza dello Stato.

Alla fine il Principe Tommaso, mal sostenuto ed ingannato dal Leganes, dovette capitolare addì 29 settembre, e ad onorevoli condizioni si ritirò sulle rive della Dora Baltea in Ivrea, costretto a lasciar nel dolore e insanguinata la Dora Riparia. Madama Reale Cristina entrò in Torino vestita a corruccio, solo a rimpianto del perduto consorte, ma pure rammaricandosi d'una vittoria riportata nelle discordie fraterne sui torinesi cittadini; avvegnachè pacificatasi poi co' Principi cognati, anco da essi venisse riconosciuta Reggente.

La bella Duchessa, libera dai travagli della guerra, spesso procurò sopire le cure di Stato sulla riva sinistra del Po, nel delizioso Castello del Valentino da lei fatto ricostruire fastosamente ed ornare secondo il gusto de' suoi tempi.

Chi entra in quell'edificio, dopo averne letta l'accurata monografia di Giovanni Vico, è tentato d'immaginarselo uno de' fatati castelli che celebrò la musa di messer Ludovico.

Di rincontro al Valentino, su la riva opposta del fiume, le verdi colline coi giardini e le ville, e coi variati prospetti, ricordano i poggi beatissimi di Posilipo e di Mergellina, ed empiono l'animo di storiche rimembranze, da Carlomagno nella badia di Vezzolano a Silvio Pellico nella villa Barolo.

Tutto ride e spira pace colà d'intorno; e lo stesso Eridano scorre pacifico, come placido lago, sotto i veroni del castello turrito, che fu stanza di amori e di ozi soavi: e coi balli, i caroselli e i tornei, onorò le feste nuziali de' nostri Principi.

Mentre le sale del Castello echeggiavano di clamorosi tripudi, sulle acque del fiume furono veduti vivaci simulacri di fiorite isole allegrate di canti e allegoriche rappresentazioni; e in compagnia di molte navicelle adorne fu veduto il nostro Bucintoro, foggiato nel 1731 sul famoso di Venezia, passar fra gli evviva dei Subalpini, ricco d'intagli, dorature e simboliche immagini, leggiadro monumento dell'arte scultoria in legno.

Nel castello del Valentino tutto è sorriso e pace: ma la duchessa Cristina nello splendore della bellezza e delle feste più volte sarà stata assalita dalle squallide memorie dell'assedio di Torino, opera del suo fratello e del Richelieu, ostili ai Principi di Savoia.

Altro sanguinoso assedio ebbe a sostenere l'eroica Torino contro le ambizioni francesi, e fu il famosissimo del 1706, il quale fece persuaso l'orgoglioso Luigi xiV non poter sempre i grandi e forti riuscire a ciò che ingiustamente vorrebbero.

Nella lunga e terribile guerra della successione di Spagna, Vittorio Amedeo II, Duca di Savoia, accostossi alla lega de' potentati, che volevano porre sul trono spagnuolo un Principe austriaco, mentre Luigi xiV voleva stabilirvi il Duca d'Angiò, suo nipote. Dopo varie vicende la somma delle cose della guerra in Italia parve tutta restringersi intorno a Torino. Infatti quel superbo che soleva dire: Lo Stato sono io, deliberò di sbalzar di seggio Vittorio Amedeo, mandando poderosa oste a debellarne la metropoli.

La notte del 2 di giugno 1706 le milizie nemiche superiori alle nostre per numero non per valore, e capitanate dal vanaglorioso La Feuillade aprirono la breccia, facendo prima interrogare Vittorio Amedeo dove avesse l'alloggiamento per risparmiarlo nelle ostilità. Il nostro Duca rispose: Il mio quartiere è sui bastioni della cittadella. Però uscì di Torino dopo di averla vettovagliata e munita coi propugnacoli dell'ingegnere Bertola; e volteggiando nella campagna, si diede con indicibile ardire a molestare qua e gli assalitori. Il qual modo di offesa alla spicciolata fu la salute della città, perchè l'assedio si potè tirare in lungo tre mesi ed avere l'aspettato soccorso.

Combattevasi a cielo aperto e nelle tentate viscere della terra, e il suolo fecondo di morte era ben disposto a sconvolgersi contro gli assediatori. L'ultimo giorno d'agosto, già i Francesi da Porta Susa mettevano piede in Torino, passando sotto le opere avanzate della cittadella, ma il sergente artigliere minatore Pietro Micca, di Sagliano d'Andorno, risolvette di far saltare in aria ponti e bastioni, e fatto allontanare un suo compagno tentennante, ch'ei disse più lungo d'un giorno senza pane, diè fuoco alla mina, che con orrendo fracasso e magnanimo disastro seppellì sotto le rovine lui e i nemici, entrati in quelle insidiose gallerie.

Cinque giorni dopo, Maria Bricca coglieva all'impensata e faceva prigioni i nemici in Pianezza; e l'otto di settembre l'ardimentoso Principe Eugenio, giunto in buon tempo, saliva con Vittorio Amedeo da Chieri a Superga e dirigeva quella battaglia decisiva che fu detta di Torino, la quale toglieva l'alta Italia ai Francesi, dava gloria al Piemonte, e rassodava in soglio la Sabauda dinastia, i cui signori di Conti e Duchi, pel trattato d'Utrecht diventarono Re.

Chi mai potrebbe adeguatamente descrivere gli atti del valore subalpino in quel famoso assedio? Anco i fanciulli lavoravano ne' sotterranei, e le donne anch'esse, giovani e adulte, matrone e popolane, non atterrite dallo scoppio delle mine, dal tonare delle artiglierie e dalla pioggia fiammante delle bombe, fra i cadaveri e le macerie, accorrevano, italiche amazzoni, trasportando tavole, vinchi, fascine e masserizie d'ogni maniera, dove più fiero era il pericolo, nei luoghi infestati dalle batterie nemiche.

Le chiese sonavano di preci; i sacerdoti benedicevano i martiri della patria; i Principi Sabaudi e i Piemontesi, pigliando in gloria i patimenti, onoravano il loro secolo e il nome italiano; imperocchè l'augusta città della Dora erasi fatta un quartier militare e tutto il popolo un esercito combattente per la indipendenza e l'onore dello Stato.

Torino è dunque giustamente ammirata per le virtù guerresche, e n'è costante maestra nelle sue massiccie caserme, nelle famose scuole d'artiglieria, e nella celebre Accademia militare, che diede al Piemonte i più grandi ufficiali del Genio, e che da ora in poi li darà al Regno d'Italia. Inoltre ci ammaestra coi preziosi documenti di valore raccolti nel Museo d'artiglieria, diretto dal capitano Angelo Angelucci da Todi, accurato e vivace scrittore di archeologia militare; e con quelli dell'Armeria Reale, splendido subbietto a' miei versi.

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License