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XII.
La Dora è dunque prodigiosa per instituti d'istruzione popolare e di beneficenza.
Con tali considerazioni errando per le frequentate vie di Po e Doragrossa, e traversando dall'uno all'altro quartiere, presso i palazzi, i teatri e le chiese, e fra i magazzini sfavillanti di sete e gemme, è dolce incontrare in ogni parte scuole, spedali ed asili.
Mentre l'insegnamento e la carità assicurano la civiltà presente e futura, le industrie sotto i portici, nelle piazze e nei tre edificii testè eretti ai mercati, coll'assiduo lavoro alimentano i traffichi e soccorrono ai bisogni della vita. Qui però si ode il romore delle fucine, il cigolìo dei carri e lo scalpitìo de' cavalli, non lo schiamazzare della gente meridionale. Il commercio opera fra noi austero ed onesto con voce sommessa, come lo trovai nei popolati bazari di Giannina appiè del Pindo. Nella città dell'Epiro il silenzio de' mercati mi dava l'idea d'un popolo ancora atterrito dalle memorie del tiranno di Tepelleni. Invece nelle simmetriche e libere vie di Torino il silenzio è l'espressione d'un popolo che fa più che non dice, e ordinatamente.
Così Torino potè sempre più crescere di fama, di abitanti e di ampiezza. Il Cibrario, nella Economia politica del Medio Evo d'Italia, dice che Torino nel 1377 aveva 700 fuochi, rappresentanti 4,200 individui. Il Bottero in sul tramonto del secolo xvi non assegnava a Torino che 17,000 abitanti, i quali per la pestilenza del 1630 si ridussero a 12,000, come lasciò scritto il protomedico Fiochetta. Il conte Prospero Balbo, nel 1831, pubblicò una Tavola autentica del progresso della popolazione di Torino nel secolo XVIII, dalla quale risulta che nel 1706 Torino contava 41,822 abitanti dentro città; nel 1727 ne aveva 64,803 co' borghi e il territorio; nel 1760 - 79,588; nel 1786 - 89,752; nel 1796 - 93,076, e nel 1799 solamente 80,752. Da quel tempo ad oggi la popolazione di Torino giunse a 160.000, poi a 180,000, e non ha guari a 200,000 e più abitanti.
Quando Torino era colonia romana, la sua forma era quadrata, come il vallo d'un accampamento, poi fu accresciuta ad occidente dell'isolato di S. Dalmazzo, del Monastero di Santa Chiara, di Piazza Paesana o Susina e del recinto spazioso della Consolata. Tal era all'entrare del secolo X, quando le mura della città vedevansi munite di spesse torri, e quando le girava tutto all'intorno una comoda galleria, sopra la quale ergevansi opere di difesa. Il matematico Niccolò Tartaglia, bresciano, lasciò scritto che i lati nord e sud delle mura di Torino correvano lo spazio di 360 passi, e gli altri due un po' meno: sicchè la forma quadrilunga della città era di circa 1400 passi di giro, cioè un miglio italiano e 100 passi geometrici. Dalla metà del secolo xvi in cui il Tartaglia verificava questa misura, fino al giorno d'oggi, s'andò la città mano mano ampliando, sicchè il suo perimetro dentro la strada di circonvallazione è di metri 7,750, cioè 4 miglia geografiche abbondanti, e, compresi i due borghi di Po e di Dora, 11,450 metri, cioè un po' più di 6 miglia. Tal era l'area di Torino nel 1840. Oggi è d'assai aumentata per gli altri borghi di S. Salvatore o Salvario, di S. Donato, di Vanchiglia e di Valdocco. Del nuovo non occorre parola; perchè essendo sorto fra la via arborata di circonvallazione (a guardatura di mezzodì) e quella dello Spedale, dove erano informi prati e vecchie cascine, non ha fatto che vestir di fabbriche grandiose una superficie entro città; sicchè, a rigore, l'appellativo di Borgo non gli si addirebbe.
Il Municipio torinese nobilitò non poche delle antiche vie, mutando i vecchi nomi con altri illustri; e appellò le nuove da grandi uomini piemontesi e da grandi fatti sabaudi. Onde leggiamo i nomi di Lagrangia, Andrea Doria, Carlo Alberto, dove erano i Conciatori, i Carrozzai, la Madonna degli Angeli; Bottero dov'era il Fieno; l'Accademia Albertina dov'era l'Arco e la Posta. Così la via de' Macelli ha ceduto il nome a quello dei Barolo; e l'Arcivescovato fece luogo a Cavour; la Barra di ferro a Bertola, i Guardinfanti a Barbaroux, le Quattro Pietre a Porta Palatina. Oggi il Cannon d'Oro è Montebello; piazza Susina o Paesana è Piazza Savoia; quella della legna si è convertita in Solferino. E diverse antiche stradicciuole si fregiano adesso de' bei nomi di Virginio, Vasco, Giulio, Siccardi, Assarotti, Perrone, Bava, Torquato Tasso! Senza dire di strade nuove, che si appellano da San Pio V, Berthollet, Baretti, Tesauro, Botta, Alberto Nota, Principe Tommaso, Gioberti, Silvio Pellico, Massena, Galliari, Assarotti, Manzoni! E Legnano, S. Quintino, l'Assietta, Goito, la Cernaia, non risveglian esse gloriose memorie? - Tanto deliberò il Consiglio municipale di Torino nella sua seduta del 19 giugno 1860; tanto eseguì senza indugio.
Le grandi piazze, per le quali è così segnalata la città di Torino, sono denominate da Carlo Felice, da S. Carlo, dal Castello, da Vittorio Emanuele I, da Emanuele Filiberto e da Carlo Emanuele II. Le mezzane, da Carlo Alberto, dal palazzo Carignano, dallo Statuto, dal palazzo Reale, da quello di Città, dal saluzzese Bodoni. Le minori sono appellate da Cavour, da Maria Teresa, da Bonelli, da S. Quintino, e dalle chiese del Corpus Domini e di S. Giovanni.
Torino è partita in quattro sezioni: del Po a levante, del Monviso a mezzodì, del Moncenisio a ponente e della Dora a tramontana. Da due monti e due fiumi hanno preso gli auspìci le quattro sezioni della città.
Il Po ad oriente la viene lambendo: quel Po che, al dire del Marini,
«...Accolto in cristallina cuna
Pria pargoleggia, indi s'avanza e cresce,
E tante forze in breve spazio aduna,
Che sdegna il letto, odia i ripari e n'esce».