Giuseppe Regaldi
La Dora

CAPITOLO QUINTO TORINO

XVII.

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XVII.

 

Diamo un cenno degli esempi della Scuola Piemontese, che l'Accademia Albertina può presentare a' suoi discepoli.

La Reale Pinacoteca, che dapprima avea sede nel Palazzo Madama, fu, ed opportunamente, trasferita al Palazzo de' Musei, significando così che le scienze e le arti deggiono vivere insieme per far prosperare le nazioni.

In due stanze della Pinacoteca si ammirano molte e belle opere antiche di artisti piemontesi, ed altre moderne nel Museo che il Municipio apriva nel giugno del 1863 nella via Gaudenzio Ferrari, quasi per collocarlo sotto gli auspici dell'Apelle di Valduggia, capo della Scuola Lombarda, a cui i Valsesiani con soscrizioni preparano in Varallo un degno monumento.

Nel Museo Civico sono raccolti oggetti di patria e straniera archeologia, e monete antiche di Grecia e Roma, e delle zecche dei Comuni e Stati italiani dal mille in poi. Vi ha preziose reliquie medievali e un vivido acquario in cui pesci, diversi di specie e di colore, guizzanti danno gaiezza al luogo severo. Ma lo scopo principale di quel Museo è la Galleria moderna dei quadri, fra i quali se ne ammirano parecchi di pennello piemontese, come dicevami il cav. Agodino conducendomi gentilmente a visitare le recenti opere del municipio torinese.

Ricordando la R. Pinacoteca e il Museo Civico, io veggo schierarsi a me d'innanzi dallo scorcio del secolo xV sino a noi gli illustri pittori subalpini, coi quali deggionsi pur ricordare scultori ed architetti nostri di meritata fama.

Primo ci si presenta in Alba, il Macrino; poi nel secolo xvi Val di Sesia si pregia dei fratelli Tanzio e di Gaudenzio Ferrari, che ebbe comune con Raffaello la scuola e la gloria. Nel medesimo secolo Vercelli va altera del Sodoma e del Giovenone, e Defendente De Ferraris da Chivasso, dipinge la stupenda icona di Ranverso. Nel secolo xvii fra i vigneti del Monferrato il Moncalvo insieme colle due figlie, protetto dalle Grazie, dipinge madonne ed angioli; il Molineri, detto il Caraccino, narra col pennello le vittorie dei nostri Duchi alla natale Savigliano, che fu pure la culla di Giovan Angelo Dolce, di Pietro Ayres e del lodatissimo incisore Arghinenti, allievo del celebre Porporati; e Nizza, che mai non cesserà di essere italiana, di quei tempi ricorda il suo Lodovico . Nel secolo XVIII Bernardino Galliari, della terra di Andorno, pittor di scene egregio, emulo del Bibiena, spargendo la sua fama in Europa, dipinge a Berlino, e fra noi colora d'affreschi la vôlta del Palazzo dell'Accademia Filarmonica, e adorna il R. Teatro d'una scenica tela, segno alla pubblica ammirazione: e il savoiardo Beaumont ritrae gloriose pagine dell'Iliade e dell'Eneide nelle vôlte della grand'aula in cui ammirasi l'Armeria Reale. In quel secolo le arti del dipingere e dello scolpire, l'incisione e l'architettura lasciano ai Subalpini grate memorie. I torinesi fratelli Collini adornano di scolture i palazzi della Metropoli e i sotterranei di Superga, il Cignaroli acquista nome nella pittura di paese, i fratelli Valeriani dipingono lodatamente di affreschi il R. Palazzo di Stupinigi. Ed ecco io veggo segnalarsi nell'architettura il Iuvara, cui deve Torino la maestosa facciata e i due mirabili scaloni del palazzo Madama, e l'edificio della Corte d'Appello, e Superga, e Stupinigi; e il Conte Alfieri architetto dei tre teatri, il Regio e quelli di Carignano e d'Angennes.

Non cessano ai nostri le splendide pruove dell'architettura subalpina. Già ammirammo il Senatore Mosca al Ponte della Dora. Carlo Promis e Alessandro Antonelli sono dotti maestri dell'arte di costruire; e Domenico Ferri, architetto decoratore de' Reali palazzi, fe' il disegno dell'edifizio destinato al primo Parlamento del Regno d'Italia, dandogli una facciata corrispondente alla maestà del luogo; e già si vede sorgere altero quel monumento dell'arte nostra, mercè l'opera dell'architetto Giuseppe Bollati. La stupenda recente stazione della Strada Ferrata in Torino è disegno dell'ingegnere Mazzucchetti; e il torinese conte Carlo Ceppi ottenne nel 1863 la palma fra i molti concorrenti al disegno della facciata del duomo fiorentino, opera da accoppiarsi al Campanile di Giotto.

Nel secolo nostro, oh quale miriade di splendidi ingegni mi si presenta nell'arte, cominciando dal nizzardo G. Battista Biscarra! Io riverente vi saluto, o Pelagio Palagi e Carlo Arienti, o Antonio Gaggini e Vincenzo Vela. Voi, sebbene non piemontesi di origine, siete gloria artistica della Dora, perchè foste chiamati a ragguardevoli uffizi nella nostra Accademia.

Altri bei nomi mi ricorrono in mente. Il Migliara di Alessandria fu mirabile nella pittura d'interne prospettive; Fabrizio Sevesi e Luigi Vacca furono frescanti e pittori scenografi di gran valore; Francesco e Guido Gonin, Enrico e Francesco Gamba, Gaetano Ferri, Andrea Gastaldi, Angelo Capisani, Ferdinando Cavalieri, Pietro Ayres, Camino, Perotti, Beccaria, Raimondi, i conti Corsi e Pastoris, e i due Felice, Cerutti e Biscarra, sono cari nomi che spesso udimmo ripetere ed encomiare in vari generi di pittura nelle annuali pubbliche esposizioni di Belle Arti.

meno della pittura più volte ammirammo nelle pubbliche mostre l'arte statuaria di celebri professori già accennati e dei valorosi Giovanni Albertoni, Giuseppe Dini, Scipione Cassano, Silvestro Simonetta e Carlo Caniggia. Che più? Anche la stampa detta umoristica, mostra quotidiana, vanta sulla Dora quattro bizzarri corifei a matita, Redenti, Allis, Teja e Virginio.

Le glorie subalpine sono di tutta la nazione, onde il Re e il Governo onorarono di commissioni e d'insegne cavalleresche parecchi de' nostri artisti, e la storia segnò i loro nomi sui nuovi allori dell'arte italiana.

 

 


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