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XXI.
L'augusta Torino, sede delle arti della guerra e della pace, strenua maestra di ordini civili, operò l'alleanza politica delle altre provincie italiane con sè, intorno allo scettro della Monarchia Sabauda.
Dopo la fatale iattura di Novara, da ogni parte convenivano in Piemonte gli esuli nostri fratelli, che col senno e colla spada eransi resi degni di riverenza e d'amore. Accolti sulle rive della Dora, in questo unico santuario di libera italianità, trovarono salubre il clima, quieto ed onesto il vivere, forte e liberale il Governo, non mai turbato da popolari tumulti. A tutti fu dato ospizio, ed a parecchi non mancarono agi e cariche luminose.
Lo spirito di carità levato al più alto grado qui cominciò la unione politica degli Italiani, che fu poi mirabilmente sancita coi trionfi di Palestro e di S. Martino, capitanati dal magnanimo Re Vittorio Emanuele II, e colle ardite imprese del Leone di Caprera.
Le Camere legislative, concordi al senno del Conte Camillo Cavour, decretarono che Roma fosse la futura metropoli del Regno d'Italia; onde opportunamente nel 4 agosto del 1861 Achille Mauri dettava il seguente sonetto
A Torino.
«Se pur fia che le fauste itale sorti
Tocchino alfine il sospirato segno,
E un ultimo trionfo a Roma porti
L'augusto seggio del novello regno;
«Nobil loco, Torino, e di te degno
Sempre otterrai fra le città consorti,
E andrai chiara per l'armi e per l'ingegno,
Per maturi consigli e l'opre forti.
«Nè Italia coprirà di turpe oblìo
I decenni tuoi vanti, e il largheggiato
A' raminghi suoi figli ospizio pio;
«Ma grata al tuo Camillo, e a quanti il senno
E il cor con lui le offrian, del gran conato
Dirà che i primi onori a te si denno».