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CAPITOLO QUINTO TORINO XXXIV. NEL SESTO CENTENARIO DI DANTE ALIGHIERI CELEBRATO IN FIRENZE | «» |
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NEL
Io lo vidi: il Cantor de' tre regni
Levò il capo dal lugubre piano,
Reggia e tomba il suo popolo aprì;
Per cammin di tempeste e di nubi
Affacciossi alla terra pentita,
Che tra i fiori gli diede la vita,
Ma, noverca, dal seno il cacciò.
Affacciossi con volto sereno,
Volentieri a colei perdonando,
Che l'ingiusta condanna del bando
Con superstiti onori ammendò.
Al vederlo, di Fiesole i côlli
Del più splendido april s'ammantarno;
Esultarono l'ossa nel Tempio
Della Croce, e risorsero i vati
Di Säulle e d'Arnaldo, svegliati
Da Colui che il lor verso animò.
Ei su l'Arno ritorna, chiamato
Dal desìo del suo Veltro promesso,
E consacra con mistico amplesso
Come, o Dante, mutarsi tu vedi
L'egra Italia, che serva ploravi
Di tiranni bordello e di schiavi,
Nella roba di piglio e nel sangue
Più non danno le arpie de' castelli;
Giostra rea non è più di fratelli
Del tuo sacro volume le carte;
Pria si fece concorde nell'arte
Poi coll'armi di Micca e Ferruccio,
Seppe farsi in te libera ed una,
Nelle leggi concorde e nel Re.
Nella fè del tuo divo pensiero,
E già torna al suo pristino impero
Coll'eloquio di Tullio e Marone
Coll'eloquio che informa il tuo verso
Da vetusto ed informe linguaggio,
Fra le plebi obblïato di Roma,
Germogliò con leggiadro idïoma
Crebbe al sole d'illustri memorie
Da Toscani cantata e da Sardi,
E si accese di spirti gagliardi
Nelle prove del patrio martir.
Ebbe alfin questa degna parola
Ed espresse fra gli odî fraterni
Viva sì ne' tuoi carmi, o Divino,
La bontà degli etruschi ardimenti,
Che l'incendio agitò de' tuoi carmi,
Nella possa irrompeva dell'armi
Onde valse il Tedesco a domar;
Che gli elettrici messi governa,
Del Cenisio negli antri s'interna
E di Sue ricongiunge i due mar.
Salve, nunzio dei veri superni,
Affratella in magnanimi intenti
Disgregate in lontane città.
Col tuo verbo risuscita i giorni
Ch'ebber vita dall'italo sangue;
E l'umano consorzio che langue
Torino, addì 25 dicembre 1865.
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