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VI.
Reliquia dell'antico Scingomago, Cesana è un paesello fra la Ripa e la Dora, con tettoie di abeti e di larici, con castelli in rovina, e dominato dall'antico campanile della Chiesa parrocchiale. Nel secolo decimosettimo contava sei mila abitanti, ora appena sei cento: piccolo popolo industre e procacciante.
Pochi in Cesana che non sappiano leggere e scrivere, e non siano laboriosi. Chiesi un barbiere, e mi fu mandato un Adrien, maestro di scuole elementari in Francia, poscia colono e barbiere in patria, ed usciere della Giudicatura.
In Cesana l'aria è salubre. Vittorio Alfieri la trovò ai suoi studi tanto benigna, che due o tre anni della stagione estiva quivi abitò la casa Ailliaud, dove scrisse parecchie tragedie. Se la vivida aria delle Alpi, il murmure della Dora e della Ripa, le selve e le valli del Chiabertone potevano nell'Astigiano svegliare la potenza degli estri, forsechè le memorie storiche del paese, un dì martoriato dall'idra feudale, gli hanno suggerito animosi versi contro le perversità della tirannide.
In capo al paese, sulla via che mette in Francia, salii il poggio abitato un tempo dai Marchesi di Cesana. Pochi avanzi del loro castello, in un piano seminato d'orzo, giacciono fra i larici che incoronano il dirupo, dove uno dei cortesi che mi accompagnavano tolse a narrarmi la fine toccata al signore del paese, al marchese Tolosano Desorus ed alla sua famiglia.
Quest'uomo era in odio al popolo perchè di balzelli e di mal governo lo angariava, e, quel che è peggio, oltraggiava alla onestà delle donne.
Avvenne che la giovane sposa d'un pastore, bella non meno che pudica, doveva, come già parecchie altre, soddisfare alla rea libidine del marchese. Lo sposo mosso da amore e gelosia, pensò, non indarno, allo scampo ed alla vendetta.
La sposa dovea la notte entrare nel castello a piacere del marchese, il quale, in sull'ora convenuta, al sommo d'una scala aspettava con ansia la pastorella, e non appena all'abito, all'andare ed all'acconciatura credette di ravvisarla entrata nell'atrio, che di subito scendendo le scale le corse incontro ad abbracciarla, ed in ricambio dell'amplesso s'ebbe al cuore un colpo di pugnale che lo stese morto.
Era il marito, che nelle spoglie della sua donna salvò il proprio onore e vendicò le scellerate onte imposte a' suoi conterranei.
Estinto il marchese Tolosano, rimanevano di lui il figlio erede e due figlie.
Il popolo voleva ad ogni costo disperso il mal seme de' tiranni, e riuscì nei suoi ardimenti.
Era il dì del Corpus Domini. Squillavano le campane, echeggiavano di musiche le vie; cherici e laici, uomini e donne di ogni classe accompagnando Cristo in sacramento celebravano quel dì solenne della Chiesa nostra. Cesana era in moto, ed il giovine marchese, per meglio godere in tutta la sua pompa la vista di quella sagra, cedendo all'invito degli scaltri consiglieri, salì la torre delle campane. E mentre di là vedea ondeggiare per le vie ilare il popolo a lui sottoposto, ed i canti della cristiana carità si ergevano fra le croci, le fiaccole e le schiere de' sacerdoti, il giovane marchese fu da quell'altezza precipitato giù e lasciato morto, e così terminò la signoria dei Tolosano, dalla quale non si aspettavano le genti governo giusto ed amico.
Inorridirono le due orfane sorelle, e, mutate le gemme del domestico fasto nel velo de' claustri, lasciarono Cesana per chiudersi in un monistero di Oulx, dove pregando perchè cessassero le maledizioni su le ceneri dei parenti, largheggiando di limosine, uscirono da questa miserevole vita, compiante, ed in pace con Dio e cogli uomini.
Di tale leggenda non ho trovato nessun riscontro nelle istorie. Certo non si può riferire al secolo passato, come si voleva farmi credere, ma conviene cercarne l'origine nel xii o xiii secolo; difatti trassi da un libro francese che un'iscrizione gotica dietro all'altar maggiore della chiesa de' Francescani di Brianzone, diceva che Antonio Tholosano, dottore in legge e fondatore di quel convento, viveva nel 1390, ultimo della famiglia e degli antichi Marchesi di Cesana.
Del resto, avvenimenti o leggende di tal fatta odonsi raccontare fra le rovine di altri castelli, improntati della barbarie feudale: o sia che gli uomini si accordino talvolta nel modo di disfarsi dei loro oppressori, o che la posterità ami alle leggende popolari annestare simili racconti per insegnare che il potere malamente usato non di rado si converte in supplizio, e forse anche la terribile dottrina, che negli estremi ogni spediente è lecito solchè valga a frangere la tirannide e vendicarsi in libertà.