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VIII.
Accennare le trote di Cesana e non l'artifizio della loro pesca, non mi si perdonerebbe da nessuno di quegli alpigiani.
Si accolgono dunque cinque pescatori. Due portano legni resinosi spiccati dalle prossime foreste, un altro tiene una padella foracchiata nel fondo, il quarto una rete triangolare, contesta a guisa di un berretto da notte, sospesa ad un bastone spaccato alle estremità, ed il quinto brandisce una sciabola. Si mettono legna accese entro la padella, la quale da uno dei cinque viene pel manico sospesa in su l'acque, e l'uomo armato di sciabola che gli sta ai fianchi, colla mano sinistra riparandosi gli occhi da quella luce, aspetta le trote, che, quasi affatturate dal bagliore della fiamma, si approssimano: allora egli dà un colpo sul dorso alle improvvide, che, non appena tocche, salgono a fior di acqua boccheggianti e dalla correntìa sono spinte nella rete che le fa prigioniere.
Con tali arti si hanno pescagioni abbondanti, e meglio uno spettacolo che a Gherardo delle Notti avrebbe facilmente inspirato uno di que' singolari dipinti che gli diedero il nome.
Prendendo commiato dalla modesta locanda, La Croce bianca, lessi nella cameretta da me abitata, in un quadro ben lavorato a ricamo di seta: La vertu, la candeur et l'amitié des parens sont le vrai bonheur.
Queste parole, affetto e lavoro delle due leggiadre figlie della casa, mi lasciarono nell'animo una fragranza di caste immagini, come le rose di Damasco quando io mi allontanava da quella popolosa città della Siria.