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XVI.
L'Assietta.
Sognai... i sogni dei poeti sogliono essere frequenti di visioni, e fu tale il mio nell'Arcadia d'Exilles.
Mi sentii trasportato a quattr'ore di cammino fra Exilles e Fenestrelle, su d'un colle fremente di guerra. Io mi sentiva levato sul colle dell'Assietta, cerchiato di povere trincee senza fossi e palizzate e senza artiglierie; ma lo fortificava più che mai la bravura dei soldati piemontesi, che, dal conte di Bricherasco capitanati, difendevano il varco delle Alpi contro la cupidigia dei vicini stranieri.
Io vedeva quaranta battaglioni francesi divisi in tre colonne, sotto il comando dell'audace cavaliere Bellisle, avventarsi con indicibile ardimento su per quei dirupi al sommo giogo: ed ecco la colonna di mezzo con ventidue compagnie di artiglieria slanciarsi alla pericolosa meta, abbattere le trincee e farne rovina: ma i dieci battaglioni piemontesi bastano a respingere i ripetuti assalti d'uno de' meglio agguerriti eserciti di Francia; e invano le altre due colonne nemiche, a destra ed a manca, tentano l'ardua salita; imperocchè i soldati piemontesi non piegano nè al valore nè al numero de' nemici.
Oh quale spettacolo d'orrore mi si presentava! Io udiva il rullar dei tamburi, lo squillar delle trombe e il continuo fischiare de' piombi fulminei, ed il rimbombo dei cannoni, e le grida dei combattenti ed il gemito dei moribondi, e vedeva giù dalle balze cader a fiaccacollo moltitudine di fanti e di cavalli, e scorrere a torrenti il sangue, ed a poco a poco una densa nuvola di fumo avvolgere nella sua oscurità l'un campo e l'altro, e con essi gl'Italiani ed i Francesi che si contendevano la vittoria.