Gerolamo Rovetta
I Barbarò

VOLUME II

PARTE TERZA GLI ONORI.

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VOLUME II

 

 

PARTE TERZA

 

GLI ONORI.

 

 

 

I.

 

Francesco Alamanni conservava ancora nella sua maschia natura di cospiratore e di soldato le idealità e i poetici entusiasmi dei vecchi romantici del quarantotto. Buono come chi è veramente forte, indulgente come chi è profondamente onesto, era ottimista fino a parere ingenuo. Per le molteplici vicende della sua vita avventurosa, trascorsa fra le cospirazioni, il carcere, l'esilio e le battaglie, non avea avuto tempo agio per imparare a conoscer uomini, specialmente gli uomini moderni, e per acquistare la pratica, la vera pratica, delle cose. A sessant'anni, colla bella persona alta e asciutta, col viso in cui spirava la serenità dolce dei forti, e la lunga barba, d'un biondo reso chiarissimo dalla canizie, pareva l'uomo di un'altra epoca; la figura di un eroe magnanimo, che si fosse staccata da un quadro storico dei tempi epici, e che dovesse trovarsi a disagio in mezzo al formicolìo basso e minuto della vita usuale. Quantunque parecchie volte fosse rimasto ingannato dai furbi e dai bricconi, pure l'ipocrisia e la malizia altrui non avevano giovato alla sua esperienza. Egli rimaneva sempre lo stesso; i dolori gli potevano spezzare forse, ma non mutare il cuore. E così era pure del suo carattere, tutto di un pezzo e di grana nitida e lucente, come una statua di marmo pario; così de' suoi sentimenti, così delle sue opinioni. Nulla poteva piegarsi, corrompersi in lui; e però se Francesco Alamanni era verso gli altri assai mite e indulgente, era severissimo con stesso; e se, come imponeva il dovere di vecchio cospiratore, sapea mostrarsi insensibile alle seduzioni della vita, e dominare e vincere i propri affetti e le proprie passioni, tuttavia, come un soldato, sentiva eccessivamente il punto d'onore.

Mentre si trovava ancora ferito, e gravemente, nello spedale d'Innsbruck, aveva già scritto a qualche suo amico di Milano (gente dell'altro mondo come lui) per avere informazioni intorno al signor Pompeo Barbarò. Queste gli erano state mandate assai contradittorie; ma tali, in ogni modo, da inquietarlo seriamente.

- E Donna Lucrezia, - pensava l'Alamanni fra , crollando il capo, dopo aver ricevute quelle notizie, - Donna Lucrezia che mi vantava tanto l'operosità e i talenti del signor Pompeo, e la bontà, il coraggio e il disinteresse del figliuolo?!... Bei talenti davvero!... È proprio senza testa, Donna Lucrezia, proprio senza testa!... - E le scrisse subito una lettera di fuoco, imponendole di allontanare i due giovani quanto più le fosse possibile, e di rimandare ogni risoluzione relativa al matrimonio della nipote, sino al giorno in cui egli avesse potuto recarsi a Milano.

Ma la ferita era assai grave, e fu lunghissima la cura e la convalescenza; l'Alamanni dovette aspettare parecchio tempo prima di potersi mettere in viaggio, e la Balladoro lasciava intanto che i due giovani continuassero a vedersi, brontolando che lo zio Francesco non aveva alcun diritto di mettersi a fare il sior Todero; che non si era mai dato alcun pensiero della Mary; e che bisognava esser matti, proprio matti da legare, a voler porre ostacoli a un'unione che era addirittura un.... un vero idillio, per l'amore sconfinato dei do tosi.... e per tutto il resto.

Ma se era lecito brontolare, quanto a concludere il matrimonio, non c'era verso; bisognava attendere l'arrivo dell'Alamanni. Questi capitò a Milano che non era ancora interamente rimesso in salute, e sulle prime cominciò a dubitare che le informazioni avute intorno a Pompeo Barbarò non fossero veritiere. In fatti i conoscenti, anche i più lontani, lo fermavano per istrada, congratulandosi e compiacendosi con lui per le voci che correvano intorno allo splendido partito che si offriva alla sua bella nipotina. Ma poi, appena ne parlò di proposito con qualche persona fidata, e venne in chiaro del famoso processo dei fornitori, non volle saperne di più; andò sulle furie contro Donna Lucrezia, la rimproverò, la strapazzò per aver messo in pericolo il buon nome della Mary e di tutta la famiglia, e le intimò di dichiarare al figlio di quel certo signor Barbetta di smettere ogni idea, ogni speranza, che avesse potuto concepire sul conto della signorina Alamanni. Alla Mary non parlò meno risolutamente: "Finchè sei minorenne" le disse "mi opporrò sempre a una simile unione; dopo potrai anche accettarla.... qualora ti senti l'animo di far morire tuo zio di dolore e di vergogna." Poi, infine, colla scusa che la sua salute aveva bisogno di rinfrancarsi in un clima più dolce, deliberò di recarsi a Nizza per i mesi d'autunno e d'inverno, e volle che la Mary lo accompagnasse.

- Mia nipote - pensava il brav'uomo - ha un paio d'anni da aspettare, prima di essere maggiorenne. E in un paio d'anni si può guarire anche di una ferita d'amore!

Ma lo zio Francesco in vita sua non aveva avuto altro amore che l'Italia, e però non era molto pratico di certe cose, e dovette avvedersene subito, nelle prime settimane che si trovava a Nizza, perchè mentre lui si rimetteva in salute, la nipote dimagrava e intristiva ogni giorno.

E appunto per lo stesso motivo, cioè per la sua ignoranza delle donne e dei misteri e dei bisogni del loro cuore egli, in quell'occasione, non aveva neppur saputo prendere la Mary per il suo verso; e quantunque le volesse molto bene, aveva finito col parere, e fors'anche coll'essere, un po' troppo severo, un po' troppo crudo, nella sua inflessibilità.

Da quel giorno in cui aveva dichiarato alla Mary di opporsi al suo matrimonio, l'Alamanni, sperando che la fanciulla in tal modo riuscisse più presto a dimenticare, non le aveva più detto una parola che potesse riferirsi al suo gran dolore, alle sue speranze distrutte.... Più nulla; come se Giulio Barbarò fosse morto o, peggio, come se non fosse mai esistito. - Non lo doveva più sposare; perchè ricordarlo, perchè parlarne ancora?... - Da quel suo silenzio medesimo, così fiero, così assoluto, essa doveva convincersi sempre più che ogni tentativo di nuovi accordi sarebbe stato respinto.

Ma Francesco Alamanni non sapeva intanto che, se lui ragionava colla testa, sua nipote, invece, ragionava col cuore, e per ciò essa doveva condursi a risoluzioni meno salde e a conclusioni assai diverse.

La Mary, prima ancora dell'arrivo a Milano dello zio Francesco, e precisamente all'epoca del Processo dei fornitori, aveva cominciato a non sentirsi più tanto sicura sul conto del vecchio Barbarò. L'ambiente del salotto, non più giallo, ma cremisi, colla tappezzeria nuova, rimaneva fedele e molto favorevole al signor Pompeo; ma la fanciulla era inquieta, impensierita, e spesso, dopo aver fatto animo al buon Giulietto, che si sfogava con lei lagnandosi delle calunnie infami che la malignità e l'invidia della gente mettevano in giro contro suo padre, si ritirava in un cantuccio, dove non potesse esser vista, e si scioglieva in lacrime, tutta sconsolata. Ma poi, dopo aver pianto lungamente, il suo cuore medesimo finiva ancora per rassicurarla: il figliuolo non doveva portare la pena delle colpe del padre. E questa massima umana e democratica essa aveva tentato pure, nel primo colloquio avuto collo zio, di farla accettare anche a lui; ma lo zio, pur troppo, non ne era rimasto persuaso.

- Sta bene, - aveva risposto alla ragazza, - sta benissimo, come tu dici, ma in regola generale. Nel caso presente il figliuolo fa il signore e si diverte coi danari rubati dal babbo, e se questo matrimonio dovesse mai succedere, tu, un'Alamanni, una mia nipote, andresti in casa Barbarò a.... a fare altrettanto!

La Mary, in sul primo, n'era rimasta scossa e atterrita; ma poi, ritornando a ragionare a modo suo, sempre col cuore, andava pensando che "il figliuolo" avrebbe potuto rinunciare ai danari del babbo, procurarsi un impiego, vivere del proprio lavoro, e allora.... allora anche lo zio Francesco non avrebbe avuto più niente da dire!

Ma c'era anche un altro ostacolo, e questo creato dalla Mary stessa, e che si opponeva alla sollecita effettuazione del suo disegno. Essa non avea voluto che fosse palesata a Giulio tutt'a un tratto, brutalmente, la vera cagione per cui lo zio Francesco era contrario al loro matrimonio.

- Chi sa - pensava spaventata - chi sa come il poveretto resterebbe colpito da una simile scoperta! - E per ciò volle facessero credere a Giulio Barbarò che lo zio rifiutava il suo consenso per antipatia personale, per divergenza d'opinioni politiche, perchè gli era parso che Giulio Barbarò fosse ancora troppo ragazzo, perchè voleva aspettare a maritar la nipote che fosse maggiorenne; in somma per una specie di capriccio: tutte scuse che non persuadevano Giulio, e che invece impedivano alla Mary di parlar chiaro.

Ma la verità non doveva tardar molto, in ogni modo, a venire a galla, e la fanciulla medesima lo sperava pur consigliando, per il momento, di nasconderla al povero giovane. Desiderava solo che il Giulio, indovinandola a poco a poco, avesse più forza di sopportarla, e di prendere quell'unico partito che rimaneva loro per essere ancora uniti e felici.... sì, felici. La buona Mary si sentiva capace di guarire, di lenire almeno, col suo grande amore, la ferita di Giulio, per quanto profonda e dolorosa!

E con questa speranza da cui solo traeva coraggio per reggere al doloroso distacco scrisse, di nascosto dello zio, una lunga lettera al suo innamorato, prima di partire da Milano; in essa gli diceva aperto "di sperar molto nell'avvenire," e lo assicurava che "se mai non avesse potuto essere sua moglie, non avrebbe sposato nessun altro e che, piuttosto, si sarebbe fatta monaca."

Ma nonostante questi conforti Giulio Barbarò rimaneva accasciato, come istupidito, sotto quel colpo terribile: non aveva la forza di reagire, di lottare, di difendersi; soffriva un gran dolore e un grande avvilimento; si sentiva il cuore rotto, spezzato, e non osava lamentarsi; aveva vergogna e insieme paura delle sue stesse lacrime.

I pietosi inganni della fanciulla non gli avevano giovato: la verità gli era subito apparsa, dinanzi agli occhi, inesorabile, spietata, rendendo vana ogni consolazione, distruggendo ogni speranza.

Donna Lucrezia aveva un bel protestare contro "quel mato che metteva la politica prima del cuor;" aveva un bel gridare il signor Pompeo che l'Alamanni, "ad onta della sua rep.... pubblica cercava pretesti e scuse per non imparentarsi col figlio del suo.... di chi, insomma, non discendeva dalla costola di Adamo." Giulio pallido, stralunato, li lasciava dire, ma pensava sempre alla risposta dello zio che la fanciulla gli aveva riferito a Desenzano: "egli non faceva caso della nascita delle ricchezze; voleva soltanto che il nome fosse di gente onorata." Dio, Dio! C'era dunque qualche cosa di vero nelle infamie ch'erano state messe in giro?... E l'infelice si chiudeva in casa, non voleva più veder nessuno; non osava interrogare suo padre, pretendere una risposta esplicita, chieder ragione all'Alamanni.... pensava di partire, di fuggire lontano, ma finiva sempre col non risolvere nulla e collo struggersi sempre più, chiamando la Mary fra le lacrime, disperandosi, invocando la morte.

In quanto poi al signor Pompeo, sebbene avesse indovinato il segreto travaglio del figliuolo, non era molto preoccupato. Gli consigliò, per distrarsi, di fare un viaggio di piacere, di andar a vedere Parigi e Londra. Il signor Pompeo sperava nel tempo; era intimamente persuaso che quel matrimonio, presto o tardi, si sarebbe combinato ugualmente; ma se poi, non per colpa sua, doveva proprio andare a monte, egli, tranquillo nella propria coscienza, e sicuro di aver fatto anche più di quanto avea promesso alla povera Betta, non se ne sarebbe troppo addolorato.

Adesso Pompeo Barbarò era in auge: dopo il prestito delle ottocento cinquanta mila lire offerto spontaneamente alla Banca degl'Interessi Lombardi Provinciali, il Prefetto lo aveva proposto cavaliere e il Consiglio di Amministrazione, con a capo il marchese di Rho, gli aveva offerto un pranzo d'onore al Ristorante della Borsa. Suo figlio, dunque, non aveva più bisogno, per mettersi a posto in società, d'imparentarsi cogli Alamanni e di sposare una ragazza che non aveva un soldo di dote! Il posto gliel'aveva procurato lui... col sudore della fronte!

Chi un giorno doveva pentirsi di quello sproposito era il Signor rep...pubblicano: Francesco Alamanni!... Bel matto, davvero!... Ma sotto, in tutto il pasticcio delle informazioni e del rifiuto, vi doveva entrare anche lo zampino della marchesa Angelica.

- Ah Marchesa, Marchesa!... Bisogna stare in guardia!... Presso la Banca degl'Interessi Lombardi Provinciali vi sono alcune cambialette colla firma vostra e del marito, e per quella via forse, chi sa, potrò avervi ancora fra le mani.... e vendicarmi!

- E... e Giulio?... Giulio che diventa ogni giorno più magro e sparuto?... Deve mettersi a viaggiare per distrarsi; non c'è altro rimedio!... Deve andare a veder Parigi e Londra!

Ma invece il povero ragazzo, ostinato a rodersi l'anima da solo e in silenzio, non volle muoversi da Milano e finì coll'ammalarsi. Poi, quando cominciò a lasciare il letto, non potè più resistere e scrisse un'ultima lettera alla Mary, facendole intendere, senza dirle nulla apertamente, tutte le pene e le angosce del proprio cuore; soggiungendo che era stanco della vita oziosa e disoccupata, e che avea pensato di procurarsi un impiego... che voleva avere uno stato indipendente... che voleva vivere del proprio lavoro.

Era insomma la risoluzione desiderata, sperata, sognata dalla fanciulla. Essa baciò e ribaciò la lettera cara: si sentì orgogliosa del suo Giulio, e lo amò in quel punto come tanto non lo aveva amato mai. No, no! Non si era ingannata nel giudicarlo; sapeva bene che il suo Giulio era buono, onesto, fiero; che avrebbe tutto sacrificato per lei; che non avrebbe esitato un momento dinanzi all'idea del dovere e dell'onore. Chi si era ingannato invece era stato lo zio Francesco; sì, sì, lo zio Francesco era stato ingiusto... era stato... sì, era stato cattivo, col suo Giulio; povero Giulio caro!... E così la lettera del giovanotto ebbe subito in risposta un'altra letterina della Mary che riuscì, se non a consolarlo, a calmarlo un poco, che gli ridonò un filo di speranza, che lo fece correre a Nizza, perchè anche la fanciulla gli scriveva di essere ammalata e che "lo voleva almeno vedere!..."

Lo zio Alamanni, come per lo più succede in simili casi, non ne avea saputo niente di questi nuovi disegni; soltanto cominciò in breve a tranquillarsi a proposito della Mary, vedendo che riprendeva a poco a poco i bei colori e che tornava a mostrarsi espansiva, colla sua solita allegrezza, piena di brio e di vivacità.

- Abbiamo vinto!... Abbiamo vinto!... - mormorava il buon vecchio fra , pienamente soddisfatto. - Lo dicevo io che il tempo doveva risanare anche le ferite del cuore!

E tanto più l'Alamanni si compiaceva di questo ottimo esito avendo ricevuto da Milano, appunto in que' giorni, nuove rivelazioni importantissime e non meno edificanti delle altre sul conto "di quella buona lana del cavalier Barbetta!"

- Donna Lucrezia deve proprio aver perduta la testa - mormorava fra - per consigliare un simile matrimonio. È troppo di buona fede e troppo facile agli entusiasmi, quella benedetta donna!... si lascia commuovere dalle romanticherie sentimentali e intanto fa continui spropositi per eccesso di buon cuore!... Ma per fortuna sono capitato ancora in tempo.

E contentissimo della risoluzione presa, e soddisfatto assai per il contegno della Mary, una sera, appena ritornato a casa, dopo aver fatto con essa una piacevole passeggiata lungo la spiaggia, mentre la ragazza stava preparando il thè entrò, per la prima volta dopo tanto tempo, a parlare ancora di quel matrimonio, quasi coll'aria di voler ricambiare la sua docile arrendevolezza con altrettanta confidenza.

- Sai, Mary cara, devi proprio ringraziarmi di aver fatto la parte del tiranno, e puoi chiamarti ben fortunata di avermi dato retta.

- Perchè, zio? - domandò la ragazza cogli occhi scintillanti, in cui pareva ci fosse ancora un riflesso della deliziosa passeggiata fatta in riva al mare e al chiaror delle stelle. - Perchè, zio? - e gli offrì la tazza fumante del thè.

- Perchè quel cavalier Barbetta-Barbarò è più canaglia ancora di quanto si credeva. È proprio vero che teneva per suo conto un'Agenzia di prestiti in cui strozzava la gente!... Ma tutto ciò è ancora poco... è un niente in confronto del resto che ho saputo.... Sai come ha incominciato a mettere insieme i primi soldi?... Col far la spia!

- La spia?! - esclamò la fanciulla senza poter reprimere, in sul primo, un moto di ribrezzo e quasi di terrore. Ma poi si calmò prontamente, mormorando: - Non è possibile, zio mio, non è possibile!... Sono esagerazioni, non bisogna credere a tutte le ciarle.

In quel punto, dalla strada, e proprio sotto alle loro finestre, si udì lo strisciare del ferro di un bastone contro il marciapiede. La Mary arrossì leggermente, i suoi occhi scintillarono di nuovo, e cominciò a mostrarsi un po' nervosa e distratta.

- Eppure - continuò lo zio Francesco - quanto ti dico è la pura verità. Il signor cavaliere ha cominciato la propria carriera facendo la spia all'Austria. Per il momento ci mancano i particolari del fatto; ma c'è chi li sta raccogliendo e gli avremo in breve, e allora... allora faremo la festa a questo imbroglione che ci ha mandato a combattere in Tirolo con fucilacci rugginosi, da comparse! È ora di finirla; e di questo signor cavaliere, appena avrò in mano le prove, me ne incaricherò io stesso!

- Ah no, zio, te ne supplico!

- No?... Perchè no? - esclamò l'Alamanni fermandosi a mezzo dal sorbire il thè, colla tazza alzata in una mano, il piattino nell'altra, e fissando attentamente la ragazza. - Perchè no?

Ci fu un momento di silenzio; la Mary pareva confusa, impacciata.... Lo zio crollò il capo, vuotò la tazza d'un fiato, e la posò con un atto di stizza sul vassoio.

- Per Dio, non ci vogliono debolezze verso le canaglie; e ripeto e sostengo che me ne incaricherò io, io stesso, del signor cavaliere!

- No, no, zio mio, sii buono!... Te ne prego, sii buono!... Intanto vedrai... non sarà vero che abbia fatto la spia....

- È verissimo: lo abbiamo saputo da buona fonte!

- In tal caso... gli devi perdonare. - E la fanciulla lo guardava supplichevole, cogli occhi atterriti. Adesso non era più nervosa, distratta, quantunque lo stridore del bastone strisciante sul lastrico della strada, che si era un poco allontanato, ritornasse un'altra volta ad avvicinarsi, e a ripassare sotto le finestre.

- Perdonare?... Gli devo perdonare?! - domandò l'Alamanni maravigliato e crucciato insieme.... - Perdonare?... A una spia?!

La casetta era posta in riva al mare, e il buon vecchio udiva solo il rumore monotono delle onde che si rompevano contro la scogliera. All'altro rumore, a quello del ferro del bastone, non ci aveva badato.

- A noi, in fine, - riprese la fanciulla balbettando nel cercare una scusa attendibile, e senza pensar bene a quanto stava per dire, - a noi, in fine, non ha fatto niente di male!

- Niente di male... a noi?... E sei tu, la Mary, che parli in tal modo?... Ma dove hai la testa, per ragionar così?... A che cosa pensi in questo momento? Appunto, s'egli avesse fatto del male soltanto a noi, direttamente, allora gli si potrebbe perdonare: ma invece no. È un dovere, un sacro, un imperioso dovere lo smascherare i falsi amici, i mercanti della patria. Noi abbiamo l'obbligo di bollare col ferro infocato questi vermiciattoli che fanno piaga e le infettano il sangue. Le canaglie come il Barbarò sono più dannose e pericolose degli stessi Tedeschi! Questi infine erano nemici aperti, dichiarati; volevano opprimere la patria, opponevano la forza della tirannide alle ribellioni della libertà; ma combattevano alla luce del sole, soldati contro soldati. Costoro invece, dopo averla tradita nell'ombra per arricchirsi, adesso sfrontatamente, sicuri dell'impunità che loro accorda la debolezza, la vigliaccheria e l'interesse altrui, vorrebbero fare della patria nostra il mercato delle loro cupidigie; il porto franco delle loro ladrerie!... Ma noi, gente onesta, noi, come abbiamo combattuto quegli altri, dobbiamo levarci a combattere i nuovi, i più esosi nemici: li dobbiamo combattere all'ultimo sangue, a viso aperto, a costo della nostra pace, dei nostri interessi, del nostro cuore, della nostra vita. Il Barbetta che faceva la spia, o il Barbarò che ci frodava, che ci tradiva durante la guerra è uno di costoro?... Ebbene, lui per il primo, alla berlina!... Alla berlina!...

- Ah no! - gridò la Mary con impeto, sempre più spaventata dalla collera e dalla terribile minaccia dello zio. - No, per carità; abbi compassione di me....

- Di te?!

- Di Giulio. Egli ne morrebbe!...

- E che importa? - rispose l'Alamanni fuori di . - Meglio così. Sarà dispersa, sarà distrutta la razza maledetta degli spioni!

- Ebbene - proruppe la fanciulla non più supplichevole tremante, ma pallida, risoluta, forte e fiera del suo amore - ebbene, fa ciò che vuoi, ma pensa che io pure sarò disonorata con Giulio, pensa che io pure morrò con lui!

- Tu?... Con lui?... Con Giulio Barbarò? - domandò l'Alamanni rimanendo come oppresso e atterrito.

- Sì, - rispose la Mary semplicemente; ma c'era tutto il sacrificio della sua vita, tutta la più ferma volontà del suo cuore in questa sola parola.

- Ma... ma non sai....

- So ch'egli non è colpevole delle colpe di suo padre, e non ne deve rispondere.

- Sì, ne deve rispondere perchè ne gode i frutti, ed è quasi come se ci tenesse mano!

- Egli ha sempre fatto il suo dovere: è stato soldato: s'è battuto; è un valoroso.... Adesso vuol procurarsi col suo lavoro uno stato indipendente, decoroso.... Quando ci sarà riuscito... ci sposeremo.

- Sposar... te?!

- Sì... e avrò diritto di andar superba del suo amore.

- Ma questi sono romanzi! - esclamò l'Alamanni soffocando la collera e il dolore per trovar modo di persuadere la ragazza. - Come vuoi che da un giorno all'altro possa procurarsi uno stato se non ha mai fatto nulla, se ha sempre vissuto col capo nel sacco?... Sono romanzi, ti ripeto; assurdità, stupidaggini! È Donna Lucrezia, colle sue fanfaluche, che ti riscalda la testa.

- No, la zia non c'entra. È stato Giulio che m'ha fatto questa promessa, e la manterrà.

- Giulio?... Quando?

- La prima volta che mi ha scritto, dopo di essere stato ammalato, e gravemente.

- Ma come?... Ti ha scritto ancora?

- Sempre, zio.

- Se credevo tutto finito fra voi due?

- No, zio.

- Dunque le tue promesse....

- Io ti ho obbedito, ma non ho promesso nulla. In casa del signor Pompeo non ci devo andare, ci andrò. Noi vivremo del nostro lavoro colla zia e con te... se vorrai.

Ci fu un altro po' di silenzio: poi l'Alamanni mormorò, crollando il capo e sospirando:

- Ed io, povero illuso, che ti credevo guarita....

- No, zio, - rispose la fanciulla sorridendo; - ammalata... peggio di prima.

L'Alamanni, cupo, imbronciato, non disse più una parola e si ritirò nella sua camera prima del solito, senza nemmeno abbracciare la Mary, come faceva sempre ogni sera.

Passeggiò su e giù per un'ora, e a mano a mano il dolore vinceva la collera. In fine si confortò un poco pensando che la battaglia non era ancora perduta, che aveva quasi due anni di tempo dinanzi a , e che certo, per quanto dipendeva da lui, non avrebbe mai avuto il rimorso di aver ceduto d'un punto. Occorrendo avrebbe anche trovato il modo di dare una buona lezione al signorino!

Intanto, era ciò che più premeva per il momento, voleva continuare a tenere la Mary a Nizza... lontana dalle chiacchiere di Donna Lucrezia che le facevano perdere il cervello... e lontana, specialmente, da Giulio Barbarò.

- Che coraggio, per altro, in quella ragazza! E quanta fermezza!

Poi, prima di andare a letto, pensò di scrivere appunto alla Balladoro, lagnandosi anche con lei per quanto era accaduto, e ingiungendole d'imporre in suo nome, al signor Giulio Barbarò, di tralasciare immediatamente di corrispondere anche per lettera, colla signorina Alamanni.

Bisognava tentare ogni via per dividerli quei due ragazzi, e per fare in modo che finissero col dimenticarsi.

Mentre l'Alamanni scriveva a Donna Lucrezia era tutto quiete e silenzio, dentro e fuori della piccola casetta. Solamente fra mezzo al gorgoglio incessante delle onde del mare si udiva ancora, a volte vicino vicino, a volte più lontano, lo stridore del ferro di un bastone che strisciava sul lastrico della strada... e c'era sempre lume alla finestra della Mary.

 

 

 

II.

 

Il giornale Il Moderatore aveva già cominciato, in breve tempo, a diffondersi e ad accreditarsi, e il merito di questo buon successo spettava in parte anche al professore Eugenio Zodenigo che, caso raro, era un uomo saggio e fortunato. In fatti, se la fortuna, più che altro, lo aveva messo a capo di un giornale, vi rimase poi, acquistando ogni giorno maggiore autorità per solo merito della propria prudenza.

Col trascorrere degli anni, mentre si inaridiva nel professore Eugenio la fonte poetica, due altre fonti invece, e assai più proficue, cominciarono a scaturire nel suo individuo: quella dell'agitatore elettorale, e l'altra del buon amministratore.... cioè di colui che per fas o per nefas riesce sempre a trovar danari quando gli abbisognano.

Ora, appunto come agitatore elettorale, egli aveva contribuito efficacemente alla rielezione dell'onorevole Silvio Caldarelli, uno dei comproprietari del giornale Il Rinnovamento, in cui lo Zodenigo era scrittore per la parte letteraria, e cronista. Tale rielezione pareva in sulle prime assai pericolante, per ciò il Caldarelli non solo fu grato al Professore del servizio prestatogli, ma lo prese a ben volere e quando, in seguito ad alcune divergenze nelle opinioni politiche, il Caldarelli uscì dal Rinnovamento per fondare il Moderatore, chiamò presso di lo Zodenigo, e lo fece amministratore di fatto e direttore di nome del nuovo giornale.

Silvio Caldarelli era uno degli uomini più onesti e simpatici della vecchia Destra; uno di coloro che avrebbero potuto far valere, e non avevan fatto valer mai, tutta una vita spesa in pro del proprio paese. Ma fra molte doti singolari c'era in lui anche un grosso difetto: il codino dell'oggi conservava, come Francesco Alamanni, la buona fede, l'ingenuità, gli entusiasmi dell'antico mazziniano. Pessimista in teoria, era ottimista nella vita pratica, e tutti gli altri giudicava da stesso... compreso lo Zodenigo.

Tuttavia, col tempo, e specialmente dopo certi elogi del signor Barbarò apparsi nel Moderatore, il brav'uomo cominciava a modificare un poco la propria opinione sul conto del Professore... quando, improvvisamente, morì a Roma di tifo, e così il giornale restò in piena balìa dello Zodenigo che lo fece uscire per tre giorni listato di nero, e che cominciando a mostrare la sua abilità di buon amministratore, mentre il cadavere era ancor caldo, e la commozione degli amici più viva, raccolse alcune migliaia di lire per pagare certi debiti del Moderatore di cui nessuno prima d'allora aveva mai sentito parlare, e che Silvio Caldarelli, sebbene fosse morto, com'era sempre vissuto, poverissimo, non si era mai sognato di fare.

Eugenio Zodenigo aveva subito compreso che il Moderatore poteva diventare nelle sue mani una fattoria e che il Caldarelli morto gli poteva giovare fors'anche più che vivo. Per ciò si pose con grande impegno a sostenere la parte dell'amico e del discepolo dell'illustre defunto, pretendendo di aver diritto alla proprietà del giornale, come alla eredità politica e morale del compianto fondatore. Ma (e qui mostrò la sua saggezza) diventato proprietario e direttore assoluto del Moderatore, lo Zodenigo continuò a lavorare molto nell'amministrazione e pochissimo nel giornale, dove di suo pubblicava solo di tanto in tanto, nei periodi delle elezioni politiche ed amministrative, alcuni brevi e succosi articoletti, dalla punta avvelenata, di cui egli aveva la specialità. Del resto se non scriveva nel giornale lo leggeva però sempre, e tutto, attentamente, per assicurarsi che non contenesse nulla che potesse urtare contro gli interessi dell'amministrazione, sopprimendo qua e qualche aggettivo, aggiungendo all'occorrenza qualche elogio o qualche biasimo, accorciando o arrotondando qualche periodo. Chi scriveva da capo a fondo, chi faceva tutto il Moderatore, versandovi la parte migliore del suo sangue sano e rigoglioso, era il dottor Nicomede Carpani, il redattore-capo; uno di quegli uomini rari che intendono il giornalismo davvero come un sacerdozio, e che al trionfo dei principii e degli ideali sacrificano interamente la propria persona, nulla domandando, nulla volendo per .

E anche Nicomede Carpani, con tutto il suo ingegno e la sua scienza, era un uomo di ingenua buona fede. Sempre sprofondato nel lavoro, colla vita esteriore limitata al pezzo di strada che faceva due volte al giorno dall'ufficio del Moderatore alla sua cameretta al quarto piano del Corso Garibaldi, non aveva tempo modo di fermarsi a osservare e a studiare chi lo toccava più da vicino. Egli che conosceva a fondo la mente, la vita, il valore di tutti gli uomini politici più notevoli, non conosceva ancora lo Zodenigo, il suo direttore. Sapeva bene che era un uomo più di apparenza che di sostanza, ma lo reputava un galantuomo dal momento che era stato l'amico del "compianto Caldarelli." Riconosceva che possedeva in sommo grado il tatto e il sussiego dell'uomo politico, e ciò pensava che tornasse utile al giornale e conveniente al partito; onde lo serviva sgobbando in vece sua, giorno e notte, e gli dava autorità e riputazione col proprio lavoro, vivendo miseramente col magro stipendio che riceveva a spizzico, mal vestito, mal nutrito, facendo colazione sul tavolino dell'ufficio, fra le bozze da correggere, soltanto con un pezzo di pane e una fetta di salame, mentre il direttore stava due ore al Caffè Cova a rinforzarsi lo stomaco con buoni beefsteaks à la Chateaubriand, e a godersi l'ammirazione e il rispetto della gente dabbene.

Però ben presto, quantunque il Moderatore continuasse a prosperare, lo Zodenigo invece, appunto per la vita da signore che menava, e per le spese proprie del giornale, tornò a trovarsi colla cassa vuota. Appena morto Silvio Caldarelli egli aveva chiamato a raccolta gli uomini del partito, formandone una società di azionisti, la quale aveva versata una certa somma che secondo i preventivi doveva assicurare la vita al giornale almeno per tre anni... Ma invece, come quasi sempre succede in simili casi, tutto il capitale era già sfumato allo spirare del primo.

Che fare?... Lo Zodenigo tornò a picchiare alla porta dei soliti amici, e ricordando i meriti e le virtù del compianto Caldarelli, "il suo secondo padre, il suo maestro," domandò un nuovo versamento, "perchè il Moderatore, che poteva chiamarsi il suo testamento politico, che era uscito direttamente dal pensiero e dal cuore di Lui.... non dovesse sospendere, dopo tanti sacrifici, e dopo l'ottimo frutto ottenuto, le sue pubblicazioni." E a forza di chiacchiere, di promesse riuscì ancora a racimolare una discreta sommetta... ma appena sufficiente per i bisogni del momento, mentre nella testa del professore Eugenio andavano formandosi nuovi disegni di splendidi allettamenti e migliorie da introdursi nel giornale per invogliare il pubblico ad abbonarsi essendo prossima la fine dell'anno. E pensava di ampliare la tipografia, e avrebbe voluto acquistare una macchina celere di ultimo modello che, rendendo più sollecita e meno costosa la tiratura, gli dovesse assicurare un vantaggio notevole sopra gli altri giornali e un nuovo slancio nella diffusione.

Allora pensò e ripensò al modo di trovare dell'altro danaro, molto danaro, tutto il danaro che ancora gli occorreva per il giornale e per ; pensò, ripensò, e più volte, sebbene crollando il capo, mormorò il nome di Pompeo Barbarò.

"Ah, se avesse potuto ficcar le mani nella cassa forte del neo cavaliere! "

Ma quel villan rifatto, colle cambiali sue che aveva in portafoglio, e che ormai coll'aumento continuo dei frutti e delle spese di rinnovazione, rappresentavano una somma considerevole, pretendeva che il Moderatore gli facesse la réclame a ufo, senza manco pagare l'abbonamento!... Eppure che colpo da maestro, sarebbe stato... cavargli fuori le cambialette e fargli snocciolare anche i bei marenghi per la macchina celere!... Che colpo da maestro sarebbe stato avere i danari, e insieme vendicarsi di quell'avaraccio tirchio e indelicato!

Ma come fare?... Se il Barbarò non aveva la scienza infusa, era per altro astuto e furbo più del diavolo.... Attaccato al danaro non si sarebbe indotto a spendere nemmeno per la lusinga d'essere creato... commendatore!... Poi gli era andato bene il tiro colla Banca degl'Interessi Lombardi Provinciali, e sebbene, in fin dei conti, non avesse fatto altro che un buon affare per lui, guadagnava terreno ogni giorno nell'opinione pubblica, e del Moderatore, quasi, poteva infischiarsene.... Lo avevano nominato consigliere alla Banca Popolare, membro della Congregazione di Carità... Presidente del Comitato Promotore per le Case operaie e...

"Ma appunto," pensò d'un tratto lo Zodenigo picchiandosi la fronte colle dita, "se giovandosi del vento medesimo che il signor Cavaliee aveva in poppa egli lo avesse saputo spingere in sulle secche... e gli fosse occorso l'aiuto del giornale per rimettersi a galla?"

".... Ma in che modo si poteva?... In che modo?... Per Dio, non ci sarebbe stato altro che fare col suo nome una grande campagna elettorale: portare il Barbarò candidato alla Deputazione!..."

A questo punto il professore Zodenigo sorrise seco stesso della propria idea, ma poi, subito, borbottò con un'alzata di spalle: - E perchè no?... Se ne son visti di più asini, di più ignoranti assai... e di egualmente bricconi!... In fine poi, il cavalier Barbarò è un uomo serio, positivo, un uomo pratico... un eccellente amministratore.... Suo figlio è stato con Garibaldi in Tirolo... Il Moderatore può ignorare benissimo il suo passato, e proporlo candidato e sostenerlo in buona fede... Poi, nel calore della polemica, se gli avversari susciteranno qualche scandalo bisognerà difenderlo per l'onore del partito... ma intanto l'orang-outang sarà nelle mie mani.... E, per Dio, la pagherà salata la deputazione!

Del resto la prima idea della candidatura Barbarò non era venuta in mente del tutto a caso al professore Eugenio. In quel tempo, per l'appunto, il deputato del collegio di Panigale era stato compreso in una infornata di senatori; il collegio, in conseguenza, dichiarato vacante, e le nuove elezioni indette per il diciotto del prossimo mese di gennaio. Si era allora alla fine di dicembre; lo Zodenigo non aveva dunque che una ventina di giorni, all'incirca, dinanzi a , e urgeva non perdere tempo. Indossò l'abito nero, quello proprio di parata più lungo e più abbottonato degli altri, mise un cappello a tuba nuovissimo, che splendeva al sole, e dopo aver fatto colazione al Caffè Cova, come al solito, ma più del solito serbando fra gli ammiratori suoi che gli facevano corona durante il pasto, il grave silenzio monosillàbico dei momenti solenni, ordinò un brum con voce forte, e si fece condurre dal cavalier Barbarò.

Pompeo, che anch'egli aveva appena finito di far colazione, lo ricevette colla sua cordialità sforzata e chiassosamente volgare; ma siccome non ignorava le visite fatte in que' giorni dal Professore agli azionisti credette, a buon conto, di parare la stoccata assicurandolo subito "che le cambiali in scadenza colla fine dell'anno sarebbero state ugualmente rinnovate per quanto il momento fosse piuttosto critico..." Ma lo Zodenigo, a tanta generosità, rispose appena con un sorriso a fior di labbra e con un cenno del capo quasi più di protezione che di ringraziamento.

- Diavolo, - pensò Pompeo fra , - che cosa c'è di nuovo? - e cominciò a provare un po' d'inquietudine.

- Ho sentito che il Moderatore, - disse poi per tastare il terreno, - promette di diventar un affar d'oro per il nostro illustre direttore: bravo!... bravo!... bravo!... - E siccome tutti e due erano seduti l'uno accanto all'altro, sul canapè, così il Barbarò ad ogni "bravo" battè col palmo della mano, per dar maggior forza all'entusiasmo, sulle ginocchia dello Zodenigo. Questi rimase un momento senza rispondere, poi stirandosi sul canapè e abbassando le palpebre con una cert'aria di mezzo tra il diplomatico e l'addormentato: - D'oo no - soggiunse - perchè un giornale in Italia non potrà mai essere un affaee; ma si è raggiunto il nostro scopo e ormai il Moderatore ha guadagnato il suo posto ed è una forza. Tuttavia - continuò dopo una breve pausa - devo dire a onooe del vero che gli azionisti non hanno mai indietreggiato dinanzi ai più gravi sacrifici, e anche in questi giorni hanno versato la somma che ci occorreva per metterci in grado di vincere le varie concorrenze e poter entrare fidenti e sicuri nel nostro secondo anno di vita. Insomma anche dal lato pecuniario lo stato del Moderatoee non potrebbe essere migliooe.

Una tale e così esplicita dichiarazione, che avrebbe rassicurato chiunque, rese invece maggiormente inquieto e sospeso il Barbarò, che non potè trattenersi dal lanciare un'occhiata alla sfuggita sul suo compagno.

- Dove diamine vuol andare a parare.... - pensò tra .

Ma lo Zodenigo si mostrava imperturbabile. Sdraiato, colle braccia stese sui guanciali del canapè, cogli occhi semichiusi, soffiava un poco, perchè cominciava a ingrassare. Adesso ch'egli non scriveva più versi aveva rinunciato alla zazzera, al ricciolo alla rubacuori, ed anche all'etisia.

Ci fu un'altra pausa ancora più lunga delle precedenti: Pompeo Barbarò, oltre all'essere inquieto, cominciava a sentirsi anche un po' seccato da quel gran sussiego.

- In fine - ripigliò sdraiandosi alla sua volta e ficcandosi le mani in tasca - si può sapere lo scopo di questa vostra visita?

L'altro aprì gli occhi, fissò Pompeo sorridendo con astuzia, e battendogli, a sua volta, confidenzialmente sulle ginocchia, gli domandò avvicinandosi:

- Vi sentite l'animo di faae un gran colpo?

- Fare un gran colpo?... Che colpo?... Di che genere?... Non vi capisco!

- Un colpo tale da soddisfare pienamente la vostra legittima ambizione.

Pompeo indovinò che cosa lo Zodenigo gli stava per proporre: ebbe un guizzo di foco negli occhietti furbi, arrossì, si confuse; ma fu un attimo, riprese subito il suo sangue freddo e cominciò a fare lo svogliato.

- Caro Professore, vi prego, innanzi tutto, di non venire a rompermi le scatole!... Io amo la mia quiete, la mia pace. Sapete pure che io sono un uomo d'affari; nient'altro che un uomo d'affari; e come tale la mia ambizione ormai è soddisfatta.... il mio fine è raggiunto.

- Excelsioor... Excelsioor... caro cavaliere!

- Andiamo, parlate chiaro: fuori la bomba!

L'altro continuò a sorridere e ritornò a sdraiarsi sul canapè, a chiuder gli occhi e a soffiare.

- Avanti!... Sentiamo!

- Sapete che il collegio di Panigale è vacante?

- Sì... ebbene....

- Ebbene.... Abbiamo pensato a voi.

- A me?... Per che cosa?

- Accettate?

- Ma che cosa?

- La candidatuua.

- La candidatura! - esclamò Pompeo scattando in piedi e fingendo la più alta meraviglia. - Siete matto?

- No, niente affattissimo.

- La candidatura... a me?!

- A voi, appunto. Siete il più ricco possidente di Panigale; avete in mano vostra il collegio... dovete rendere questo seevizio al paese... al paatito.

Il Barbarò dal primo stupore passò alla collera... quindi si calmò un poco, esponendo i grandi, gl'insormontabili ostacoli che si sarebbero opposti alla riuscita della sua elezione; ma vedendo che l'altro continuava a sorridere e a soffiare cogli occhi chiusi, senza ribattere quelle difficoltà, gli si sedette nuovamente accanto sul canapè e cominciò lui medesimo a trovare talune circostanze in favore: "... certo che a Panigale aveva molto credito... certo che avrebbe potuto disporre di un buon numero di voti..." ma lo Zodenigo rimaneva sempre impassibile.

- Infine parlate una buona volta!... Sentiamo! - esclamò il Barbarò perdendo la pazienza - da chi sarei presentato, portato, appoggiato?

- Da noi. - Lo Zodenigo, a questo punto, aprì del tutto gli occhi e fissò serio Pompeo Barbarò.

- Adagio... adagio.... Bisogna andar adagio.... Non sono cose da risolvere così su due piedi, colla fretta!

Il Barbarò era doppiamente spaventato: spaventato dalla proposta medesima; spaventato dalla paura di lasciarsela scappare.

Deputato!.. Era un bel salto davvero!... Lusinghiero per la sua ambizione; ottimo per l'andamento de' suoi affari. Ma... se invece fosse andato a mettersi in un ginepraio... per avere il gusto di fare un fiasco? Se... No, no, non ci voleva fretta. Bisognava andare adagio, molto adagio!

Invece lo Zodenigo dichiarò esplicitamente che non c'era proprio tempo da perdere, e che per riuscire si doveva aprir subito il fuoco finchè il nemico non si era ancora peepaato. Del rimanente egli aveva pensato al suo nome per il collegio di Panigale, spinto da due motivi. Uno di sentimento: perchè il Modeeatore doveva gran parte della sua fortuna al cavaliere Barbarò; l'altro, e non glielo voleva nascondere, per opportunità. Visto le aderenze e l'autorità e i molteplici interessi che rendevano onnipossente il cavalier Barbarò a Panigale, la vittoria sarebbe stata facile, e al Moderatore, per affermarsi stabilmente, occorreva appunto di ottenere il trionfo in una campagna elettorale.

- I giornalisti sono come i soldati: non si formano altro che alla gueea.

E tante ne disse e ne ripetè, sempre con un sorrisetto che significava lo sprezzo per gli altri e la sicurezza di medesimo; sempre con un'aria olimpicamente infallibile, che il Barbarò finì col maravigliarsi di una cosa sola: che non gli fosse venuto in mente anche prima, di farlo deputato.

- Ma... e il padre Cammaroto? - esclamò a un tratto il Barbarò tornando a mostrarsi inquieto. -  - Che contegno avrebbe tenuto il padre Cammaroto?

- Il Cammaroto è un mattoide: la gente di buon senso, le persone oneste, e aliene dagli scandali, lo hanno abbandonato: La Colonna di fuoco ha oomai fatto il suo tempo... - rispose lo Zodenigo chiudendo del tutto gli occhi e storcendo la bocca in atto di nausea. - È uno sconcio zibaldone senza misura, senza stile, senza gaammatica.

La Colonna di fuoco era un giornale politico che si pubblicava allora a Milano, diretto da un ex frate catanese: Salvatore Cammaroto.

Al primo momento Pompeo Barbarò, sedotto dall'idea della deputazione, aveva obliato il frate e il suo giornale, ma adesso invece, rammentandolo, stentava a rassicurarsi, e fissando lo Zodenigo mormorò, mentre impacciato intrecciava le dita grosse e nocchiute nel catenone d'oro:

- Capirete bene... non vorrei... non vorrei aver dispiaceri... ho molti nemici... troppi nemici.

- Tutta invidia...

- Sicuramente; ma intanto... riderebbero alle mie spalle. I Collalto, specialmente!... Adesso, sapete?... mi han messo contro anche quel vecchio gonzo dell'Alamanni. Se riusciranno a impedire il matrimonio sarà tanto di guadagnato per me e per Giulio, ma.... Ma pure, scommetterei, dev'essere stata la marchesa Angelica, istigata dal Capitano, che mi ha dipinto coi colori dell'orco allo zio Francesco!

- Quel maachese... quel maachese... non muoee mai?

- Lo desiderano troppo, e ciò gli allunga la vita! - rispose il Barbarò con una sghignazzata. - Ma... ritornando alla Colonna di fuoco vi confesso che... per le ragioni che v'ho detto e... in questo momento... mi fa... mi fa... mi fa paura!

Lo Zodenigo sorrise appena, sprezzantemente, senza scomporsi.

Salvatore Cammaroto, il direttore della Colonna di fuoco, era un uomo d'ingegno straordinario e di svariata coltura, ma al quale mancavan, per disgrazia sua... due dita di criterio, di quel certo criterio senza cui, a sentir la gente di buon senso, riescono vane tutte le più grandi virtù della mente e del cuore.

Da ragazzo era stato messo in un collegio presso Catania, diretto dai Padri Scolopi, e subito leggendo la vita di San Giuseppe Calasanzio si accese di un ardore tale per le pratiche religiose da sembrare certe volte un allucinato e da far temere anche per la sua salute. Poi, crescendo cogli anni, s'infervorò nello studio delle discipline religiose diventando un seguace ardentissimo della dottrina dei Minoriti, e però schierandosi fra gli avversari più acerrimi e più battaglieri della scuola teologica dei Domenicani, come se avesse in animo di rinnovare per proprio conto, in mezzo allo scetticismo e alla indifferenza del secolo decimonono, le dispute e le lotte accanite del medio evo. In fine quando i suoi parenti, che dopo essere stati edificati dalla pietà del fanciullo e inorgogliti dal sapere del giovinetto si preparavano a levarlo di collegio, egli dichiarò esplicitamente che si sentiva la vocazione, e che voleva farsi frate.

Frate, il padre Salvatore Cammaroto diventò presto popolare per la foga veemente e colorita delle sue prediche, e per la profonda carità del suo cuore e delle sue opere. Ma ben presto anche nell'interpretare, e specialmente nello spiegare i libri sacri, mise fuori il solito difetto; volle farsi rigido banditore della legge del Vangelo, e urtò contro gli interessi medesimi della Chiesa, suscitando un grosso scandalo, ond'ebbe a risentirsi un abate, appartenente ad un'illustre famiglia dell'aristocrazia romana, il quale non godeva fama di aborrire i piaceri e i beni terreni come il poverello d'Assisi.

Il Priore dell'Ordine chiamò allora a il padre Salvatore e lo ammonì severamente, esortandolo a voler temperare colla prudenza (prudentia est virtus directiva, secondo san Tommaso) la sua indole troppo vivace e battagliera. Ma il frate indignato di sentirsi rimproverare di ciò che reputava il più santo dovere del proprio ministero, si rivolse invocando giustizia e protezione al generale dei Francescani; poi, redarguito anche da questo savio prelato che gli ricordò con san Gregorio:... fortissimus qui seipsum vincit, ricorse direttamente al Papa, il quale gli fece rispondere imponendogli per castigo della sua insubordinatezza certi esercizi spirituali da compiersi in un piccolo monastero presso Trapani. Il padre Cammaroto ubbidì al supremo comando più rassegnato che convinto; a poco a poco lo scoramento, il dubbio turbarono, vinsero l'animo suo; pensò che i preti di Cristo, non erano migliori dei sacerdoti di Caifasso, e appena scoppiata la rivoluzione del sessanta corse a raggiungere Garibaldi, e gli si pose ai fianco soccorrendo i feriti, confortando i moribondi, incitando i volontari alla pugna, mettendo Garibaldi in compagnia di Cristo e di Mosè, riunendo in un solo martirologio i martiri della Chiesa e i martiri della patria, e facendosi sospendere a divinis.... Al che il padre Cammaroto rispose scomunicando alla sua volta il Papa con una lettera violentissima che corse i giornali, indirizzata "al Pastore fattosi lupo del proprio gregge"; quindi buttò via la tonaca e s'infervorò nello studio della filosofia. Da prima s'innamorò delle opere postume del Gioberti, e compose un commento alla Protologia e alla Riforma, rimasto inedito per mancanza d'editore; poi, traversato l'heghelianismo, fu attratto dal positivismo di Augusto Compte, della seconda maniera, che innestò a modo suo con idee e simboli della Bibbia, ormai divenuta sangue del suo sangue. In fine scrisse le sue Confessioni al Padre Passaglia, che nessuno lesse in Italia, ma che furono tradotte in tedesco; e continuò imperturbabilmente a combattere il dogmatismo antico per sostituirne uno di nuovo conio, esagerando ancora il misticismo umanitario delle ultime opere del filosofo francese, e scaraventando contro i propri avversari d'ogni specie un profluvio di dottrina e di insolenze.... Dopo aver seguito Garibaldi a Sarnico, ad Aspromonte, in Tirolo, essendosi ammalato di vaiuolo a Firenze, sposò la serva della sua affittacamere, che lo aveva assistito con pericolo della propria vita.

Fu allora che cominciò a guadagnarsi il pane scrivendo pei giornali, e dando lezioni private di greco e di latino. Ma non potè stare tranquillo un pezzo. Visto che i grandi filosofi, quelli morti specialmente, non rispondevano alle sue epistole, fondò un giornale per combattere la corruzione invadente in ogni ordine dello Stato. Si professava apostolo audace e coraggioso della verità e della giustizia; voleva strappare la maschera ai farisei della patria, ai tartufi della politica, ai Mercadet della finanza, agli ipocriti di tutte le caste, di tutte le classi, di tutti i mestieri: e si pose all'opera senza pensare ad altro, con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore, persuaso che il mondo non avrebbe più potuto camminare se non si metteva lui, colla Colonna di fuoco, a rischiarargli la via.

E in fatti, in sulle prime, la Colonna di fuoco maravigliò, sbalordì la gente, più per la novità della cosa, che per la luce stessa.

- Per Dio, aveva fegato quel frate smesso!.... Come sapeva cantarla chiara, sul muso, a tutti quanti, senza lasciarsi intimorire dalle influenze, dalle aderenze, dalle minacce, dai sequestri!...

Bravo, bravissimo, evviva il padre Cammaroto che si era lanciato coraggiosamente, a capofitto nella morta gora della corruzione, sollevando un tanfo di putridume che ammorbava!... Evviva l'apostolo della verità: il braccio forte della giustizia!... E mentre il buon pubblico batteva le mani soddisfatto, era da per tutto un rimescolìo continuo, un brontolìo sommesso, ma invadente, dei colpiti e dei minacciati, finchè nel più forte del combattimento, e sempre per quelle due dita di criterio.... che gli mancavano, il direttore della Colonna di fuoco cominciò a perdere del campo, a incespicare, a rovinarsi colle proprie mani.

Nell'attacco Salvatore Cammaroto era troppo violento e personale, nelle botte a fondo non sapeva conservare la forma la misura.

Invece di dire soltanto certe verità e a certa gente, s'era messo a urlare ai quattro venti, a squarciagola, tutte le verità e a tutti quanti, e perciò le persone di giudizio cominciarono a mormorare che la Colonna di fuoco sdrucciolava nel libello.

- Come?... Quel mattoide non era contento di svelare le marachelle dei ministri, degli uomini pubblici, ma metteva in ballo anche i privati?... Le persone che vivono all'ombra lontane da ogni rumore... e che perciò hanno il diritto che nessuno vada a ficcare il naso nei loro affari?... Altro che apostolo!... Altro che braccio della giustizia! Era un pezzo da forca quel frataccio smesso! Alla larga! Alla larga! puzzava di ricattatore!

E allora ognuno temendo per , e volendo premunirsi, si affrettò a dichiarare che quel giornalaccio poteva offendere soltanto colle lodi, e che chiunque si rispettasse non doveva più leggerlo... Per il che tutti lo leggevano più che mai; e lo stesso Barbarò il quale gridava ai quattro venti che i biasimi del Cammaroto facevano onore, prima di risolversi ad accettare la candidatura voleva essere sicuro che la Colonna di fuoco non lo avrebbe combattuto, e rispondeva alle obiezioni ed ai sorrisi sprezzanti dello Zodenigo, dichiarando che... per conto suo... avrebbe fatto magari anche qualche sacrificio pure... pur di chiudere la bocca a quel Cerebro.

- Ceerbero - suggeriva il Professore fingendo di non capire dove l'altro voleva arrivare. Egli sapeva benissimo che con Salvatore Cammaroto i quattrini non avevano presa e, d'altra parte, aveva appunto fatto assegnamento per la riuscita dei propri disegni sopra gli assalti della Colonna di fuoco. Era Salvatore Cammaroto che gli doveva dare in piena balia, con mani e piedi legati, il cavalier Barbarò!

- Non credo, - rispose lo Zodenigo, - che la Colonna di fuoco voglia battersi a tutta oltaanza per il Collegio di Panigale. È troppo al di fuori della zona dei suoi inteessi, quasi esclusivamente locali. Poi, voi non avete ancora un colore spiccato in politica: siete un uomo nuovo e ciò è bene, perchè non potete sollevare odii aancori eccessivi.

Ma il Barbarò non pareva convinto nemmeno da tante buone ragioni e facendosi più vicino al Professore, sempre sdraiato sul canapè, "tuttavia... tuttavia... se si potesse..." balbettò guardandolo fisso e fregando tra loro l'indice e il pollice con un certo movimento troppo chiaro e significativo perchè l'altro potesse continuare a fingere di non capir nulla.

- Non si può, non sarebbe prudente: il frate in questi giorni non ha bisogno di danaro, e potrebbe approfittare della nostra offerta per fare del chiasso, vantandosi di essere un puritano.

Pompeo rimaneva perplesso. Avea timore di mettersi in un qualche impiccio, ma d'altra parte il riuscir deputato era per lui una forte tentazione. In fine, dopo molte altre chiacchiere, dichiarò che assolutamente ci voleva pensare... che non si sentiva di potersi risolvere affrettatamente, su due piedi, in un affare di così gran momento... che la risposta esplicita l'avrebbe data in capo a tre giorni.... Ma Eugenio Zodenigo se ne andò sicuro che il tiro gli era andato benone.

Quel giorno a pranzo Pompeo Barbarò rimase muto, concentrato e mangiò meno del solito. La sera andò a passeggiare solo fino in fondo al Corso Venezia.

"Che cosa era saltato in testa a quel Dulcamara dello Zodenigo di volerlo cacciare in quell'imbroglio?... Perchè non lo lasciava vivere in pace?... Tanto se sperava aver quattrini da lui, stava fresco: era già molto che continuasse a rinnovargli le cambiali!... Il paatito... il paese... scilinguato maledetto!... Il paese gli doveva essere riconoscente: la sua parte lui l'aveva fatta, e aveva diritto finalmente di godersi il riposo e la pace.... Ma... pure... se fosse stato sicuro di essere eletto... certo... la condizione di deputato offriva molti vantaggi.... Onorevole?... I suoi nuovi amici che gli sorridevano ancora a denti stretti sarebbero crepati dalla rabbia!... Poi... avrebbe certo acquistato maggior autorità e anche per gli affari sarebbe stato assai utile.... Ma... e se invece doveva essere un fiasco?..."

Il giorno dopo lesse più attentamente la Colonna di fuoco e vi trovò un articolo che pareva fatto apposta per lui. Salvatore Cammaroto dichiarava, a proposito dell'elezione di Panigale, che era ormai tempo di mutar sistema e che gli elettori non dovevano più mandare alla Camera " i gaudenti dall'epa rotonda, che sonnecchiavano nello stallo di deputato, dove la loro ambizione soddisfatta faceva il chilo eruttando pappagallescamente il sì o il no all'appello nominale; gli oziosi titolati, i damerini coll'occhialino, che aspiravano alla medaglietta come a un distintivo qualunque dello sport, e tanto meno le nullità vane e presuntuose, che arrestavano a mezzo le più gravi discussioni per balbettare i loro imparaticci sconclusionati, rendendosi colpevoli del bizantinismo che sgovernava in Babilonia!"

- Gaudenti dall'epa rotonda? - pensava il Barbarò, tutto consolato, - io sono magro come un'acciuga!... Oziosi titolati?... io ho lavorato tutta la vita!... Imparaticci sconclusionati? Io non sarò mai così bestia di aprir bocca, lo giuro!

Lo stesso giorno il professore tornò a fargli un'altra visita... poi la mattina dopo trovò il modo di incontrarlo mentre usciva dalla Banca.... Pompeo si faceva sempre pregare... finalmente lasciò capire che se fosse stato proprio costretto... forse... per il bene del paese si sarebbe sacrificato.... E lo Zodenigo allora, senza più interrogarlo, diede fuoco alla mina.... cioè presentò nel Moderatore la candidatura del cavalier Pompeo Barbarò.

Il Moderatore usciva la sera: Pompeo lo ricevette che era ancora a tavola. Appena scorse il suo nome Pompeo Barbarò, stampato in carattere grosso, in testa di un articolo, si sentì venir freddo, e gli cominciò a ballar la vista; smise subito di pranzare e sebbene fosse solo, andò a chiudersi col giornale nel suo studio.... Si sedette allo scrittoio pallido, colle gocciole di sudore sulla fronte... spiegò il foglio lentamente, e trattenendo il respiro scorse prima tutto l'articolo, poi con un'occhiata guardò la chiusa... poi, facendosi rosso di piacere lo lesse adagio adagio e attentamente da capo a fondo... A lettura finita era tutto rassicurato: sentiva di essere un uomo di merito.

Il Moderatore faceva in succinto l'apologia del cavalier Barbarò, dipingendolo come un uomo moderno. "Uno di quegli uomini," scriveva lo Zodenigo, "che gli Americani chiamano self-man, cioè che si è fatto da . Un uomo operoso e sommamente pratico; che aveva l'intelligenza limpida e soda, non ottenebrata da teorie inattuabili, e che di principii prudentissimo sapeva manifestare all'occorrenza, insieme con un tatto non comune, una energia singolare, di cui appunto aveva dato splendide prove anche durante la crisi, tanto grave e pericolosa, attraversata dalla Banca degl'Interessi Lombardi Provinciali." Accennava alle sue ingenti ricchezze, "le quali garantivano nel Barbarò il candidato dell'ordine, fedele alle istituzioni, singolarmente interessato al buon assetto delle finanze, al miglioramento dell'agricoltura, all'incremento dei commerci." Ricordava di volo le molte opere di beneficenza, e i larghi soccorsi prodigati agli ospedali militari dopo le guerre del cinquantanove e del sessantasei. "E se" continuava l'articolo "molte azioni filantropiche e generose, la modestia del Barbarò voleva si tenessero nascoste, tuttavia lo scrittore imparziale era costretto a ricordare, per amore di giustizia, che nei momenti supremi della Patria, il candidato del Moderatore le aveva offerto ben più del danaro; ma la miglior parte del sangue!... Suo figlio; il suo unico figlio, Giulio Barbarò, il quale nella non ingloriosa campagna del sessantasei si era battuto da valoroso con Garibaldi." Assicurava pure che al Candidato stavano "molto a cuore i bisogni delle classi povere, e specialmente dei contadini; che studiava di continuo per trovare il modo di portare un vero e reale miglioramento alle loro misere condizioni, e che a Panigale appunto sarebbero stati i primi a risentire i vantaggi di tali studi." E, infine, concludeva col dire che anche tutti coloro i quali non volevano che la deputazione fosse data ai gaudenti sonnacchiosi, e tanto meno alle nullità ridicole e vane che aspiravano alla medaglietta del deputato come ad un gingillo da sportman dovevano, se leali, applaudire alla scelta fatta spontaneamente e serenamente dal Moderatore dopo un lungo, coscienzioso e spassionato esame della situazione, tenuti a calcolo i bisogni del collegio di fronte ai più alti interessi del paese."

Pompeo Barbarò lesse l'articolo due volte, tutto d'un fiato.... poi si alzò per tornare nella sala da pranzo; ma quando fu sull'uscio dello studio lo rilesse un'altra volta in piedi, col lume in mano.

- Adesso sono in ballo, e bisogna ballare, - mormorò.

Tornato a tavola non mangiò più. Si fece portare subito il caffè, ma ne prese appena due o tre sorsi; era troppo caldo, e non aveva pazienza di aspettare che freddasse.

Prese il cappello, il soprabito e uscì a passeggiare... Gli pareva che lungo il Corso Vittorio Emanuele ci fosse più gente, più luce, che tutti lo guardassero, e che parlassero tutti della sua candidatura. Passando vicino a un'edicola di giornali cercò il Moderatore colla coda dell'occhio e lo scorse subito fra tutti gli altri: aveva preso un aspetto nuovo e simpatico. Gli strilloni che correvano gridando il Moderatore lo facevano arrossire: lo gridavano tanto forte, proprio sotto il suo naso, perchè sapevano che c'era quel tale articolo?

Quando incontrava persone di conoscenza, le salutava un poco impacciato: avevano letto sì o no il Moderatore?... E se lo avevano letto perchè non si fermavano per congratularsi? Gli pareva che lo salutassero meno gentilmente delle altre sere.... Se ridevano si sentiva una stretta al cuore. "Certo, ridevano di lui!... Com'era ingiusto il mondo e cattivo!... Era per invidia che non volevano riconoscere i suoi meriti!" E la sua contentezza sparì a un tratto e tornò a sentirsi un po' inquieto.

- Era proprio una stupidaggine il perdere la pace per tutta quella gentaglia che non valeva due soldi! Lo Zodenigo avea avuto troppa fretta!

E continuavano a passare, a tirar dritto, salutandolo senza fermarsi. - Buona sera, Barbarò!... Buona sera, cavaliere!... - e niente più. Erano cretini, o invidiosi.

In fine volle uscire ad ogni costo da quella incertezza penosa; volle proprio sapere come la pensava la gente intorno alla sua candidatura. Possibile che nessuno avesse letto il Moderatore?

Dinanzi al Caffè delle Colonne incontrò appunto un suo collega della Congregazione di Carità. Lo fermò, e dopo averlo salutato si accompagnò con lui. Ma l'amico cominciò a parlare del più e del meno indifferentemente, senza manco nominare il Moderatore.

- Lo ha letto o non lo ha letto? - pensava il Barbarò, mentre gli camminava accanto, senza badare a ciò che gli diceva. - È capace di non averlo letto!... È un tanghero costui!... Un uomo dell'altro mondo. - E allora, tanto per assicurarsene meglio, fece cadere il discorso sulla Colonna di fuoco.

- È diventato un giornalaccio libello.... Non si può più leggere.

- Io non l'ho letto mai - rispose l'altro.

- Davvero?

- Mai!... Non leggo giornali!

- Allora nemmeno il Moderatore - pensò Pompeo tra . - Che asinaccio! Pure lo Zodenigo....

- Per me lo Zodenigo vale il Cammaroto e viceversa. I giornalisti son tutti uguali: gente che vende bugie per far quattrini.

- Sì... generalmente... - e il Barbarò si sforzò di sorridere. - Pure il Moderatore... almeno... non è scritto male....

- Non me ne intendo.

- Oh, nemmeno io, e nemmeno lo leggo sempre. Qualche volta a pranzo....

- A pranzo io mangio....

- .... Oppure a letto, la sera....

- A letto dormo!

Pompeo lo salutò presto e lo lasciò andare per la sua strada.

"Era un ignorantaccio!... Era uno zoticone insopportabile!..."

Ma pure la freddezza del collega aveva finito per sconcertarlo interamente.

"Quel maledetto Dulcamara aveva avuta troppa fretta!..." e intanto tornò a pensare con inquietudine alla Colonna di fuoco.

"Chi sa come il padre Cammaroto avrebbe preso tutti quegli elogi! Forse lo Zodenigo non era stato furbo.... Trattandosi del primo articolo doveva contentarsi di tastare il terreno... senza metterlo a quel modo sul candeliere!" Se a Milano non ci fosse stato altro giornale che il Moderatore... sarebbe stata una gran bella cosa!

La Colonna di fuoco usciva alle quattro del pomeriggio. Pompeo cominciò ad aspettarla al tocco; poi alle tre mandò a vedere se era in vendita.... Ma quel giorno, per combinazione, arrivò più tardi del solito. Pompeo, appena l'ebbe fra mani, andò ancora a chiudersi nello studio, come aveva fatto la sera prima col Moderatore.... Adesso che l'aveva finalmente, e dopo averla tanto attesa e desiderata, non si risolveva a spiegarla... aveva paura di leggerla.... Finalmente si fece animo.... Diede un'occhiata in fretta alla prima pagina... alla seconda... alla terza... non c'era niente! Di primo acchito si sentì subito sollevato... poi provò quasi un senso di dispetto.

"Che si affettasse di non pigliarlo sul serio?... Che non si volesse manco combatterlo?... Che ordissero contro di lui la congiura del silenzio?..." Ma guardando meglio la gazzetta, scorse il suo nome in fondo all'ultima colonna della seconda pagina!

- Ohi, ohi!... ci siamo!

Era un articoletto di cronaca intitolato: Amenità elettorali.

"Il serio, il grave, il mastodontico Moderatore" così diceva "presentando, non si sa in nome di chi, di che cosa, il cavalier Pompeo Barbarò, quale candidato al collegio di Panigale, ci dirige la parola, al solito loiolescamente, facendoci l'onore di non nominarci, e cita una nostra frase a proposito delle medagliette dei deputati. Noi, con quella franchezza ignota al Moderatore, e con quel coraggio che il suo direttore conosce... di nome, gli risponderemo una cosa sola: se non vogliamo abbassato il distintivo dei legislatori fino ad essere un ciondolo da sportman, tanto meno poi vorremo permettere si avvilisca al punto di diventare un gettone... una medaglia di presenza. E ciò basti per ora. La candidatura Barbarò è tanto poco seria, che non val la pena... di prenderla sul serio, e noi, prima di combatterla, aspettiamo di conoscere i nomi dei componenti il Comitato elettorale, che scenderà in campo per sostenere Pompeo Barbarò. Che se poi il famoso cavaliere dalla trista figura dovesse proprio rimanere, come crediamo, soltanto il candidato del Moderatore, allora non perderemo con lui il nostro tempo, e, punto invidiosi della gloria di Maramaldo, gli risparmieremo il colpo di grazia. Del resto è lunga la via di Damasco... e il Moderatore potrà ancora convertirsi alla prudenza, se non alla buona fede!"

- Rinnegato!... Canaglia! - borbottò Pompeo fra , dopo letto l'articolo. Aveva le labbra pallide dalla bile, era pieno di rabbia e di paura. Quelle poche righe della Colonna di fuoco avevano distrutto il buon effetto della lunga apologìa del Moderatore.

 

 

 

III.

 

Mentre lo Zodenigo sfruttava gli amici del Moderatore, quelli della Colonna di fuoco sfruttavano invece, colla medesima disinvoltura, Salvatore Cammaroto.

La Colonna di fuoco non era sostenuta, com'è di solito, da un manipolo di uomini politici, ma apparteneva a un editore, che ne ricavava un sufficiente utile, e retribuiva con un onorario fisso l'ex frate catanese, al quale lasciava per altro piena ed assoluta indipendenza nella direzione del giornale.

Gli amici dunque della Colonna di fuoco erano amici platonici... ma la grazia di quel platonismo!

Più scaltri e prudenti del Cammaroto, che infervorato della sua vanagloria d'apostolo, in mezzo all'affaccendarsi di un lavoro incessante e turbinoso, e allo scatenarsi violento delle passioni, aveva sempre la testa in gran subbuglio e si lasciava facilmente menar per il naso da chi lo secondava e gli dimostrava ammirazione, essi, col pretesto di illuminarlo sopra uomini e avvenimenti milanesi, che il Cammaroto, forastiero, non poteva conoscere a fondo, gli svisavano quella stessa verità che gli era tanto cara, facendolo molte volte servire ai propri fini, e sfogando, per mezzo suo, odi e rancori di parte, o anche soltanto personali.

Ma il direttore della Colonna di fuoco non sospettava nemmeno di essere vittima di quei raggiri. Si credeva l'uomo più indipendente del mondo, e non voleva ricevere inspirazione e consiglio altro che dalla propria coscienza, e in secondo luogo "dalla sua signora," l'Apollonia Cammaroto.

L'ex frate, dopo la trista solitudine del chiostro, dopo i faticosi sconvolgimenti di una vita avventurosa, dopo tante persecuzioni, si era in singolar modo affezionato a quella sua compagna un po' burbera e rozza, ma bonacciona, che gli recava il nuovo conforto della casa e della famiglia, che viveva della sua vita e delle sue lotte, che gli dava spesso del somarone perchè non sapeva farsi pagare abbastanza dall'editore cane (la signora era pratese e diceva 'ane, aspirando la c), ma che gli dimostrava la fede più cieca, l'ammirazione più calda e costante, mentre sapeva alternare praticamente le alte attribuzioni di Ninfa Egeria alle altre più modeste di cuoca e di fattorino.

Per tutto ciò, naturalmente, anche gli amici della Colonna di fuoco, sebbene non godessero le simpatie della signora Apollonia, le dovevano fare un po' di corte per rispetto al Cammaroto, e sopportarne i musi e gli sgarbi. E non c'era verso di liberarsene!... La signora Apollonia e il direttore (com'essa chiamava il marito) erano sempre insieme in casa, in ufficio e fuori. Peraltro c'era questo di buono, che sebbene La signora fosse poco divertente non era, in compenso, niente affatto da temersi, e con quattro complimenti e un po' di furberia la rimorchiavano anche lei dietro al direttore.

Era verissimo che il Cammaroto non pubblicava due righe nel giornale senza prima leggerle "alla sua signora;" ma le domandava un consiglio perchè era sicuro di ricevere in cambio un applauso; e tutt'al più l'Apollonia inebriata dai periodoni risonanti e dalla potenza degli aggettivi, mentre gli esprimeva col faccione volgare, sempre gonfio per un qualche bitorzolo in suppurazione, l'ammirazione la più entusiastica, lo eccitava a volerci mettere anche una 'annonata contro que' 'ani de' preti e contro le moderne Bersabee... i due odii innocenti della signora Apollonia, e che medesimamente non incutevano alcun timore agli amici del giornale.

Povera donna!... Essa odiava i preti perchè attribuiva alle loro persecuzioni palesi e occulte le varie peripezie del direttore, e odiava quelle schifosacce (l'aggettivo era proprio suo) che tradivano i loro mariti quasi per un sentimento di riconoscenza verso il matrimonio. Dacchè era divenuta moglie legittima adorava con ardore di neofita l'istituzione che l'aveva come rimessa a nuovo, e difendeva le prerogative coniugali con una virtù arcigna e spietata.

Del resto, 'annonate a parte, la Ninfa Egeria della Colonna di fuoco faceva umilmente da serva al suo caro Numa.

Così la mattina dopo ch'era uscito il Moderatore colla candidatura del cavalier Barbarò, mentre il Cammaroto preparava l'originale per la Colonna di fuoco, la sua signora invece di inspirarlo e consigliarlo era, come al solito, tutta affaccendata a mettere in ordine l'ufficio: uno stanzone a terreno, umido e tetro. Col suo cappello di forma straordinaria, e che non si levava mai, forse nemmeno di notte, collo scialle a colori appuntato sul petto da uno spillone col ritratto di Ugo Bassi, essa spazzava lentamente l'ufficio, cercando di fare il meno strepito possibile per non disturbare il direttore, e fermandosi ogni poco per raccattare le penne e i mezzi foglietti che ancora potevano servire.

Ma poi, quando a un tratto udì battere con un fascio di carte alla finestra che dava sulla strada, nascose subito la granata in un angolo, e si mise a sedere maestosamente vicino al direttore.

- L'avvocato Gian Paolo!... - esclamò Peppino Casiraghi, un giovanottino lungo, giallo, senza barba, seduto al tavolino di faccia al Cammaroto, di cui si professava il più caldo ammiratore. Correttore di bozze e cronista dilettante, era appassionato del giornalismo fino al punto di far debiti a babbo morto per imprestar quattrini all'editore della Colonna. - Cominciano presto, stamattina!...

- Scaldapanche maledetti! - borbottò la signora Apollonia chinandosi e spingendosi fin sotto il tavolino per prendere il fazzoletto turchino che il direttore perdeva sempre, o dimenticava in qualche posto.

- Cascassero morti que' chiacchieroni! - continuò poi mettendo il fazzoletto sul tavolino, vicino al bicchier d'acqua. - A sentirli, promettono sempre Roma e toma, e poi non sono stati boni nemmeno a persuadere quel 'ane del sor Urbano (era il nome dell'editore) di mettere la direzione in un posto più da cristia....

Ma si fermò a mezzo con la parola: in quel punto, sbacchiato l'uscio, con violenza entrava in ufficio precipitosamente l'avvocato Gian Paolo Serbellini, il quale, senza levarsi il cappello, senza salutar nessuno, cogli occhi spiritati si fermò dinanzi al tavolino del Cammaroto esclamando:

- Hai letto il Moderatore?

Ma il Cammaroto continuò a scrivere in fretta, col naso sulle cartelle, senza risponder nulla.

- Ha letto il Moderatore? - chiese allora l'avvocato alla signora Apollonia, che seria, imbronciata, non si voltò nemmeno a guardarlo.

- Avete letto il Moderatore? - domandò in fine per la terza volta il Serbellini, rivolgendosi a Peppino Casiraghi che gli accennò col capo di sì.

L'avvocato Gian Paolo era uno dei frequentatori più assidui della Colonna di fuoco. Da molti anni egli era dominato da un desiderio innocente, e sempre insoddisfatto: voleva entrare nel Consiglio comunale. Ma per essere eletto dimostrava troppa smania, e gli elettori lo mettevano in ridicolo, eleggendo poi sempre qualcun altro in vece sua, e che magari valeva anche meno. Una simile ingiustizia aveva reso l'avvocato Gian Paolo malcontento di tutto e di tutti; astioso, maldicente, pettegolo; avversario sistematico e accanito di ogni candidato amministrativo e politico. Per farsi mettere in lista era passato dalla Destra, che accusava di servilismo, alla Sinistra, che accusò poi di partigianeria, terminando, in seguito a tali voltafaccia, col rovinarsi moralmente perdendo il credito, e finanziariamente, perdendo anche i clienti.

- Spero bene - ricominciò a gridare voltandosi di nuovo verso il Cammaroto - che gli risponderai per le rime!

L'altro continuava a scrivere, riempiendo le cartelle, come una macchina.

- È una sfacciataggine, un'impudenza inaudita!... Vorrei scriverlo io, un articolo tale, da levar la pelle al Barbarò! E sarei capace di firmarlo col mio nome e cognome!

La signora Apollonia alzò le spalle infastidita da una tale proposta, facendo segno col capo di non disturbare il direttore.

Ma Gian Paolo era troppo fuori di per calmarsi, e battendo forte sul tavolino col grosso fascio di carte, che portava sempre in giro per far credere di aver molte cause da trattare, esclamò con voce ancora più concitata:

- Per Dio, bisogna dare una lezione, ma in piena regola!... Devi dire che è l'usura, il furto patentato che invadono il Parlamento!... Scrivi, scrivi, Salvatore, ti detterò io: scrivi che nel corpo elettorale c'è del putrido... più che in Danimarca.

A questo punto il Cammaroto si alzò di scatto; prese in mano i due ultimi foglietti che aveva appena finito di scrivere, e guardando la signora Apollonia dette in una sghignazzata.

Salvatore Cammaroto rideva sempre a quel modo prima di leggere la roba sua; pareva un cavallo che nitrisca mettendosi in ardenza.

La signora Apollonia si rizzò più impettita che mai per ascoltare: Peppino Casiraghi, cacciata la penna dietro l'orecchio, si sdraiò sulla seggiola e alzò, sorridendo, il viso scialbo, pregustando la prosa del direttore.

Era l'articolino che più tardi dovea recare tanto dispetto e tanta paura al Barbarò.

Letto il titolo Amenità elettorali, il Cammaroto fece una prima pausa, guardando la signora Apollonia a traverso gli occhiali per vederne l'effetto. Quindi, soddisfatto, cominciò la lettura, lentamente, colla voce squillante e nasale dei predicatori, spiccando ogni sillaba, sottolineando ogni frase, fermandosi ancora alla stoccata dei gettoni, delle medaglie di presenza, per guardare di nuovo la moglie, poi il Casiraghi, poi l'avvocato Gian Paolo, e ripetendo in fine la risata fatta in principio, ma assai più lunga e più sonora, colla testa alta, cogli occhi scintillanti dietro le lenti, camminando su e giù per lo stanzone, lisciandosi e accarezzandosi l'ispida barbaccia.

Il Casiraghi intanto ballava sulla seggiola fregandosi le mani dalla contentezza, la signora Apollonia offriva l'acqua al direttore, ma l'avvocato non pareva soddisfatto.

- Ci dovevi mettere un'allusione al processo dei fornitori, e dire nel medesimo tempo che a Panigale lo chiamano il Mercante di Pellagra....

- Questo verrà poi; per incominciare la lotta va bene così!

- Una 'annonata alla volta! - brontolò la signora Apollonia.

In quel punto entrò nell'ufficio un altro amico del giornale, poi un terzo, poi un quarto ed altri ancora, finchè lo stanzone fu pieno di gente; e il Cammaroto voleva leggere e leggeva a tutti l'articolo-scaramuccia, riscaldandosi fra gli applausi, mentre si accendeva sempre più e montava in furore per le informazioni intorno al Barbarò, che gli riferivano, a mano a mano, i nuovi venuti.

- Sai, Salvatore, il Barbarò faceva lo strozzino al cento per cento... lo devi mettere sulla Colonna!

- È un villan rifatto della peggiore specie!

- Un ignorantaccio, che non apre bocca senza dire uno strafalcione!

- È un bancarottiere!

- È un ladro!

- Pochi anni fa aveva un'agenzia, in cui faceva commercio... di ragazze!

- Orrore!... Orrore!... Orrore! urlava il Cammaroto gesticolando, pestando i piedi, saltando come uno spiritato, mentre Peppino Casiraghi rideva e piangeva ubriacato dal baccano, e la signora Apollonia tirava il direttore per le falde dell'abito, cercando di calmarlo e di farlo star fermo.

Ma era fatica sprecata: gli amici del giornale, sotto sotto, continuavano ad aizzarlo, come un toro nel circo.

Tutta quella gente gridava e smaniava nel nome della giustizia e della moralità; ma appunto in tutto quel gran rumore, la moralità e la giustizia ci entravano soltanto di nome. Erano i malcontenti, che non facevano guerra al Barbarò perchè lo stimassero disonesto, ma perchè lo invidiavano. Anch'essi avevano tentato di farsi innanzi, di salire, ma non c'erano riusciti, e vedendo montare in alto il Barbarò, lo volevano buttar giù.

C'era di tutto un po' fra gli amici della Colonna di fuoco. Oltre all'avvocato Serbellini, che non aveva mai potuto essere consigliere comunale, c'era il medico, l'ingegnere rimasti a terra in un qualche concorso; l'impiegato che non avea ottenuto il trasloco desiderato, o l'avanzamento; l'artista, lo scrittore, il poeta non apprezzato; l'industriale, il commerciante a cui erano andati male gli affari. C'era il benemerito della patria che non era stato fatto cavaliere: il vigliacco che l'aveva a morte coi coraggiosi; l'avaro offeso dal fasto dei prodighi, e così via via, si accumulavano, si univano in lega, tutte le inimicizie, tutti i livori, tutti gli odi più disparati contro il Municipio, contro il Governo, contro il merito, contro la fortuna; contro tutti e contro tutto!... Era l'agitarsi e lo sfogarsi delle piccole ambizioni, più astiose assai delle grandi; il lamentìo petulante dei piccoli bisogni, delle piccole contrarietà, delle piccole disgrazie.... Erano le passioncelle meschine e grette che schizzavano, non già dal cuore, ma dallo stomaco e dal ventre, malamente mascherate sotto la sembianza della giustizia o della moralità... di carta pesta!

Nel frattempo il rumore e la confusione erano arrivati al colmo. Salvatore Cammaroto, per farsi ascoltare, era montato in piedi sopra una seggiola e imponeva il silenzio. La signora Apollonia imbronciata voltava le spalle a tutti, guardando fuori dalla finestra, e brontolando.

- Chi bisogna attaccare e svergognare - gridava l'avvocato Gian Paolo - più ancora del Moderatore, più dello stesso Barbarò, è l'Associazione Costituzionale, che non segno di vita, che non si prepara alla lotta!

- Bisogna scrivere contro il governo, che, pur di guadagnare un voto, appoggia i ladri e gli usurai! - esclamava un altro.

- Lasciate fare a me!... Lasciate fare a me!... Sono vecchio del mestiere!... Non ho bisogno di consigli! La tromba d'Israello suonerà un'altra volta, non dubitate, sotto le mura di Gerico; ma se adesso non fate silenzio e continuate a intronarmi la testa, vi faccio saltar dalla finestra, in parola d'onore!

- Sarebbe tempo! - mormorò la signora Apollonia, avvicinandosi di nuovo al direttore e mettendogli il fazzoletto nella tasca di dietro dell'abito.

Era subentrata un poco di calma: Salvatore Cammaroto saltò giù dalla seggiola e spiegò il disegno che aveva in testa alla sua signora.

- Prima di sciogliere le campane, bisogna star a vedere se l'Associazione Costituzionale e il grande partito moderato vorranno poi accettare il verbo dello Zodenigo....

- Il partito moderato? - brontolò l'avvocato Gian Paolo. - Un branco di pecore!... La Costituzionale? Un'accademia!

- Bisogna mettersi d'accordo con tutte le associazioni liberali e democratiche - continuò il Cammaroto, cercando cogli occhi Peppe Casiraghi, e senza badare affatto al Serbellini; - bisogna guadagnar terreno a Panigale, nel cuore del collegio, nel tabernacolo dei nostri nemici!... bisogna far lega cogli altri giornali del partito, per un'azione comune: bisogna in fine raccogliere tutti i nostri suffragi sopra un candidato di valore... da contrapporre al candidato dei valori....

- Bene!

- Bravo, Salvatore!

- .... un uomo - concluse il Cammaroto dopo aver riso del proprio frizzo - un uomo la cui vita sia tutta un esempio e valga un programma; il cui nome rappresenti il labaro trionfante dell'onestà e del patriottismo: in hoc signo vinces!

- Oh finalmente!... Queste sono idee! esclamò la signora Apollonia!

- Queste sono idee, evviva! - ripetè come un'eco il Casiraghi.

Ma gli amici invece stringevano le labbra e scrollavano il capo: l'avvocato Gian Paolo fischiettava, battendo il tempo sul palmo della mano col fascio di carte; poi tutti insieme tornarono daccapo a dar consigli e a spronare il Cammaroto.

"Non c'è tempo da perdere!... La Colonna di fuoco deve mettersi alla testa del movimento; aprire la lotta con un attacco a fondo; abbassare, distruggere il Barbarò; smascherare, sventare le trame... amministrative dello Zodenigo!... Deve sperdere la camorra degli affaristi, dei corrotti e dei corruttori che stende le sue reti da un capo all'altro di Milano; deve mettere a nudo coraggiosamente, audacemente le magagne dei nuovi ricchi arruffoni e...."

A un tratto tutte quelle brave persone si calmarono come per incanto, sentendo bussare all'uscio dell'ufficio.... Ma non era altro che un fattorino dell'Unione Operaia, con una lettera per il Direttore della Colonna di fuoco, in cui veniva invitato particolarmente ad una adunanza indetta per quella sera medesima dalla Presidenza dell'Unione Operaia, insieme col Consiglio Direttivo della Lega Democratica, "allo scopo di prendere gli opportuni concerti e deliberare in proposito alla prossima elezione politica del Collegio di Panigale."

- Alleluja! Alleluja! - esclamò festante il Cammaroto, appena ebbe riletto l'invito ad alta voce. - Così va bene; riunirsi per andare tutti d'accordo...: Virium concordiam sequitur victoria!... Ed ora, amici miei, lasciatemi in pace!

La signora Apollonia a queste parole tirò un sospirone di sollievo.

- Ho da scrivere tre altri articoli per il giornale; una rassegna critica sui Quadri fisiologici del Büchner e, in fine, alla vigilia delle grandi lotte bisogna ritemprare le forze nel riposo della mente, nella tranquillità salutare dello spirito!

Chi, proprio, la tranquillità salutare non poteva più averla, era Pompeo Barbarò. Ogni ora che passava gli portava una nuova inquietudine, un nuovo timore. Pochi si mettevano a discorrere con lui dell'elezione di Panigale; pochissime erano le strette di mano gratulatorie.

Gli altri giornali moderati di Milano, come la Perseveranza, il Corriere, il Pungolo, se non si erano schierati subito contro il suo nome, tuttavia avevano giudicata la candidatura del Moderatore una candidatura-sorpresa, e si tenevano in un gran riserbo. Il Barbarò lo aveva capito, ne era mortificato e montava sulle furie contro lo Zodenigo, che gli aveva promesso a priori "l'appoggio unanime di tutta la stampa libeeale-modeeata!"

- Sto fresco, se aspetto l'appoggio unanime - borbottava il signor Pompeo. - Mi odiano tutti perchè mi invidiano e mi temono!... Com'è basso... com'è cattivo il mondo!... Appena un pover'uomo riesce a forza di lavoro e d'intelligenza ad innalzarsi un poco sugli altri, subito si cerca di tagliargli le gambe!

Ma se il dispetto lo rodeva, l'interna inquietudine lo accasciava.

- È lunga la via di Damasco? - ripeteva poi tra , pensando all'articoletto del Cammaroto. - Che cosa avrà voluto dire quel sudicio ricattatore?... Mah!... Non ne capisco un'acca!

Per altro s'egli non capiva l'allusione biblica, l'accenno alla prudenza gli faceva indovinare il succo della minaccia.

- Convertirsi alla prudenza?... Chi sa, chi sa, che cosa andranno a pescare, a rimuginare il padre Salvatore e compagnia!... Maledetto quel poetastro scilinguato!... In che vespaio m'ha messo per la smania di affermare il suo giornale! Ma... e se invece il professore Zodenigo l'avesse fatto apposta?... Se fosse stato comperato dai miei nemici per rovinarmi?

E oltre alla Colonna di fuoco, Pompeo Barbarò aspettava e leggeva con ansia tutti gli altri giornali avversari; ma dopo l'articoletto del Cammaroto, nessuno aveva più parlato della sua candidatura.

Anche quegli altri stentavano a risolversi.... C'era la discordia nel campo d'Agramante: chi voleva addirittura un candidato radicale; chi invece riputava più utile un rappresentante della sinistra monarchica. La Lega Democratica e l'Unione Operaia proponevano un nome, e si ostinavano per farlo accettare: i Reduci e il Fascio ne sostenevano un altro con pari calore. Finalmente, per acquetare gli animi di tutti, si stabilì di non darla vinta a nessuno dei contendenti eleggendo un terzo candidato, che all'ultimo momento fu proposto da Salvatore Cammaroto fra gli applausi di tutta l'assemblea.

Per altro, volendo essere sinceri, bisogna dire che non era stato il Cammaroto che avea pensato per il primo a quel nome così illustre e simpatico, no; ma invece era stato suggerito in un orecchio al direttore della Colonna di fuoco dall'avvocato Gian Paolo Serbellini, il quale a sua volta c'era arrivato solamente dopo un discorso che gli era stato fatto dal nipote di un certo Nicola Mazza, banchiere milanese, che da molti anni, scampato per miracolo dalle segrete austriache, si era rifugiato e continuava a vivere a Londra.

- Se fosse proprio vero!... Se il Barbarò fosse proprio una spia!... - pensava l'avvocato - che figura barbina ci farebbero il Moderatore e la Costituzionale!... E gli avversari che gli contrappongono il fratello di una delle vittime?!... Che fracasso deve succedere!... E che colpo, che vergogna per il partito delle livree!... Non vogliono saperne della gente onesta?... Ebbene si godano le spie per loro candidati!...

In quanto a Salvatore Cammaroto, appena egli ebbe sentito il nome che gli proponeva il Serbellini non pensò più, di primo colpo, al Barbarò, al Moderatore; abbracciò l'avvocato; poi cominciò a correre come un matto su e giù per lo stanzone saltando e battendosi la fronte, e rimproverandosi perchè quel nome non era venuto in mente prima a lui, a lui solo!... In fine si fermò dinanzi alla signora Apollonia, la fissò un momento negli occhi e scoppiò in lacrime.

"È il mio più diletto amico!... Il mio fratello d'armi e di fede!" continuava a gridare il Cammaroto, mentre la signora Apollonia senza commuoversi, seria, impettita, andava in giro per l'ufficio, in cerca del fazzoletto turchino. "È un apostolo, fra i più illuminati e operosi, del patrio vangelo!... È un'anima serafica nel petto di un Arcangelo; è uno di que' pochissimi, rari nantes nel mare putrido di Sodoma, che attestano alle genti scadute come l'uomo sia stato creato a immagine di Dio!..." Poi si avvicinava a Peppino Casiraghi che lo guardava attonito cominciando pure a intenerersi per ispirito d'imitazione, e stringendogli le mani lo assicurava che quella scelta doveva essere l'Arca dell'Alleanza, il gomor della vittoria, e in fine passando dalle lacrime al riso tornava a correre presso la signora Apollonia promettendole con una risata di compiacenza che gli rischiarava la faccia e gli allargava il petto, che quel nome avrebbe fatto più colpo di dieci, di cento cannonate!

E in tutto il giorno Salvatore Cammaroto, infervorato, continuò ad agitarsi e a predicare a onore e gloria del suo candidato... poi la sera, appena lo ebbe proposto all'assemblea dei sodalizi democratici, e lo sentì accogliere da una salva d'applausi, tornò a commuoversi, a piangere nel bel mezzo del suo discorso, e in fine, quando sciolta l'adunanza si presentò alla sua signora che in compagnia di Peppino Casiraghi lo aspettava, sonnecchiando, al Caffè delle Tre Rose, di faccia alla casa dove avea avuto luogo la riunione, era pallido, sfatto, col viso ancor molle di sudore e di lacrime.

- Sursum corda!... Sursum corda!... - balbettò abbracciando l'Apollonia.... - È stata una serata memorabile! Le Pentecoste del mio sacerdozio politico!

- Dunque - domandò la signora alzandosi e accomodandosi lo scialle per uscire - Il tu' omo è stato accettato?

- Fra l'esultanza, mia cara, fra l'esultanza e gli osanna del popolo eletto! - Così dicendo, e dopo aver fatto una grande scappellata al proprietario del caffeino, offrì il braccio alla moglie e uscirono, passando come al solito per il Corso, prima di ridursi a casa. Salvatore Cammaroto andava sempre col collo torto e col naso in su, tenendo, per abitudine fratesca, le mani contro il petto, nascoste l'una sull'altra dentro le maniche, mentre salutava tutti affabilmente, e parlava ad alta voce col Casiraghi; la signora Apollonia più grande, più grossa, più larga del marito, se lo teneva stretto sotto il braccio all'ombra del cappellone magnifico, e camminava fiera, come se portasse attorno il Direttore per spaventar la gente.

Pompeo Barbarò non seppe il nome del candidato che gli avevano contrapposto altro che alla mattina dopo; ma il colpo fu così forte che traballò, come se avesse ricevuta una mazzata sul capo, e rimase molto tempo oppresso e sbalordito. In fine, quando riuscì un poco ad orientarsi, corse ancora tutto stralunato dallo Zodenigo.

- Sono rovinato... è un tiro assassino che mi vogliono fare!... Professore, professore... trovate modo d'impedire uno scandalo... a qualunque costo... fate che possa ritirare la mia candidatura... non voglio più saperne!

Lo Zodenigo, che per la prima volta non si era alzato dalla sua poltroncina presso lo scrittoio per salutare il Barbarò, rimase freddo, impassibile davanti a tanta agitazione.

- Caro amico, - gli disse poi lentamente, soffiando ancora più del solito, - voi... non mi avevate detto tutto!

- Ma... sono calunnie....

- Allora... se proprio sono calunnie... e potete provarlo, è un altro paio di maniche.

- Ma... provarlo....

- Non potete... provarlo? - e l'occhio nero dello Zodenigo pareva volesse penetrare in fondo all'anima del suo interlocutore.

- Sicuro che... se volessi.... In ogni modo... vi ripeto... desidero ritirare la mia candidatura, per non aver noie!

- Se vi ritirate in questo momento siete peeduto e peer sempre... ricordatelo bene.

Pompeo si sentì tremar le gambe e si appoggiò con una mano allo scrittoio.

- La vostra rinuncia... ora... sarebbe la più esplicita conferma delle voci che corrono.... Certo... se io avessi saputo... se avessi potuto supporre... non vi avrei certo consigliato un passo simile....

A questo punto la freddezza dello Zodenigo che fissava cogli occhi immobili il Barbarò diventava aspra... quasi minacciosa.

- Facciamola finita! - balbettò allora Pompeo con voce soffocata, ma pure con un certo piglio di risolutezza che gli era dato dalla disperazione, - facciamola finita... sono nelle vostre mani... accetterò tutte le vostre condizioni!

Lo Zodenigo tornò a soffiare chiudendo le palpebre e stirandosi sulla poltrona.

- Prendete una seggiola, caao cavaliere.... Prendete una seggiola e accomodatevi.

Pompeo accasciato, avvilito, prese la seggiola che gli era stata indicata e sedendo e guardando a sua volta lo Zodenigo con una espressione supplichevole, balbettò sospirando:

- È un anno terribile, questo, per me.... Mi sono anche rovinato mezzo coi fondi turchi.

L'altro sorrise storcendo le labbra: "Diamine! quel furbacchione del sor Pompeo piangeva miseria per poter lesinare sul prezzo!"

 

 

 

IV.

 

Salvatore Cammaroto presentò e raccomandò agli elettori la candidatura Alamanni con un inno biblicamente immaginoso di ammirazione e di amore. Prima d'incominciarne la lettura avea detto rivolgendosi alla moglie: - Questa volta, cara Polonnì, abbiamo intinta la penna nel core! - E non rideva di compiacenza, ma dietro gli occhialetti ingrossavano le lacrime; era sudato, ansante, come se l'articolo lo avesse scritto correndo.

E in fatti quella lunga vita intemerata di cospiratore e di soldato era narrata efficacemente coi più smaglianti colori. Il Cammaroto lodava il carattere di Francesco Alamanni, "più limpido e terso della gemma di Sabaoth;" ne levava a cielo le virtù della mente e del cuore, la illibatezza dei costumi, la salda fierezza dell'animo, e l'eroismo provato in cento battaglie..." mentre dal suo occhio ceruleo, che ricordava quello del Messia novissimo dei due mondi, spirava una dolcezza serena, un senso di bontà femminilmente gentile." Insomma, in Francesco Alamanni "c'era il cuore di Leonida nel petto di Arnaldo; la soave amorevolezza di Tobia congiunta alla severa fortezza, allo spirito indomito di Savonarola." E in tutto l'articolo non accennava menomamente al Barbarò, al Moderatore. Soltanto nella stretta finale ammoniva i "banchettanti della politica, i profanatori e i trafficanti dei sacri ideali della patria, che il nome di Francesco Alamanni doveva risonare terribile come la voce profetica di Daniele; come il Mane-Techel-Phares, precursore miracoloso della vendetta di Jehova."

Ma gli entusiasmi del Cammaroto e i raffronti poetici e le minacce non facevano molta impressione sopra i lettori positivi, cui stava particolarmente a cuore il buon ordinamento della cosa pubblica. Essi, invece, si lasciavano convincere assai più volontieri dalle ragioni pratiche dello Zodenigo, il quale scalzava destramente Francesco Alamanni, pur riconoscendone i meriti patriottici, per non andare contro il sentimento pubblico; e che senza stare a ritessere le lodi già prodigate al Barbarò, si ristringeva a mostrare la convenienza che avevano i moderati di sostenerlo, così per l'utile del collegio come per l'onore del partito.

"Dobbiamo imitare gli Inglesi" diceva il Moderatore, "gli Inglesi il cui esempio ci era spesso additato dal Conte di Cavour. Nel forte congegno del parlamentarismo britannico non solo ogni sentimento di antipatia, oppure di amicizia, ma persino ogni ragione di aspirazioni e di giudizi individuali rimane vinta dalla ferrea disciplina del partito.

"A Panigale il Barbarò ha incontrato subito molto favore.... Arrischiando ora un altro nome alla sorte cieca delle urne, parecchi elettori voterebbero ugualmente per l'egregio e noto gentiluomo che gode le aderenze e presenta i reali vantaggi di un candidato locale.... Quindi lo scandalo di una lotta intestina.... Quindi, e per naturale conseguenza, il trionfo quasi certo del candidato avversario, il quale, mantenendosi i nostri concordi e compatti, non avrebbe alcuna speranza di buon successo.

"Infatti i sinistri, i rossi di tutte le gradazioni, dal rancio tenue al sangue di drago, su chi mai hanno rivolto i loro suffragi?... Quale il nome che gli avversari nostri, i più accaniti, e perciò i meno prudenti, portano già sugli scudi, framezzo al baccano del loro entusiasmo strampalato e assordante come il zun-zun che precede le processioni dei preti... e dei frati?

"È un nome certamente illustre. Un nome caro a tutti gli Italiani e che noi appunto per un sentimento di rispetto e d'amore non vogliamo ancora compromettere.... fino a che la candidatura offerta non venga formalmente accettata.

".... Sinceramente devoti verso le più simpatiche figure del nostro risorgimento, sarà sempre a malincuore che scenderemo in campo per combatterle; e se mai ci fosse concesso di rompere le barriere e di avvicinare questi bei legionari delle nostre aquile vittoriose, vorremmo dir loro, coll'effusione più sincera dell'animo: "Ascoltate la voce del popolo che s'innalza fino a voi nell'umiltà sapiente del proverbio e ripetete... ripetete colla mente, ripetete col cuore: Dagli amici mi guardi Iddio!..."

In que' giorni l'ufficio della Colonna di fuoco restava aperto fino alla sera tardi; perciò, dopo uscito l'articolo dello Zodenigo, capitarono in direzione i soliti amici, condotti dall'avvocato Gian Paolo, gridando accalorati e con in tasca una copia, ciascuno, del Moderatore.

- Hai letto, Salvatore!

- Hai letto?... Un capolavoro di perfidia!

- C'è dentro tutta la tristizia e la furberia dello Zodenigo!

- Che Zodenigo!... Che Zodenigo!... Non è capace lo Zodenigo di scrivere in quel modo!

- È farina del Carpani!

- Lo Zodenigo ci avrà messo le virgole.

- E qualche punta avvelenata!

- Sia di chi si sia, è certamente un articolo molto destro.

- Bisogna rispondere subito, Salvatore?

- E senza pietà, senza misericordia!

- Bisogna dar fuoco alla miccia, e tirare le prime cannonate, - esclamò, alla sua volta, Peppino Casiraghi avvicinandosi alla signora Apollonia la quale, più che mai imbronciata, aveva un bel brontolare che il direttore non aveva bisogno di consigli e che bisognava lasciarlo in pace: nessuno più l'ascoltava. Volevano che Salvatore si mettesse subito a scrivere la risposta.

Il Cammaroto, in tutto quel tempo, avea seguitato a camminare su e giù per lo stanzone, meditabondo, con la testa bassa, senza mai dire una parola.... A un tratto si avvicina allo scrittoio... prende un telegramma da un mucchio di lettere e di giornali, lo incolla sopra un foglietto di carta e vi aggiunge in fretta, e restando sempre in piedi, alcune righe.

- Leggi questo, Polonnì! - disse poi quando ebbe finito di scrivere, rivolgendosi alla moglie. E mentre tutti gli altri circondavano curiosi la signora Apollonia, egli tornò a passeggiare su e giù come prima, fregandosi forte le mani, per calmare i nervi.

Il telegramma era di Francesco Alamanni che dichiarava di accettare l'offertagli candidatura, "pronto sempre a sacrificare i propri ideali sull'altare della Patria, finchè rimarranno incompiute la sua indipendenza e unità."

"A tali nobilissime parole, che valgono assai più di qualunque programma," aveva scritto sotto il Cammaroto, "noi non ci sentiamo core, per oggi, di aggiungere nulla di nostro. Sarebbe un scemarne l'impressione forte e serena.... Ci sembrerebbe di commettere un sacrilegio.

"Solamente a quel furbo pazzerellone del Moderatore, che alternando i bons-mots colla perfidia, accusa noi di fare della rettorica per aver campo di sparare i suoi razzi da fiera.... e da mercato, rispondiamo, nella prosa più modesta, che gli scudi sui quali porteremo e coi quali difenderemo il nostro candidato, il candidato dei liberali onesti (diremo così per segnare nettamente le due linee di battaglia) non saranno mai gli scudi... da cinque lire!..."

Da questo momento, come si vede, la lotta che si era accesa a Milano per la conquista di Panigale si faceva più viva fra due soli combattenti: la Colonna di fuoco e il Moderatore. Gli altri campioni pareva che stessero a vedere.

I giornali e le associazioni moderate avevano risolto dopo la proclamazione della candidatura formidabile dell'Alamanni, fatta dagli avversari, a non mettere ostacolo ed anzi a facilitare la riuscita del Barbarò, perchè questi era, se non altro, un uomo d'ordine, un voto sicuro per il Ministero. Ma se lo subivano come una necessità del momento, non ne erano fanatici, e a difenderlo, ad esaltarlo, lasciavano volentieri che si mettesse in prima linea il giornale dello Zodenigo. Dall'altra parte, invece, i giornali democratici amici dell'Alamanni, si erano messi di malavoglia, fiaccamente a sostenere la lotta perchè "la candidatura Alamanni, scelta bene, era stata posta male." Essi erano un poco piccati perchè Francesco Alamanni, essendo stato compagno d'armi del padre Salvatore, aveva mandato il suo telegramma di accettazione, proprio alla Colonna di fuoco. valse a rabbonirli del tutto, a far loro perdonare quell'infrazione alle regole gerarchiche la lettera che l'Alamanni stesso avea scritta insieme col telegramma, mandandola direttamente al Comitato elettorale democratico; nella qual lettera poi, più assai diffusamente che non avesse potuto fare in un dispaccio, spiegava il concetto della propria accettazione e i propri intendimenti politici.

Per Francesco Alamanni, tuttavia, c'era questo svantaggio di fronte al Barbarò, che l'azione del Cammaroto rimaneva circoscritta alla Colonna di fuoco. Fuori del giornale, e dove il giornale non era diffuso (come appunto a Panigale), la sua influenza era nulla o presso che nulla. il Cammaroto aveva l'arte, e manco le furberie più elementari dei bravi agenti elettorali; ma, quasi quasi, faceva più danno che altro al proprio candidato quando predicava, infuriandosi contro "la fiaccona generale;" anzi, una sera, ebbe la poca accortezza di dichiarare, in piena assemblea, "che se i giovani crociati non si mettevano con più ardore nella guerra santa," Francesco Alamanni avrebbe corso pericolo di rimanere soccombente. Invece il professore Eugenio Zodenigo, sempre serio, sempre composto, dimostrando sempre una sicurezza olimpica, mentre sorrideva di compatimento "per quel povero Alamanni, esposto dai troppo caldi ammiratori ad un fiasco inevitabile," arrivava da per tutto colle sue cento braccia, da Milano a Panigale. Il Carpani, che aveva paura dei radicali, come il diavolo dell'acqua santa, lo coadiuvava nella polemica col fervore dei forti convincimenti; e a Panigale lavorava a fil doppio Beppe Micotti il quale, subito scontata la pena, vi era stato mandato dal padrino. Colà aveva pure un aiutante validissimo in Don Rosario, che in quei giorni sgambettava di continuo per la cura, promettendo un buon raccolto di qua e il paradiso di agli elettori del signor Cavaliere, e minacciando la grandine e l'inferno a chi avesse dato il voto per quello scomunicato framassone dell'Alamanni.

E Beppe Micotti e Don Rosario scrivevano e conferivano di continuo collo Zodenigo, il quale pure si recava spesse volte a visitare il collegio, intrattenendosi coi pezzi grossi d'ogni Comune, promettendo mari e monti a nome del Barbarò, e spaventando tutti colla "questione grave del proletariato." Prediceva colla faccia scura, che una volta la Sinistra al potere, lo sciopero, l'agitazione dei contadini si sarebbe fatta generale, e la campagna si sarebbe sollevata "armata mano" contro la possidenza.

- La marea monta: le maaea monta! Bisogna riunire tutte le forze; vincere, occorrendo, le proprie ripugnanze, le poopie antipatie e mandare alla Camera degli uomini d'ordine per consolidare la Destra.... Ecco l'unica via se non per scongiurare, almeno per allontanare il peiicolo!

Lo Zodenigo, sempre con l'aiuto di Beppe Micotti e di Don Rosario, si era pure messo con grande impegno per costituire un comitato che proclamasse e sostenesse la candidatura Barbarò, e ci era riuscito pienamente. Il comitato fu detto Degli agricoltori liberali moderati; pubblicò un manifesto agli elettori del collegio di Panigale, sottoscritto da una ventina di nomi abbastanza rispettabili, che raccomandavano l'elezione del cavaliere Barbarò, "uomo d'ordine, devoto alla patria, alle istituzioni, e il cui ricco patrimonio era una garanzia d'indipendenza, - esperto amministratore, - lavoratore indefesso, - filantropo illuminato, - conoscitore dei reali bisogni del collegio, - amantissimo del pubblico bene e del progresso cauto e ragionevole."

Da tutto ciò, com'era facile capire, la cosa si metteva abbastanza bene per il Barbarò.... Ma questi, invece di rallegrarsene, o almeno di mettersi un po' l'animo in pace, diventava ogni giorno più nero, e ogni giorno, come assicurava l'avvocato Gian Paolo, gli cresceva la tremarella. Non mangiava più, non dormiva più, non si lasciava più vedere. Rimaneva chiuso in casa, dalla mattina alla sera, imbronciato, rabbioso, borbottando improperi e maledizioni contro lo Zodenigo, "quell'assassino da strada, che lo aveva uccellato per derubarlo." Ma poi, ad ogni articolo che gli scriveva contro il Cammaroto, si mostrava col professore quasi ossequioso, e sempre tutto sorrisi, premure e complimenti.

- Cooaggio!... Cooaggio!... - gli diceva più volte lo Zodenigo, battendogli sopra una spalla, con un sorriso tra il benevolo e il canzonatorio, ma in cui spirava un'aria di superiorità protettrice. - Cooaggio!... Saete onooevole... Ve lo poometto! - e abbassava le palpebre tornando a sorridere, in quel suo modo particolare.

- Ah!... caro professore.... in quanto a me... lo sapete pure, - balbettava il Barbarò, interrogandolo cogli occhiettini spaventati, - in quanto a me... non desidero altro che... che la burrasca sia passata!... E vi domando soltanto di non irritarlo troppo, di non scatenarmelo contro, quel mattoide fegatoso... Lasciatelo dire... lasciate che si sfoghi... Così la finirà più presto!

- Non dubitate.... sono un gentiluomo e farò sempre una polemica da gentiluomo... coi guanti.

Infatti al telegramma di Francesco Alamanni, accettante la candidatura, egli rispose, come si vantava, conservando la forma e la misura.

"Facciamo il saluto delle armi al nostro illustre avversario, dolenti che l'accanimento di un partito affatto sprovvisto di idee pratiche di governo e in cui certo non vi ha grande abbondanza di statisti, non abbia esitato a trascinare in una lotta ingloriosa un bravo soldato, un carattere indubbiamente integerrimo."

E così, cominciato l'attacco, il Moderatore proseguiva più spedito all'assalto.

"Alea jacta est.... (scriveremo latino anche noi, visto che il latino minaccia di diventare la lingua ufficiale dei nostri avversari) Alea jacta est... e discutiamolo subito, come uomo politico, come legislatore, il signor Francesco Alamanni. Discutiamolo educatamente, ma per lungo e per largo, quantunque i democratici abbiano questo di comune coi clericali... la proclamazione dell'infallibile, anzi degli infallibili, perchè non si accontentano di un papa solo, ma fanno papa "Ogni villan (pardon!) che parteggiando viene!

"Discutiamolo dunque, come uomo politico, questo candidato, scelto e proclamato proprio all'ultimo momento, e che per ciò, volendo rispondere a chi ci accusava di aver presentata una candidatura-sorpresa, potremo chiamare, alla nostra volta, il candidato della disperazione!.... Discutiamolo e cominciamo dal chiedere, a chi ce lo sapesse dire: Chi è?... Che cosa vuole?... Che cosa farà?...

"Chi è?... Un onorevole superstite della gloriosa rettorica del quarant'otto... che contribuì a fare l'Italia, ma che adesso basterebbe da sola a disfarla.

"Un vecchio mazziniano, onestamente convinto, un ingegno superiore... ma sempre nelle nuvole, a cui, per ciò, è sfuggita affatto l'evoluzione moderna.

"È anche un bravo soldato... - e chi lo vuol negare? Ma dall'essere un bravo soldato all'avere la stoffa di un buon legislatore (e sopratutto di un prudente legislatore) ci corre.... Oh se ci corre!

"Che cosa vuole?... L'impossibile. - Che cosa farà?... La confusione, il disordine, preludiando, a forza d'ideali, e sempre in buona fede, magari anche alla guerra civile.

"E oltre a tutto questo, un baco perfido e insidioso rode fino alle ossa Francesco Alamanni: il baco della poesia. Cospiratore, rivoluzionario, soldato, uomo privato e uomo pubblico, Francesco Alamanni è stato e sarà sempre, e sopra tutto poeta; e questa è la ragione precipua della nostra piena... sfiducia.

".... Anche noi, da giovani, siamo stati poeti, e... (perchè non confessarlo?) abbiamo avuto la debolezza di scrivere versi!... Erano quelli i giorni amari dell'esilio.... I giorni in cui, perseguitati dalla bieca signorìa che imperava colle verghe e coi patiboli, miseri, sfiniti, andavamo a chiedere, peregrinando, fra i nostri fratelli della riva gioconda:

/* La carità d'un obolo di rame! */

"Sì, allora noi pure eravamo poeti, e dalla cetra ribelle usciva l'inno audace che non vagiva querulo... saettava!... Ma adesso, dopo la esposizione finanziaria di Quintino Sella, cessaro i canti! L'Italia ha bisogno ormai d'impratichirsi nell'aritmetrica e non nella metrica.... Alla Camera non si deve fare poesia e tanto meno tirare schioppettate o preparare barricate.... Oh, se così fosse, noi pure voteremmo unanimi per il valoroso candidato dei nostri avversari! Ma invece, vi saranno, fra molte altre, anche le leggi agrarie da discutere, e vi sono i bilanci da votare... ed è per ciò che, onestamente, raccomanderemo agli elettori di Panigale di eleggere Pompeo Barbarò; l'uomo sorto dal popolo, e che conosce il popolo nelle sue virtù, nei suoi difetti, ne' suoi bisogni; l'uomo che si è creato, col lavoro assiduo e intelligente, un ricchissimo patrimonio, mentre invece il signor Alamanni (sia detto col maggior rispetto) ha finito, o quasi, tutto il suo.

"Elettori di Panigale, ricordate bene: l'Europa non è che un gran vulcano: in questo momento una politica di avventure sarebbe fatale per la patria.

"Votate, dunque, per Pompeo Barbarò.... Mandate alla Camera gente che sa fare i conti; buoni amministratori amanti dell'ordine e devoti sinceramente alle istituzioni.... senza l'equivoco degli ideali!"

L'avvocato Gian Paolo Serbellini e gli amici della Colonna di fuoco tornarono da capo, dopo quest'altro articolo del Moderatore, per cercar di scuotere maggiormente il Cammaroto. "Che cosa mai gli era successo?" pensavano tra loro. "Pareva un altro; non aveva più la foga d'un tempo... si mostrava tentennante... Non sapeva risolversi a risponder chiaro, a smascherare il Barbarò e quel gesuita in guanti gialli dello Zodenigo!.. Che il frate... si fosse lasciato conquidere?..."

Tuttavia, come le altre volte, capitarono ancora in ufficio col Moderatore in tasca; ma le loro facce parevano più lunghe, e se le parole eran quasi le medesime, il tono era più fiacco, e avevano il sorriso amaro, come di gente sfiduciata.

- Hai letto, Salvatore?

- Bada, Salvatore, ti lasci scappare le più belle occasioni.

- Salvatore, accetta il nostro consiglio: spara tutte le artiglierie!

- Tu non conosci Milano.... Tu non conosci Panigale....

- Guai se il Barbarò prende piede!

- Perchè non hai detto francamente che è un usuraio?

- Un ladro?!

- Devi illustrare il famoso processo dei fornitori.

- Insomma, è ora di dir tutto....

- Senza reticenze, senza ambagi, senza paura!

Il Cammaroto, come faceva sempre, camminava su e giù per lo stanzone, senza rispondere, senza guardare in faccia nessuno; colla testa bassa.

- Potresti cominciare a buttar , con garbo, che il Barbarò ha fatto anche la spia, - soggiunse l'avvocato Gian Paolo, con voce melliflua.

Salvatore Cammaroto si fermò su due piedi, si aggiustò gli occhiali sul naso, e guardò fisso l'avvocato.

- Nicola Mazza non ha ancora risposto... - mormorò dopo un momento.

- Che importa? Se il fatto non è vero, avrai sempre tempo di rettificarlo lealmente, e se è proprio vero, come sembra, allora non bisogna aspettare a spifferarlo che l'Alamanni sia rimasto soccombente!

- E poi, - osservò un altro della comitiva, certo Nannarelli, ragioniere, che aveva concorso in quei giorni al posto di vice-direttore della Banca degli Interessi Lombardi Provinciali, e che non era stato nominato: - e poi, per mostrare quali sono i sostenitori del Barbarò, e con quali mire lo servono, dovresti pubblicare anche la biografia dell'onesto Zodenigo!

- Buono, quello, Salvatore!

- Scrivi, scrivi, che ebbe i giorni amari dell'esilio raddolciti cogli zuccherini delle vecchie.

- Mentre non isdegnava nemmeno di intingere nel guadagno delle giovani!

- Questa è troppo forte! Non bisogna esagerare! - esclamò il Cammaroto rivolgendosi come scandalizzato alla signora Apollonia, che sempre seduta immobile al solito posto, con un cappellone giallo colle gale rosse, storceva la, bocca e sputava in terra per la nausea, mentre Peppino Casiraghi si fregava le mani saltando sulla seggiola, e ridendo come un matto. - Non bisogna esagerare! Io intendo di dire la verità a tutti quanti, ma non voglio calunniare nessuno; nemmeno gli avversari miei!

- Nannarelli non calunnia; Nannarelli dice la verità! - rispose l'avvocato Gian Paolo mettendosi a gridare e a battere col suo fascio di carte sul tavolino. - Ho conosciuto anch'io, due o tre anni fa, una delle tante vittime del professore. Era una certa Rosetta, che faceva la portinaia in Via della Spiga.... Il professore le fece fare un.... - ma a questo punto si fermò. La signora Apollonia, pestando i piedi e dimenandosi dispettosamente sulla seggiola, tutta stizzita per quella mancanza di rispetto al suo pudore, gli aveva tolta la parola.

- Un... mi avete capito! - continuò poi l'avvocato. - E subito dopo la povera ragazza fu abbandonata.... Ma quando in appresso la Rosetta diventò madamigella Flora, il professore tornò a frequentarla... nelle ore ch'essa aveva libere!... Ecco, Salvatore mio: questa è la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità!

- Bravo Gian Paolo!

- Hai detto benissimo! - esclamarono tutti gli altri, in coro.

Il Cammaroto fremeva di sdegno.... Tuttavia era ancora perplesso; avrebbe voluto aspettare di aver le prove in mano che il Barbarò era proprio stato una spia, denunciando Giulio Alamanni e Nicola Mazza, per schiacciare, con un colpo solo, lui e lo Zodenigo.... Ma d'altra parte l'articolo del Moderatore, e tutto il gridare degli amici, gli mettevano il fuoco addosso. Guardò la moglie, che rossa, scarlatta, barbottava imbizzita per quel baccano irriverente che si faceva attorno al direttore. Guardò Peppino Casiraghi, e vide bene dal modo come scrollava il capo, che il cronista teneva dalla parte dell'avvocato Serbellini.

- Che ne dici, Polonnì?

- Una 'annonata e non ti 'onfondere! - esclamò la signora con un'alzata di spalle molto significativa all'indirizzo del sullodato Gian Paolo e compagnia.

- Mi pare che da un poco in qua le riceviamo noi le cannonate... nella schiena! - brontolò Peppino, mettendosi di malumore a correggere le bozze.

- In fatti dicono che il fuoco della colonna comincia un poco a raffreddarsi, - soggiunse ghignando il Nannarelli.

- Davvero? - esclamò il Cammaroto prorompendo in una risataccia di sfida. - Dicono così?... davvero davvero? E scotendo la zazzera si sedette di colpo al tavolino, afferrò la penna, tirò su la manica dell'abito fin quasi al gomito, e cominciò a scrivere in mezzo alla prima cartella, mentre la signora Apollonia gli metteva dinanzi il bicchier d'acqua e il fazzoletto turchino:

"Il Candidato della Disperazione."

- Ah! Ah! Ah!... Ti garba, Polonnì? Il candidato della disperazione!... Peppino!... Senti, Peppino?!... Il candidato della disperazione! Ah! Ah! Ah! - Ma poi, finito di ridere, curvandosi sulle cartelle, colle gote accese, colla cravattina bianca disciolta, cogli occhi scintillanti, vuotò tutta l'anima sua, la sua collera, la sua passione, su que' foglietti di carta, che riempiva febbrilmente, colla velocità di uno stenografo, e che la signora, Apollonia, muta, attenta, disponeva in ordine, uno sull'altro.

"E il Barbarò, Pompeo Barbarò, il cavalier Barbarò, il Barbarò lattivendolo, banchiere, portinaio, appaltatore, il Barbarò pignoratario; è lui, lui solo, tutto lui il candidato della disperazione" scriveva il Cammaroto: "e noi dobbiamo innalzare le nostre laudi e render grazie alla sapienza infinita e sicumerica del mirabolano Moderatore, per averci suggerito un titolo così bello, così vero, così parlante, calzante, edificante!

"Il candidato della disperazione!... Oh lettori miei dilettissimi, rivolgete le pupille degli occhi vostri sulle facce sparute dei membri epatici dell'epatica Costituzionale, e vi ravviserete la mestizia dei rassegnati, lo sgomento dei paurosi, l'ira dei traditi, l'abbattimento dei vinti!... Rivolgete, rivolgete gli sguardi vostri sui volti contriti dei moderati liberali e illiberali, e ditelo voi se quelli e questi non sono i disperati dell'ultimo momento, che impauriti dalla minaccia della divisione dei voti, spaventati dal sorgere della formidabile candidatura Alamanni, soffocano la voce della coscienza per l'interesse del partito, ne offendono le oneste tradizioni, ingrossando le squadre della milizia scelta coi Turcos dalla faccia di bronzo, coi Lanzichenecchi dalle granfie rapaci, e infine avendo l'acqua alla gola, si attaccano persino al Barbarò... a questa oscena vescica gonfiata dal Moderatore per il salvataggio dei barcamenanti fra la patria e la bottega!

"Pompeo Barbarò?... Barbarò Pompeo!... Che, prima, il Dio dei galantuomini si copra la faccia, e poi, alla nostra volta, domandiamoci noi pure: "Chi è?... Che cosa vuole?... Che cosa farà?... questo generoso filantropo... dei limoni marci?... Questo gnomo strozzatore? Questo truf...faldino lombardo-veneto, sovra il cui capo, dove anche la canizie inonoratamente celandosi, colla frode d'un Figaro, pesa un'accusa terribile, che ci fa fremere di sdegno e di terrore?...

"Chi è costui?... Troni e Dominazioni!... È l'uomo nefasto delle forniture militari; è l'omicciattolo nefando dell'Agenzia di prestiti sopra pegni in via del Pesce!... Ma, come si chiama?... Qui sta il busillis!... Chi lo chiama Barbetta, chi lo chiama Barbarò; non si sa bene dei due nomi quale era quello del portinaio infedele, quale era quello del lattivendolo fallito.... Ognuno si ricorda, per altro, che all'epoca del processo dei fornitori invece del suo, o dei suoi, adoperava il nome di un certo Micotti, detto Sbornia.... A Panigale lo chiamano anche mercante di pellagra... e fra tanti, è questo il solo nome che non gli è contrastato!

"Che cosa vuole?... È presto detto: quattrini vuole!

"Che cosa farà?... Ciò che ha sempre fatto: quattrini! quattrini! quattrini! a qualunque prezzo, per qualunque vergogna; vendendo Cristo come Giuda, ma poi, invece di appiccarsi, impiccando il prossimo coi trenta danari guadagnati!

"Il Moderatore... - A proposito: il Moderatore continua a non nominarci, certamente per rispetto; ma noi lascieremo correre liberamente il suo nome dalla penna perchè in un articolo dove c'entra spesso il Barbarò è inutile lo studio d'evitare i vocaboli poco puliti.... Il Moderatore dunque, ebbe tra le altre anche la portentosa idea di consigliare agli elettori di Panigale di mandare alla Camera il Barbarò perchè.... Indovinate perchè, figliuoli miei?... perchè alla Camera vi sono i bilanci da discutere!

"Quali bilanci, di grazia?... I bilanci, forse, di una latteria fallita o di una qualche... suburra in liquidazione?... Oh, in tal caso, noi pure voteremmo unanimi per il competentissimo candidato... della disperazione!... Ma dove si fanno le leggi dello Stato, dove dovrebbe essere raccolto il cuore e la mente della Patria, credete pure, elettori di Panigale, che sarete assai meglio rappresentati dalla specchiata onestà di Francesco Alamanni, che non dall'abilità amministrativa del Barbarò... o Barbetta, se preferite.

"E sopratutto non bestemmiate, o professore... dei Barbarò! Non bestemmiate, per Dio, confondendo la broda dei vostri versacci da colascione colla più alta, colla più sublime poesia che tempera il cuore degli eroi, che forma la grandezza della Patria! No, no, illustre professore... di prosa fatta colla forma e colla misura, come gli stivali; no, no, non bestemmiate la poesia per mostrare ai popoli che quel vostro parvenu spropositante non è un poeta (canchero!) ma un finanziere! Esponete il fatto colla maggiore semplicità, e sarà eloquentissimo in ogni modo. Dite che mentre Francesco Alamanni spendeva il proprio patrimonio per il bene della Patria, il cavalier Pompeo rubava alla Patria per arricchirsi.... Dite tutto ciò, e una volta almeno, avrete detto anche la verità!

".... Ma, al postutto, non te ne ingaricà, professorello dell'anima mia. Gli elettori di Panigale non si lascieranno commuovere certamente dalla pomata (olio e sego) della tua prosa. Gli elettori di Panigale non vorranno certo preferire la bancarotta all'onestà, l'astuzia all'intelligenza, la frode al carattere, la vigliaccheria all'eroismo, le casse di limoni marci alle stimmate sante del soldato italico, il candidato della disperazione al candidato degli uomini liberi, il Barbetta (o Barbarò che sia) a Francesco Alamanni!

"Simili speranze possono appena concepire, nell'epa turgida, certi affaristi della penna; certi esuli-dilettanti che quando noi cantavamo messa (oh che bel latino, figliuoli miei!) fra lo scrosciare della mitraglia, non abbiamo mai avuto l'onore d'incontrarli!... Certa gente che mentre tuonava il cannone di San Martino e fischiavano le fucilate di Milazzo, inteneriva le vecchie sentimentali cantando i lai di Venezia sul mandolino.... Oppure strisciava, invasata di concupiscenza, strisciava nel bugigattolo di una qualche portinaia che aveva la figliuola credula e bella come il fiore di cui le avevano imposto il nome!... E in quel bugigattolo povero e indifeso, il lupo perverso, spendendo un pocolino di cielo azzurro e di casta luna confettato d'idealismo romantico, ingannava la semplice pecorella e.... E per uscir di metafora, diremo che il professore... della moralità, che ci butta in faccia come una vergogna l'aver dato col cuore anche il nome onorato alla diletta compagna della nostra vita; il professore della forma e della misura, la testa quadra, il fabbricatore di legislatori... a 49 al pezzo, soddisfatto all'ombra, come le bisce, il proprio capriccio, manda i figliuoli all'ospizio e le madri al bordello!

"Ebbene, un essere così fatto, che si sforza per scimiottare i gentiluomini, ma che non ha mai imitato i galantuomini, può credere ancora nel trionfo del cavalier Pompeo Barbarò, alias Barbetta (o viceversa), ma noi, no! E se il professore... dei brogli elettorali, può far l'ingiuria delle proprie speranze agli elettori di Panigale, noi, non faremo loro certamente quella dei nostri timori.

"E poichè ci troviamo... a Panigale, un'ultima parola, prima di finire. Ci vien riferito che laggiù un certo figuro, avanzo delle patrie galere, assolda elettori pel candidato della disperazione, al prezzo di cinque lire... e la minestra.... Ci vien riferito che un certo pretonzolo (che non butterà mai la tonaca perchè ci vive dentro e sopra) minaccia la grandine e l'inferno per gli elettori di Francesco Alamanni.... Ebbene, noi diffidiamo gli elettori di Panigale perchè si guardino bene da simili insidie e deferiremo i due allievi... del professore, al procuratore del Re.

"L'ora dei brogli, delle frodi è passata; e sta invece per suonare quella della giustizia.

"Non le pare, cavalier Pompeo, d'essersi messo a un brutto gioco?... Chi troppo in alto sal, cade sovente... con quel che segue.

"La giustizia arriva tardi, ma arriva sempre, e per non disimparare il latino, che tanto ai nervi al Moderatore, finiremo con Orazio:

/* "Numquam antecedentem scelestum Deseruit pede poena dando." */

Quando ebbe terminato di scrivere l'articolo, il direttore rizzò il capo, squassò di nuovo la zazzera, tuffò le labbra nel bicchiere d'acqua e cercò il fazzoletto guardando la moglie, Peppino e tutti gli amici con un'occhiata scintillante che si sciolse, come un lampo, nel fragore di una risata.... Ma poi, appena ebbe finito di leggere, si trovò stretto fra le braccia dell'avvocato Gian Paolo che lo baciava commosso, mentre tutti gli altri della comitiva applaudivano freneticamente.

Il numero della Colonna col "candidato della disperazione" ebbe un successo di vendita strepitoso. In due ore era stata esaurita tutta l'edizione, e si dovette farne tirare una seconda. L'effetto ottenuto poi fu il solito di tutti gli articoli elettorali pubblicati durante il calore delle elezioni. I moderati gridavano che era un'indecenza, un libello: i sinistri, che era il marchio rovente per il Barbarò. Gli uni sostenevano che tutto era falso quanto scriveva il Cammaroto: gli altri, che era verità sacrosanta. E destri e sinistri, erano ugualmente in buona fede.

 

 

 

V.

 

Giulio Barbarò era ritornato da Nizza a Milano appunto in quei giorni, essendo partito poco dopo ch'era partita anche la Mary, e fu tra i primi a leggere l'articolo scritto dal Cammaroto contro suo padre. Fin dalle prime righe si sentì montare il sangue alla testa, poi, pallido, tremante, senza profferir motto, corse difilato all'ufficio della Colonna di fuoco: voleva schiaffeggiare il direttore.

"Per Dio era troppo!... Era troppo!... Avrebbe pigliato quel manigoldo a calci, a frustate!" Se Giulio Barbarò aveva pur dovuto persuadersi che suo padre non si era condotto negli affari troppo scrupolosamente, tuttavia non lo avrebbe mai potuto credere colpevole delle infamie di cui lo accusava il Cammaroto. Perciò, oltre al dovere, si sentiva il diritto di difenderlo e di vendicarlo. Suo padre, vittima di calunnie atroci, riacquistava nel suo cuore tutta la stima antica e l'affetto.

"Povero vecchio!... Per mene elettorali, basse e vigliacche, gli si erano scagliati addosso come cani arrabbiati!..." Ma lui, suo figlio, lo avrebbe ben saputo vendicare... Per Dio, e come lo avrebbe vendicato! Sì, sì, voleva dare una lezione a quel frate velenoso, a quell'ispido e sudicio ricattatore!

Era sicuro che l'Alamanni, l'avversario di suo padre, onesto e generoso, sarebbe stato il primo a biasimare quelle calunnie, a sconfessare que' suoi amici.

"Perchè mai suo padre era andato a cacciarsi in un simile vespaio?... Maledetta la politica!..."

Quando Giulio Barbarò giunse alla direzione della Colonna di fuoco era già troppo tardi, e trovò chiuso l'ufficio. Allora, dopo aver dato un calcio furioso contro la porta, andò a girare lungo il Corso e in Galleria, dove gli era accaduto sovente d'incontrare il Cammaroto; ma per quella sera, gira e rigira, non gli fu possibile d'imbattersi in lui.

" - Si nasconde, ha paura, quel rospaccio rinnegato!..."

Invece trovò due amici, due garibaldini, compagni suoi di battaglione, che accettarono subito di andare in suo nome, la mattina appresso, all'ufficio della Colonna di fuoco, per sfidare Salvatore Cammaroto.

Dato questo incarico, e sfogatosi a lungo cogli amici, Giulio Barbarò cominciò a calmarsi un poco. "Sì, sì... avrebbe vendicata, lavata col sangue, la terribile offesa fatta all'onore di suo padre!..." E con questa risoluzione nell'animo, fattosi ormai più sicuro di , potè recarsi dalla Balladoro, la quale lo accolse con tante espansioni e con tante proteste e dichiarazioni di affetto e di stima per lui, per suo padre, da dargli subito a divedere che il numero della Colonna, col Candidato della disperazione, era giunto a quell'ora anche in Via della Spiga.

Ma dalla Balladoro, dolcissimo e caro conforto, egli trovò la signorina Mary, che adesso doveva stare sempre collo zio anche a Milano, e che avea ottenuto di venire con Angelica a fare un salutino a Donna Lucrezia.

Anche la marchesa Angelica, per una favorevole combinazione, era in quei giorni a Milano. Vi era appena arrivata da Gallarate, dove dimorava abitualmente, per passare le feste del Natale e del Capo d'anno vicino a Stefanuccio, ch'era stato messo nel Collegio militare. E siccome la marchesa si trovava pure alloggiata all'Albergo Roma, dov'erano anche gli Alamanni, che non avevano potuto trovar subito un buon quartierino in affitto, così le due cugine, che dopo tanto tempo che non s'eran più viste, si volevano sempre un monte di bene, naturalmente stavano insieme a tutte le ore.

Tuttavia, la marchesa Angelica non aveva ancora ricevuto confidenze dalla Mary, e non sapeva che avrebbe incontrato Giulio Barbarò da Donna Lucrezia, quantunque avesse notato che l'amabile cuginetta aveva insistito assai per volerci andare. Vedendoselo, per ciò, comparire dinanzi all'improvviso, non potè a meno di sentirsene contrariata, per il ricordo odioso di suo padre. La Mary invece, sebbene colle guance sempre accese, sebbene parlasse e si movesse con insolita animazione, si mostrava abbastanza disinvolta, e abbracciava la zia con certe strette appassionate, e le dava certi bacioni grossi e scoccanti, che il giovanotto doveva sentir risonare nel proprio cuore, come una promessa.

- Basème, basème, viscere mie! - mormorava intanto Donna Lucrezia gemendo col naso gonfio e chiuso, mentre la Filomena compariva sull'uscio, zoppicando, e rammendando la sua calzetta, per mangiarsi cogli occhi la signorina. - Basème, basème, viscere mie, a dispetto di tutti i... i bucefali del mondo!

Il buon Giulietto, quella sera, non sembrava timido, confuso com'era di solito, e anche la marchesa, passato il primo momento, n'ebbe un'impressione favorevole. Egli pensava che il giorno dopo si sarebbe battuto assai seriamente, che forse... avrebbe dovuto restar molto tempo senza più poter rivedere la signorina Mary; che forse... le sarebbe stato cagione di nuovi dolori, di nuove angosce, e per tutto ciò la sentiva più sua, più intimamente sua, e trovava il coraggio di esprimerle, almeno cogli occhi, tutto il suo immenso amore. Fu ardito al punto di trafugarle uno dei suoi piccoli guantini... voleva averlo sul cuore quando sarebbe andato a battersi....

Poi, mentre le due cugine, sole in un brum, ritornavano all'albergo, successero, fra loro, alcune spiegazioni.

- Dimmi la verità, - cominciò la marchesa, - tu sapevi di incontrare Giulio Barbarò da Donna Lucrezia?...

- Sì, Angelica mia, lo sapevo! - mormorò la fanciulla abbracciando la cugina con un abbandono, con un languore inesprimibile, e sospirando, facendosi pallida.

- Mary, Mary!... è proprio per me questo bacio? - domandò Angelica sorridendo.

- Questo... è proprio per te! - rispose la Mary dandogliene un altro.

Angelica ricevendo quel nuovo bacio si fe' pallida alla sua volta; rispose alla stretta della fanciulla con un tremito di tutto il corpo, e anch'essa sospirò, profondamente. Poi, come volendo scacciare il nuovo pensiero che si era impossessato di lei, si sciolse dall'abbraccio e le domandò con tono più grave:

- Ma... e tuo zio?... Che pensi di fare?...

- Giulio ha in animo di lavorare, di crearsi uno stato indipendente, e appena sarà possibile ci... ci sposeremo. Lo zio, dei resto, conosce benissimo le nostre intenzioni.

E la Mary riferì alla marchesa Angelica il colloquio avuto a Nizza con Francesco Alamanni.

- Lo ami tanto?... - domandò Angelica quando la fanciulla ebbe raccontato ogni cosa.

- Oh sì, Angelica... tanto!

- E... - la marchesa esitava, ma poi dopo un momento, spinta dall'affetto e dalla simpatia che nutriva per la Mary, si fece animo e continuò a domandarle: - e... lo credi proprio degno... del tuo amore, e dell'immenso sacrificio che sei disposta a compiere per lui!...

La fanciulla non disse una. parola, ma sorrise fissando la cugina e sfavillò negli occhi. Angelica si chinò commossa verso di lei.... Abbassò la bella testina bionda sulla testina bruna della Mary, e le baciò le labbra rosse e fragranti come un fiore. Tacquero tutte due lungamente; i loro occhi si fecero pieni di lacrime, il loro seno gonfio di sospiri.

Il brum, che correva sobbalzando, rallentò a un tratto il monotono frastuono e voltò adagio, per imboccare il corso Vittorio Emanuele. Allora la luce più viva dei fanali e dei negozi ancora aperti, il moto e il rumore delle carrozze e della gente, scossero un poco la marchesa.

- Chi sa - esclamò, dimostrando il più vivo interessamento, - chi sa come il tuo povero Giulio dovrà soffrire in questi giorni....

- Assai, figurati!... Per ciò appunto ho voluto vederlo; per fargli animo.

- Quell'omaccio non ha affetto di padre, prudenza, astuzia!... Non è altro che un farabutto volgare! - esclamò la marchesa con tono aspro e arrossendo subitamente per un impeto di collera. - Non doveva mai arrischiare di porsi in un simile pasticcio.

- Forse chi sa, - soggiunse la Mary chinando il capo, - saran stati gli altri a metterlo in mezzo... a ingannarlo.

- Tu, bimba mia, con queste elezioni, ti trovi proprio tra l'incudine e il martello. Da una parte tuo zio, dall'altra.... Giulio: perchè già, indirettamente, è in ballo anche lui. Ma quel benedetto ragazzo, non ha nessun ascendente in casa?... Non poteva distogliere suo padre da un passo così pericoloso?... Fargli intendere un po' la ragione?

- Che!... Il signor Barbarò sembra non fidarsi di Giulio!... Lo tratta ancora come un ragazzo.... Lo tien sempre lontano da tutte le sue faccende.

- Si capisce!...

- Sono così diversi. Il mio Giulio è buono.... Schietto, leale, onesto.... Non ti ricordi a Villagardiana?...

A Villagardiana!... Angelica non rispose.... Tornò a distrarsi, e non pensò più a Giulietto Barbarò. La sua mente corse invece al bel lago azzurro... alla Casina delle Romilie... e le due giovani signore tacquero, e si riscossero tutte due con un sussulto quando il brum si fermò dinanzi all'albergo.

La Mary, durante tutta la corsa, avea pensato a Giulio vicino.... Angelica, al Martinengo lontano. Andrea, forse un po' anche per merito del Ministro della Guerra che lo teneva sempre di guarnigione nell'Italia Meridionale, aveva mantenuta la sua promessa: non si era più fatto vedere da Angelica: ma Angelica, in ricambio, aveva pure mantenuta la sua, scrivendogli tutti i giorni.

Il capitano Ippolito Redaelli e il dottor Carlo Franchi si presentarono la mattina seguente, un po' prima delle dieci, come avevano promesso a Giulio Barbarò, all'ufficio della Colonna di fuoco; si avvicinarono al tavolino di Peppino Casiraghi, ch'era accanto all'uscio, e domandarono di parlare col signor Salvatore Cammaroto.

Peppino guardò i due, spalancando gli occhi, poi, senza aprir bocca, allungò la cannuccia della penna da scrivere, indicando il tavolino di faccia.

- Salvatore Cammaroto, sono io! - esclamò il direttore ficcandosi le lenti sul naso e alzando il capo, coi capelli e la barba arruffati più del solito.

I due amici si avvicinarono, e fecero prima un grande inchino.

- In che vi posso servire? - domandò il Cammaroto sdraiandosi sulla seggiola, e guardando i due bene in faccia.

In quel punto la granata, ch'era stata buttata in un angolo in tutta fretta dalla signora Apollonia, appena aveva sentito che capitava gente in direzione, strisciò e cadde, battendo forte col manico sul pavimento.

- In che cosa vi posso servire? - ripetè il Cammaroto.

- Ma, si vorrebbe... - e il capitano Redaelli accennò alla signora Apollonia seduta immobile e imbronciata, come un idolo indiano, accanto al direttore. - Si vorrebbe parlare con lei... da soli....

- Parlate pure: non uso aver segreti colla mia signora!

I due padrini fecero un secondo inchino, e il Redaelli accennò al Casiraghi che, ficcata la penna dietro l'orecchio, e appoggiata la spalliera della seggiola contro la parete, s'era messo tutto comodo, e col muso in su per sentire.

- Parlate pure: non uso aver segreti coi miei collaboratori! - ripetè il Cammaroto.

Allora il capitano Redaelli, mentre il suo compagno rimaneva muto, mostrò il mandato che avevano ricevuto da Giulio Barbarò per domandare una soddisfazione all'autore dell'articolo: Il candidato della disperazione.

Appena ebbe udito le parole "domandare una soddisfazione" Peppino Casiraghi ricominciò in fretta, e colla testa bassa, a correggere le bozze.

- Soddisfazione?... Soddisfazione, la dice? - si mise a gridare scattando la signora Apollonia. - Soddisfazione?! Il direttore ha usato del suo dritto di pubblicista!... O che, non ci ha da essere la libertà di stampa, non ci ha da essere?...

Ma il Cammaroto, alzandosi in piedi maestosamente, e stendendo le braccia, impose il silenzio.

- Calmati, calmati, Polonnì!... - Poi si rivolse ai rappresentanti di Giulio Barbarò, e dopo essersi di nuovo ben fermate sul naso le lenti e ravviata la zazzera, continuò con grande solennità di tono e di gesto:

- In teoria, noi siamo avversari aperti del duello: di questo barbaro costume, di barbari tempi. Ma, poichè vincere consuetudinem dura est pugna, come lasciò scritto sant'Agostino, e d'altra parte non dovendosi precorrere coll'evoluzione dei fatti l'evoluzione del pensiero, come ho scritto io medesimo nelle Mie confessioni al Padre Passaglia, pubblicato nel Mediatore di Torino e riprodotte dal Der Staat und die Kirche, di Lipsia, così accetto, ho l'onore di accettare, il cartello di sfida che mi portate in nome di Giulio Barbarò. Solamente nel caso presente dovremo pensare a trovare il modo di conciliare il desiderio del vostro primo colle più alte prerogative della libertà di stampa, coll'inviolabilità intangibile del sacro ministero di pubblicista, coi miei doveri di scrittore e di uomo pubblico.... Però vi prego in cortesia di volermi indicare il luogo e l'ora in cui potrete abboccarvi con due amici miei, che saranno a tal uopo delegati coll'incarico di rappresentarmi e di riferire le mie condizioni.

Il capitano Redaelli, a nome anche del dottor Carlo Franchi, rispose allora che avrebbero aspettato gli amici del signor direttore della Colonna di fuoco, nella prima sala del Caffè Cova, dalle quattro alle cinque pomeridiane.

Salvatore Cammaroto ringraziò con un cenno ossequioso del capo, e volle accompagnare fino sulla soglia dell'uscio i due signori che se ne andarono dopo avergli stretto la mano, ed essersi inchinati col più profondo rispetto all'Apollonia che invece di rispondere voltò le spalle crucciata.

"Che vi pigli un accidente a tutt'e due!"

Chiuso l'uscio dietro ai secondi del giovane Barbarò, Salvatore ritornò in fretta per sedersi al suo tavolo e ripigliare il lavoro che avea dovuto interrompere, ma la signora Apollonia e Peppino gli furono addosso con un monte di parole. La moglie, spaventata, voleva farsi promettere dal direttore che non si sarebbe lasciato sopraffare da quelle millanterie, che avrebbe dichiarato di non volersi battere co' birbaccioni, e che la stampa aveva il dritto di far la luce. Peppino Casiraghi, invece, era solo premuroso di sapere chi avrebbe scelto per padrini e come avrebbe fatto il duello, e propendeva per l'ultimo sangue.

- Polonnì, oh Polonnì!.. Per conservare al proprio nome l'autorità necessaria per compiere, coll'aiuto del Sign.... per compiere sulla terra qualche cosa di bene, bisogna, spesse volte, soffocare i propri convincimenti, bisogna chinare il capo e seguire la corrente!... E voi, Peppinuccio mio, statemi in pace e vedrete che, come san Pietro a Malco, troncherò le orecchie a chi osa levare "la proterva mano" sul... sulla Dea Libertà!... Ma, son già le dieci e un quarto - continuò dopo aver guardato l'orologio a pendolo, appeso alla parete. - Presto capiterà in Direzione l'avvocato Gian Paolo... Lui e un altro, il primo che verrà dopo, porteranno a quei signori la mia risposta. Sebbene sfidato, lascio a Giulio Barbarò la scelta delle armi, del luogo, e il fissare le condizioni. Io ne metto una solamente: non voglio battermi prima di lunedì prossimo se le elezioni saranno compiute domenica, o di lunedì a quindici, se vi sarà ballottaggio!...

Ma, in tutta la mattina, l'avvocato Gian Paolo, gli altri assidui della Colonna di fuoco, non si lasciarono vedere. Era già corsa voce per Milano che Giulio Barbarò avea mandato a sfidare il Cammaroto; che ci dovea essere un duello molto serio; e lo sdegno di questo figliuolo che esponeva la vita per l'onore del padre aveva commossa la sensibilità volubile e retorica del solito pubblico dei caffè, motivo per cui gli amici del Cammaroto stavano al largo, non amando d'incorrere nella impopolarità, d'aver brighe.

"Già" mormoravano fra loro "avean sempre predicato inutilmente, a quel benedett'uomo, di conservare la misura nella sua polemica!... "

Peppino, intanto, non vedendo capitar nessuno, perdeva la pazienza, mentre la signora Apollonia, quantunque volesse mostrarsi indifferente, allungava il collo ad ogni passo che sentiva nella strada per vedere se passava dalla finestra la tuba lustra dell'avvocato. La buona donna sperava che il Serbellini avrebbe dissuaso il direttore dall'accettare la sfida, e in ogni modo le premeva di essere presente a tutte quelle pratiche.

- Son le undici e mezzo.... Sono i tre quarti.... Son presto le dodici! - diceva ogni momento Peppino Casiraghi, che pareva avesse l'argento vivo addosso. - Ormai può star sicuro, direttore, che non vien più nessuno!... Vuole che faccia io una corsa, per chiamare l'avvocato?

- E che ci deve pensar lei, in tutti i modi?... Lasci un po' stare!... - borbottò la signora Apollonia, stizzita. - Ha una gran smania, lei, di far ammazzare la gente!...

- Non arrabbiarti, Polonnì!... Peppino ha ragione. In queste faccende non bisogna ridursi all'ultimo momento, col pericolo, magari, di non trovar più nessuno!... - esclamò il Cammaroto alzandosi e cominciando a spolverarsi le scarpe rotte, col fazzoletto turchino. - Adesso anderò io stesso in cerca di Gian Paolo nostro. Se non è venuto, vuol dire che avrà da fare, e lo troverò ancora allo studio.

E dalle scarpe, col medesimo fazzoletto, passò a spolverarsi il cappello. Poi, dopo aver fatte alcune raccomandazioni, per il giornale, a Peppino Casiraghi gli voleva affidare, per quel tempo che sarebbe rimasto assente, anche la sua signora, ma questa,, che s'era messa ad aggiustargli il nodo della cravattina bianca, e a levargli qualcuna delle frittelle più vistose dell'abito, non ne volle sapere.

- Come?... Anche lei, sora Apollonia, vuol andare in cerca dei padrini?

- Sicuro, gua'!... E non mi tiene manco un reggimento di soldati!

Salvatore, con un sorriso di tenerezza indulgente, voleva persuadere la moglie di attendere il suo ritorno in ufficio, promettendole che le avrebbe riferito tutto esattamente, ma non ci fu verso. La signora Apollonia gli cacciò il fazzoletto in tasca, il cappello in testa, se lo prese sotto il braccio e uscirono insieme, per quanto Peppino brontolasse che la cosa era sconveniente e contraria a tutte le regole della cavalleria.

Il direttore, dunque, e la sua signora, si avviarono direttamente, prima di tutto, allo studio dell'avvocato Spinelli. Ma allo studio l'avvocato non c'era; e non c'era un'anima. A forza di sonare venne una donna sulla scala, col grembiale bianco e la cuffietta, la quale non potè trattenersi dal sorridere vedendo il cappellone smisurato della signora Apollonia, e rispose, come aveva ordine di rispondere sempre a chi veniva in cerca del padrone:

- Il signor avvocato è al Tribunale.

- Ci credo poco al Tribunale! - mormorò la signora Apollonia quando furono in istrada.

Il direttore sorrise, le offrì il braccio, si cacciò le mani dentro le maniche, e si avviò verso il Tribunale, colla sua solita andatura.

Al Tribunale nessuno aveva veduto l'avvocato Pietro Paolo Serbellini, ma un usciere, al quale si erano rivolti per saperne qualche cosa, tenendo gli occhi fissi, anche lui, sul cappello della signora, rispose "di provare a cercar l'avvocato al Caffè delle Colonne, che a quell'ora ci poteva essere a far colazione."

Passarono dal Caffè delle Colonne... l'avvocato non c'era più.

- Sarà un cinque minuti che se n'è andato! - esclamò il cameriere, ma questi senza badare al cappello della signora che aveva già veduta più volte... - Provino alla Patriottica!...

I coniugi Cammaroto si avviarono verso la Patriottica, ma quando furono in fondo al Corso videro l'avvocato che attraversava la piazza del Duomo.

Lo avevano riconosciuto dalla tuba lustra e dal grosso fascio di carte che gli usciva dalla saccoccia del paletò.

- Eccolo, Polonnì!

- Eccola quest'anima dannata!

L'avvocato li avea già sbirciati di lontano colla coda dell'occhio, e affrettava il passo per scansarli.

- Avvocato! avvocato! - cominciò a gridare il Cammaroto, correndogli dietro colla moglie sotto al braccio; ma l'altro tirava di lungo più duro che mai.

- Avvocato!

- Avvocato! - cominciò a strillare anche la signora Apollonia, tutta scalmata. - Avvocato!

Non c'era verso di cavarsela; Gian Paolo si volse col capo, strinse le palpebre dietro le lenti, poi fingendo di riconoscerli in quell'attimo, si fermò facendo le più alte maraviglie.

- Oh Salvatore carissimo! Donna Apollonia, i miei complimenti!

- Siete sordo, giuraddina! - borbottò la signora ansante.

- Sordo no, ma sono intontito dal gran lavorare. È una giornataccia disperata, come non ne capita altro che a me. Ho avuto da discutere una causa in civile per turbato possesso - e mostrò il fascio di carte da una parte. - Adesso devo presiedere un consiglio di famiglia - e mostrò le carte dall'altra parte. - Insomma... non ho tempo da respirare.

- Buono!... E anch'io venivo in cerca di te per una piccola noia che ho da darti! - esclamò il Cammaroto sorridendo, mentre la signora Apollonia fissava muta l'avvocato con un'occhiataccia piena di diffidenza.

- Sempre a' tuoi ordini... - rispose il Serbellini con un tono pochissimo incoraggiante.

- Mi spiccio in due parole: Giulio Barbarò....

- Il figlio di qui' ccane! - grugnì fra i denti la signora Apollonia.

- .... mi ha mandato a sfidare!

- Eh... siamo giusti... - l'avvocato strizzava l'occhio sorridendo - v'è di che! sei proprio stato senza misericordia!... E... come hai risposto?...

- Ho risposto che in questo caso, credendo conveniente di derogare ai miei principii, accettavo la sfida....

Gian Paolo sospirò e si strinse nelle spalle, mentre approvava col capo.

- Al mio avversario lascio il dettare tutte le condizioni; io non ne metto altro che una: mi voglio battere a elezioni finite.

L'avvocato Gian Paolo continuava a sospirare e a guardare il Cammaroto con una faccia, come se gli preparasse le esequie.

- Eh... già... quell'articolo, se vogliamo... era assai violento... forse, direi quasi, anche troppo violento.

- Senti! senti!... Troppo violento!... La mi 'anzona, sor avvocato? - si mise a gridare l'Apollonia, che cominciava a uscir dai gangheri. - La mi 'anzona?... S'è stato lei a metterlo su?... Se dopo letto l'articolo, saltava come un matto e piangeva come un vitello?...

- Certo... certissimo... ho detto e ripeto... quell'articolo era un torrente di verità sacrosante... ma forse... ci voleva in alcuni punti, un po' più di forma!...

- Be'... adesso, non è di questo che si tratta - interruppe il Cammaroto, ch'era pure un po' seccato per il contegno strano dell'amico Gian Paolo. - Adesso volevo dirti che, naturalmente, avevo pensato a te, prima che ad ogni altro per....

Ma l'avvocato, a questo punto, non lo lasciò finire, e prendendogli una mano e premendola sul proprio cuore - grazie di questa novella prova di amicizia, ma con te già si può parlare chiaro... ti prego... di cercarne un altro. In affari simili, io non ci ho punto pratica. Sono un pacifico padre di famiglia; mia moglie patisce di convulsioni; poi, come t'ho detto - e tornò a mostrare le carte - mi mancherebbe il tempo necessario....

- Ma... - balbettò il Cammaroto - gli è che il tempo stringe e non vorrei trovarmi in... in impiccio....

- Perchè non ti sei rivolto al Nannarelli?... Quello è l'uomo fatto apposta per queste cose!... È anche membro del Tiro a segno.

- Ma... stamattina non s'è visto neppure lui!... E poi, non so bene dove abita....

- Non sai dove abita il Nannarelli?... Ti servo io: Corso Venezia, numero cinquantatrè! Vai dritto, e non puoi sbagliare. Se prendi un omnibus ti ci porta in due minuti.... Guarda, guarda che bella combinazione! - e l'avvocato indicò al Cammaroto un omnibus, che attraversava la piazza a non molta distanza da loro, - l'omnibus del Corso Venezia parte proprio adesso!... Se fai presto, lo puoi raggiungere ancora....

Il Cammaroto si voltò, vide l'omnibus, si cacciò una mano sul cappello a cilindro perchè non gli volasse via e gli corse dietro seguìto dalla signora Apollonia ansimante, mentre l'avvocato, agitando in alto il fascio di carte, faceva segno al conduttore di fermarsi, e continuava a gridare: - Corri, corri, Salvatore!... I miei rispetti, donna Apollonia!

Poi quando vide l'omnibus fermarsi, e il conduttore imbarcare la signora e il Cammaroto, respirò mormorando: "Tant'è, me la sono cavata a buon patto!... Figurarsi, se mi volevo compromettere con quel mattoide!..."

Nel medesimo tempo la signora Apollonia, stretta nell'omnibus, mentre si aggiustava il cappello, che durante la corsa aveva perduto l'equilibrio, dichiarava al marito che "se quel canchero d'un avvocato" avesse avuto tanto ardire da tornare a ficcare il naso in direzione, gliene voleva dir tante, da svergognarlo.

- Calmati, calmati, che non ne mette conto. Tanto o lui o il Nannarelli per me fa lo stesso!...

La signora Apollonia tacque, ma non si calmò, e cominciò subito a guardare i numeri delle case, cogli occhi torvi. Quando l'omnibus fu arrivato al numero cinquantatrè, lo fece fermare.

- Ci siamo, Salvatore.

Scesero, e tutt'e due mormorarono con un sospiro di sollievo, quando il portinaio disse loro che il Nannarelli era in casa:

- Almeno avremo finito di girare!...

Ma invece, povera gente, dovettero girare dell'altro, e per un pezzo!

Anche il Nannarelli, quel giorno, era pieno di faccende.

- È arrivata da Barzanò una cugina di mia moglie, e tutta la santa mattina ho dovuto andare attorno con lei. Auf... non ne posso più!... Ho fatto visita si può dire a tutti i magazzini del Corso. Figurati, Salvatore, ha una figliuola che si fa sposa: non ho più fiato, gambe... e non siamo alla fine! Ho appena il tempo di mangiare un boccone lesto lesto e poi... nuovamente di servizio!... Ma s'accomodi, signora Apollonia; e tu, Salvatore... perchè vuoi star in piedi?... Dieci minuti, per bacco, li posso rubare anche a mia cugina!

- Ma... ho... avrei....

- Abbiamo premura anche noi! - esclamò l'Apollonia col solito fare stizzoso. Dal preambolo essa aveva già capito che nemmeno su quello c'era da fare assegnamento.

- Anch'io - continuava intanto il Cammaroto, - avrei una piccola noia da darti.... Amicus fidelis, protectio fortis, secondo l'Ecclesiastico... - e mentre l'Apollonia guardava di traverso il Nannarelli, Salvatore gli prese una mano e sorridendo gli raccontò quanto gli era accaduto, e lo pregò di volersi assumere la briga di fargli da padrino.

- Volentierissimo... sempre a' tuoi comandi... ma... tienmi in serbo per un'altra occasione.

- Andiamo, Salvatore - borbottò l'Apollonia tirando il marito per un braccio.

- Sarebbe un onore, per me, signora mia, si figuri; ma dica lei se non sono proprio disgraziato. Uno zio di mia moglie è ragioniere capo alla Banca del Credito Popolare, dove il Barbarò può fare alto e basso. Se io, come vorrei, accettassi l'incarico del nostro caro direttore, quella canaglia, per vendicarsi di me, che sono andato a sfidare suo figlio, farebbe perdere il posto a mio zio e.... Vedi bene, Cammaroto... vede bene, signora Apollonia, si tratta di un padre... di cinque figli.

- Andiamo, Salvatore! - ripetè l'Apollonia tirandosi dietro il marito, senza badare al Nannarelli. Ma questi volle accompagnare i Cammaroto fin sulla scala, e più li spingeva verso la porta, più si profondeva in offerte e in complimenti, dicendo fra l'altre cose alla signora Apollonia che, alla prima occasione, avrebbe voluto aver l'onore di presentarle sua moglie. - Oggi è tutta sossopra anch'essa per questo benedetto matrimonio di nostra nipote! - E sulla porta, dopo aver fatto i più cordiali augurii all'amico Salvatore, strizzando l'occhio e stringendogli forte la mano, gli raccomandò, se gli fosse stato possibile, di intiepidire un pochino quel suo gran bollore meridionale.... Il Cammaroto gli rispose con un'alzata di spalle, e se ne andò senza nemmeno salutarlo.

- Hai sentito, Polonnì!... Anche lui come quell'altro!...

- Figli di 'ani!...

- E adesso, chi si va a pescare?

Salvatore Cammaroto si strinse nelle spalle, e collo sgomento in cuore d'essere abbandonato sul più bello da tutti gli amici, dai collaboratori morali della Colonna, andò a battere ancora a diverse porte, ma sempre collo stesso bel frutto.

Tizio era spiacentissimo di non poter accettare "quel grande onore che gli voleva fare l'amico Cammaroto" ma partiva sul momento per la campagna: aveva i buoi collo zoppino! - Caio era desolato di non poterlo servire. Suo fratello era amicissimo di Giulio Barbarò, e non doveva accettare per riguardi di famiglia. Un altro non voleva assumersi l'incarico perchè era della Congregazione di Carità insieme col Barbarò; un altro perchè faceva affari colla Banca degli interessi lombardi provinciali, e temeva di crearsi difficoltà per lo sconto; e così di seguito, tutti colle più vive espressioni di rincrescimento; tutti ringraziando dell'onore e impegnandosi per la prima occasione, lo lasciavano in asso, compiangendolo per quella tegola che s'era tirata sul capo; facendo cuore alla povera signora Apollonia, e raccomandando in ogni tono, mentre gli aprivano la porta per farlo uscire "la forma!... la forma!... la forma!..."

- Oh, Polonnì, questa gentaccia mi farà perdere la testa!... - esclamava scorato il Cammaroto che vedeva avvicinarsi le quattro e ancora non avea trovato i padrini da mandare al Caffè Cova.

- Figli di 'ani! - rispondeva sempre la signora Apollonia colla voce rauca e tutta rossa in viso. Era stanca, aveva sete, aveva caldo, quantunque fosse di dicembre; e mentre schiattava di rabbia contro quegli altri, guardava di tanto in tanto il direttore che, abbattuto, piegava il collo sempre di più; lo guardava con un'espressione di tenerezza, di mestizia, d'inquietudine e non aveva più testa nemmeno per aggiustarsi il cappello che ormai le stava tutto di sbieco.

- Se fossi in te, manderei Peppino da que' du' così e farei dir loro che noi non si vuole imposizioni. Poi sulla Colonna vorrei dire le mie ragioni all'avvocato, al Nannarelli... e a tutti quanti!

Ma dei due consigli della moglie il Cammaroto non accettò altro che il secondo. Lasciata l'Apollonia, che non aveva più animo d'insistere per accompagnarlo ancora, all'ufficio della Colonna, prese un brum, si fece condurre alla Società dei reduci, dove gli fu indicata l'abitazione del presidente, vi si recò difilato, e col mezzo suo ebbe i due padrini che gli abbisognavano e che prima delle cinque entravano al Caffè Cova. Poi, accomodata questa faccenda, scrisse la sfuriata, come gli aveva suggerito la signora Apollonia, contro l'avvocato Gian Paolo Serbellini, contro il Nannarelli e compagnia, chiamandoli leoni-conigli, e sfogò tutto il malumore, tutto il dispetto e l'ira sua, narrando per filo e per segno la faticosa via crucis compiuta inutilmente dall'uno all'altro, e l'abbandono in cui era stato lasciato per egoismo, per bassezza, per viltà. E dichiarava che voleva rompere tutti i vetri dell'ufficio "per ritemprare colle aure ossigenate l'ambiente saturo dei loro pestiferi miasmi." "A me solo" prorompeva il Cammaroto nel punto massimo del suo furore "a me solo il disonor del Golgota" e mandava gli apostoli "sfibrati e simoniaci" dove "stava di casa la bramosìa plebea camuffata di gentilomeria accattona; l'astuzia e la vigliaccheria mascherate di prudenza," dove "per forma e per misura si spacciava l'ipocrisia e il gesuitismo."

Ma in questa sua ira il Cammaroto avea fatto un passo falso, e lo Zodenigo se ne approfittò subito, traendo occasione dall'abbandono in cui era stata lasciata la Colonna di fuoco per mostrare come l'opinione pubblica fosse disgustata dall'intemperanze della polemica Cammarotiana.

Era il primo caso in cui il Moderatore si degnava rivolgere la parola direttamente al giornale dell'ex-frate catanese; ma lo faceva coll'aria schifiltosa d'una damina che fa una smorfia e si restringe tutta in stessa, mentre sta per lasciar cadere un soldo nel sudicio cappello di un mendicante. Compiangeva più che altro il Cammaroto "che riusciva a lordare, ma non a ferire," e faceva intendere, fra le eleganze dello stile compassato, che era forse ancora più matto che non canaglia, "un soggetto più da processo clinico che da processo penale." E dichiarava pure che il Moderatore "da cortese gentiluomo" sarebbe stato ben lieto d'offrire al Serbellini, al Nannarelli e ai loro egregi amici quella ospitalità che "l'iracondo apostolo... della bugia" voleva infligger loro come una punizione.

"Del resto, Milano aveva giudicato. Milano, che a buon diritto poteva vantarsi come la capitale morale e intellettuale d'Italia; Milano la seria, la forte, l'operosa, l'onesta; Milano aveva già irremissibilmente ripudiata una stampa senza freno e senza pudore; che non aveva nulla di inviolabile, nemmeno le pareti domestiche, nemmeno i più gelosi segreti della vita privata; che non rispettava nulla, amici avversari, e contro la quale il buon ambrosiano, sulle cui labbra scoppiettava sempre viva la satira di Carlo Porta, aveva inflitto il marchio di un soprannome che avrebbe vissuto più del nome vero, e che sarebbe stata l'unica memoria superstite di quella lotta infelice, di quella polemica sciagurata:

La Colonna... di feccia."

Infine, come se il Cammaroto ormai fosse proprio morto e sotterrato, e di Francesco Alamanni non fosse più nemmeno il caso di discorrerne, annunciava solennemente che "il giovedì di quella stessa settimana (le elezioni erano indette per la domenica) alle ore 11 antimeridiane precise il cavalier Pompeo Barbarò, invitato dal Comitato elettorale degli agricoltori liberali-moderati," avrebbe tenuto una conferenza nella sala del Teatro Sociale di Panigale, per intendersi cogli elettori e manifestar loro le proprie idee intorno alla politica del Governo e alle riforme amministrative.

 

 

 

VI.

 

Quando lo Zodenigo comunicò il proprio disegno circa un discorso politico da tenersi a Panigale, al cavalier Barbarò, questi in sulle prime mandò il professore a tutti i diavoli, e dichiarò che non gli avrebbero aperta la bocca nemmeno coi ferri.

- Siete matto, professore, proprio matto da legare; più matto ancora di quel frataccio infame!...

E a Beppe Micotti, chiamato apposta a Milano dallo Zodenigo per ricevere ordini in proposito, e che gli prometteva una gran dimostrazione, intimò di smettere le pagliacciate, dicendogli mille villanìe.

Ma Beppe Micotti non si lasciava sbigottire, e il professore non si dava per vinto:

- Vogliamo farvi tiionfaae a vostro dispetto - mormorava socchiudendo gli occhi e facendo sempre più l'addormentato.

E senz'altro, quando gli parve fosse il momento opportuno, annunziò il discorso sul Moderatore, e fece affiggere per tutto il collegio avvisi e manifesti, col giorno e l'ora della riunione, tanto che il povero Barbarò dovette ancora piegare il capo e mettersi ore e ore per imparare a mente tutto il discorso che dallo Zodenigo medesimo gli era stato preparato.

"No no; un'altra volta non mi ci piglia di sicuro, quel ladro d'un Dulcamara!" brontolava interrompendosi arrabbiato, mentre passeggiava in lungo e in largo per lo studio, coi foglietti in mano. "Non mi ci piglia più, campassi mill'anni!" Poi si fermava su due piedi e cominciava a declamare, accompagnando la parola con gesti analoghi:

"Onorevoli signori!... Concittadini carissimi!

"Non ho preparato un discorso.... Aborro il frastuono della retorica, la vacuità delle frasi fatte, le viete ripetizioni dei soliti luoghi comuni!... Aborro tutto ciò che è voce e non pensiero - suono e non idea - perchè.... (A questo punto sul manoscritto c'era una nota che diceva: pausa - quindi proseguire rivolgendosi verso l'uditorio con amabile ironia; e il Barbarò storceva la bocca per provarsi a sorridere, e poi continuava dopo una battuta di aspetto)... perchè non sono... oratore!... Ma che volete, signori miei?... Io mi vanto di rappresentare il lavoro, se non l'intelligenza, e all'eloquenza delle parole ho sempre preferito... (nuova pausa - più forte)... ho sempre preferito - gridava Pompeo battendo col pugno nell'aria - ho sempre preferito l'eloquenza dei fatti!..."

Ci saranno applausi - diceva una nuova avvertenza - ma bisogna tirar di lungo, senza ringraziare. E Pompeo continuava: "Pure, trovandomi in mezzo a voi, da voi cortesemente invitato, commosso nel profondo del cuore per tante e così immeritate e inaspettate attestazioni di affetto e di stima, qui dirò brevemente, ma francamente, in camera caritatevolis.... - No, bestia, charitatis, charitatis, charitatis! - ripeteva, pestando i piedi, il povero Barbarò, che, arrivato al latino, perdeva la staffa, bestemmiava e sbuffava, finchè, sospirando, tornava un poco a calmarsi, a far di nuovo boccacce per imparare a sorridere amabilmente, a distendere le braccia per salutare gli elettori, e ricominciava daccapo a declamare:

"Onorevoli signori!... Cittadini carissimi!..."

Tuttavia, ad onta di tante pene, e di tante inquietudini, quando Pompeo Barbarò fu giunto al momento difficile, all'ora del gran discorso, non ebbe più tanta paura, tanto orgasmo ed anzi scorgendo, sotto l'atrio del Teatro di Panigale, Beppe Micotti e Don Rosario fra mezzo a tutti i suoi affittaiuoli, i suoi coloni, i suoi lavoranti che lo guardavano impauriti e timorosi, non solo si rincorò pienamente, ma ci trovò gusto, e si sentì commosso per quella imponente dimostrazione di simpatia.

- Cooaggio... e avanti sempee! - gli disse piano lo Zodenigo che gli si era messo vicino, mentre il Presidente del comitato si disponeva, come vuol l'uso, a presentare il candidato, dall'alto del palco scenico, all'assemblea.

Ma il Barbarò gli mostrò la propria sicurezza con un'alzata di spalle, e appena si ristabilì il silenzio, dopo gli applausi che accolsero il suo nome, silenzio imposto cogli zittii formidabili di Beppe Micotti e dei fattori, il Barbarò cominciò a parlare con franchezza e proseguì spedito, non dimenticando una pausa, un'inflessione di voce, e senza mai inciampare, neppure nel latino.

Il trionfo fu completo. Se durante il discorso gli applausi, ai quali Beppe Micotti e Don Rosario davano sempre lo spunto, erano stati a stento repressi, alla fine proruppero in una vera ovazione, e il Barbarò sudante e lacrimante fra i membri del comitato che gli si accalcavano addosso per festeggiarlo, ubriacato dal buon successo, avrebbe voluto aggiungere qualche parola, quasi quasi sarebbe stato disposto a fare il bis.

"Che buona gente!... " e distribuiva commosso strette di mano, sorrisi, saluti, scappellate a tutti quanti.

Se non che, mentre il Barbarò accompagnato dallo Zodenigo, dai sindaci dei vari comuni del collegio, dal Presidente e dai membri del Comitato degli Agricoltori liberali-moderati, stava per uscire dal teatro, la scena mutò a un tratto. Dentro risonavano ancora gli applausi: fuori, la folla si mostrava ostile, e non mancò nemmeno qualche fischio all'indirizzo del cavaliere. Pompeo impallidì, e si strinse al braccio del sindaco di Panigale.

- Ohi!... ohi!... Che c'è di nuovo?... Dove sono i carabinieri?...

I carabinieri erano poco lontani, ma Pompeo non si tranquillò.

"Pellagrosi maledetti!..." Confuso, sbalordito, saltò in carrozza col sindaco, lo Zodenigo e il Presidente, mentre due o tre altri fischi salutarono la comitiva che partiva al trotto verso la sede del comitato, dove ci doveva essere un gran banchetto in onore del Barbarò.

- È una manovra vergognosa!... È un'altra bricconata del Cammaroto!... - esclamò lo Zodenigo, rivolgendosi al sindaco che, maravigliato e mortificato, non sapeva più che cosa dire.

Pompeo Barbarò non avea veduto, non avea capito nulla, ma non osava chiedere schiarimenti: aveva troppa paura in corpo. In un attimo era ripiombato dalle gioie del trionfo nell'avvilimento della sconfitta. "E tutto si fosse fermato ... ma dai fischi alle bastonate il passo poteva esser breve!" pensava fra facendosi piccino piccino in un angolo del landò.

- Bisogna trovar modo di strappaae tutti quei manifesti indecenti! - disse ancora lo Zodenigo al sindaco che, sempre muto, si strinse nelle spalle.

- Come fare? - domandò il Presidente del comitato, pallido anche lui, colla cravattina nera a sghembo, e il pioppino nuovo, troppo stretto, che gli ballava in testa. - Come fare?... Hanno tappezzato tutto il paese!

Infatti mentre il Barbarò nel Teatro Sociale era festeggiato dai suoi elettori, tutto il paese, e specialmente la piazza, la chiesa, il municipio, e persino le colonne della facciata del Teatro, erano state coperte quasi letteralmente da un'enorme quantità di avvisi rossi, verdi, gialli, di tutti i colori, colla scritta che segue:

"Elettori di Panigale!...

"Leggete il presente dispaccio ricevuto da Londra in data d'oggi dall'insigne patriotta milanese Nicola Mazza, colà rifugiatosi dopo essere scampato dalle segrete dell'Austria.

"Caro Cammaroto. - Dite pure agli Italiani che l'attuale candidato proposto dagli avversari di Francesco Alamanni è quel medesimo Pompeo Barbetta che nel 1849 ha fatto la spia a Giulio Alamanni e a me. - Nicola Mazza."

Tuttavia avendo i carabinieri eseguito con precisione e in breve tempo gli ordini ricevuti: - di strappare tutti gli avvisi nel collegio, e ammonire con severe paternali i soggetti più pericolosi - la quiete fu tosto ristabilita, ed anzi i convitati si trovarono abbastanza ben disposti per il pranzo, e dopo la zuppa le conversazioni, rallegrate dai suoni della Banda Civica, cominciarono ad animarsi, il buon umore a farsi generale.

Ma la musica, il frastuono, i fumi del banchetto riuscivano a scuotere, a riconfortare Pompeo Barbarò. Pallido, stralunato, masticava i bocconi senza poterli inghiottire, tanto si sentiva il petto grosso, e la gola secca. Voleva mostrarsi disinvolto, ed era confuso, impacciato; voleva sforzarsi di sorridere amabilmente, e faceva smorfie come se avesse avuto il mal di denti. Voleva parlare, ma non trovava le parole. Gli pareva che il favore, che avea prima dimostrato per lui tutto quel mondo sussurrone, si fosse raffreddato; e per darsi animo cercava spesso con gli occhi lo Zodenigo, che soffiava e faceva la ruota, seduto in mezzo alla tavola fra il sindaco e il Presidente del Comitato elettorale. Il professore mangiava assai, ma con un appetito composto e silenzioso, sempre eguale per tutto il pranzo. Parlava pochissimo, e sorrideva con benigno compatimento ai lazzi di Don Rosario, tutto rosso e rilucente, nel faccione tondo.

Nessuno avea mai osato il benchè minimo accenno alle scenate successe fuori del Teatro, alla birbonata da processo del padre Cammaroto. Solamente quando fu l'ora dei brindisi, il solito Presidente del comitato (anche costui era un grosso fittaiuolo del Barbarò) si alzò pel primo, e col viso smorto dalla soggezione, e la cravattina che gli scappava dal colletto, tuonò, con voce fessa e un tantino tremante, "contro le male arti dei sovvertitori dell'ordine pubblico le quali... le quali... non avrebbero fatto altro, del resto, che rendere più imponente la spontanea manifestazione della coscienza popolare!"

Ma appena finito il brindisi, mentre gli applausi scoppiavano più fragorosi, e il Barbarò colla bocca sorrideva ringraziando e col cuore mandava all'inferno tutti quegli ubriaconi imprudenti che avrebbero potuto provocare qualche rumore dalla strada... e qualche sassata, entrò in sala Beppe Micotti, si avvicinò, non osservato, per la gran confusione del momento, allo Zodenigo, e gli bisbigliò in fretta alcune parole all'orecchio.

Lo Zodenigo fece un atto vivissimo, per quanto rapido, e guardò involontariamente il Barbarò. Ma questi, tutto intento a sentire un altro brindisi, non vide il professore che, detta una parola di scusa a' suoi vicini di tavola, uscì subito dietro al Micotti.

- Dov'è?... Dov'è?... - domandò affannato a Beppe quando furono sulla scala, guardandosi attorno come per cercare qualcuno.

- È qui... aspetta nella corte!... - rispose il Micotti scendendo in fretta dinanzi allo Zodenigo.

Infatti, appena furono abbasso, venne loro incontro uno dei ragionieri più vecchi e più fidati del Barbarò. Tutto sconvolto stava per parlare, ma il Micotti gli chiuse la bocca con un cenno, e lo fece passare col professore in una stanzetta appartata, dove non entrava mai nessuno.

- Per Dio! - esclamò il professore, rivolgendosi ansiosamente al ragioniere, mentre il Micotti chiudeva l'uscio.... - Quando è successo il fatto?

- Stamattina... saranno state le dieci....

- E... come ha saputo?...

- Antonio, il servitore del signor cavaliere, che stava mettendo in ordine l'appartamento, ha udito lo sparo... è entrato in camera... ha veduto il signor Giulio lungo disteso per terra, privo di sensi... Anzi al primo momento, credette fosse morto sul colpo ed è corso nello studio spaventato, per chiamar gente....

- E chi c'era con lei nello studio?...

- Nessun altro... ero solo.

- Meno male!... E... come lo ha lasciato?

- Agitatissimo. Si temeva assai per la febbre.

- E il medico?... Che cosa dice il medico?...

- Ancora non vuol pronunciarsi.... Dice che sarà un affar grave in ogni modo.... Che la palla gli deve aver perforato il polmone....

- Il fatto, per ora, non si è saputo, fuori?...

- Per ora, no.

- È necessaaissimo che rimanga sepolto... almeno finchè possiamo aver speranza di evitare una catastoofe!... In caso diverso il cavaliere è spacciato!...

- Oh per questo - interruppe il Micotti con un'alzata di spalle - vede bene quanto effetto hanno ottenuto anche le famose rivelazioni del frate, coi dispacci telegrafici da Londra. Un fuoco di paglia.

- Non si può dir niente, ancora. In ogni modo furono pronti i nostri a non lasciarsi prendere.... hanno subito indovinato che quel dispaccio non poteva essere altro che un tranello elettooale!... Ma se invece adesso si sparge la nuova del tentato suicidio, tutti crederanno, anche i più increduli, che l'accusa sia vera... si dirà che Giulio Babaaò voleva ammazzarsi per non poter sopravvivere al disonore del padre, all'infamia del proprio nome... e, in tal caso, anch'io ci farei una figura non toopo... non toopo... - Ma a questo punto si fermò, e dopo aver masticato una bestemmia all'indirizzo degli esaltati, ordinò al Micotti di recarsi subito dal signor cavaliere di trovar modo di chiamarlo in disparte, e di farlo scendere un momento, con una scusa qualsiasi. "... E badasse bene, senza destar sospetti!"

Lo Zodenigo, rimasto solo col ragioniere, continuò a borbottare stizzito, a pestare i piedi, e a domandargli con molta ansia:

- Mi assicura proprio che, fuori di casa, non sia corsa voce del fatto?...

- No... si può sperare almeno. Il medico medesimo ha raccomandato, per il primo, la maggior segretezza. Antonio è muto come un pesce... Di me... si possono fidare... Certo per altro, che se avesse ad accadere una disgrazia, allora... non sarebbe più possibile tenerla nascosta.

- Già... già... sicuaamente... ma intanto facciamo quel che si deve, poi sarà quel che saà!... Se guarisce, si potrà negare tutto... si potrà dire che si è fatto male... per accidente! In somma qualche cosa troveremo, per tener a bada i cuiiosi....

Ma in quel punto si precipitò nella stanza Pompeo Barbarò che, nel frattempo, era già stato informato di tutto dal Micotti.

- Ah, per Dio!... Anche questa mi ci voleva!... Ma la cagione?... - domandò, pallido, ansante. - La vera cagione, si è potuta sapere?...

Il ragioniere riferì che la sera prima era stato pubblicato, pure a Milano, in un supplemento della Colonna di fuoco, il dispaccio telegrafico di Nicola Mazza; riferì che il signor Giulio lo aveva veduto, che ne era rimasto molto colpito e che aveva subito mandato Antonio in cerca del capitano Redaelli e del dottor Franchi.

- Ma Antonio - continuava il ragioniere - ritornò senza aver potuto trovare nessuno dei due. Il signor Giulio, che pareva non avesse il coraggio di uscir di casa, scrisse un biglietto, che mandò subito, ancora per mezzo di Antonio, al capitano.... In quel biglietto, si crede avesse pregato il capitano, e col capitano medesimamente anche il dottor Franchi, di correre da lui questa mattina presto; infatti...

- Ma come ha potuto sapere tanti particolari?... - domandò il Micotti, che stava attentissimo, interrompendo a bruciapelo il ragioniere.

- Antonio m'ha raccontato tutto il.... la cosa....

- Va bene; va bene! Avanti, - esclamò Pompeo vivamente.

- Infatti - continuò l'altro - i due signori capitavano stamattina, un poco prima delle dieci, a cercare del signor Giulio. Il signor Giulio che era già alzato, o che forse non era nemmanco andato a letto, corse loro incontro, li fece entrare nella sua camera, chiudendosi dentro. Il capitano Redaelli e il dottor Franchi uscirono poi quasi subito... con una faccia molto scura... e dovevano essere appena giunti in istrada, quando Antonio udì un colpo di revolver, in camera del signor Giulio.

Beppe Micotti, a questo punto, si strappò un'unghia, che stava rosicchiando da un pezzo, vizio imparato dal padrino.... Lo Zodenigo, invece, e il Barbarò si guardarono in viso l'un l'altro, muti, costernati. Non ci poteva esser dubbio circa il motivo che avea spinto Giulio alla disperazione: i suoi padrini, dopo il telegramma di Nicola Mazza, dovevano aver rifiutato di fare qualche nuovo passo verso il Cammaroto.

In fatti, come si venne a sapere molto dopo, il capitano Redaelli e il dottor Franchi avevano dichiarato quella mattina a Giulio Barbarò, che non solamente non potevano accettare di far nuove pratiche verso il Cammaroto, ma che gli rimettevano anche il mandato avuto per regolare la prima questione, finchè un giurì d'onore, scelto all'infuori di ogni partito politico, non avesse dichiarato falso o infondato il dispaccio del Mazza pubblicato dalla Colonna di fuoco.

- Maledetto frate!... Maledetto frate!... - borbottava intanto il Barbarò fra i singhiozzi. - E maledetto voi, - gridò poscia, a un tratto rivolgendosi col pugno chiuso contro lo Zodenigo. - Maledetto voi, che mi avete rovinato, che mi avete dato in mano ai miei nemici, che siete l'origine di tutte le mie disgrazie!... Maledetto!... Maledetto!... Maledetto!...

- Finiamola!... State zitto!... Non è questo il momento dei lagni, delle recriminazioni! - rispose lo Zodenigo senza indietreggiare, senza scomporsi, ma guardando freddamente il Barbarò, con un'occhiata molto espressiva. - Ve l'ho detto ancooa.... Non potevo mai preveder tutto... tutto quello che ci capita. Pensate che, con voi, mi son messo in serio peeicolo anch'io!...

- Bisogna... bisognerà... ritornare a Milano immediatamente! - disse allora Pompeo, nel quale l'ira furibonda avea subito dato luogo a un grandissimo abbattimento.

- Siete matto? Volete proprio rovinarvi? - esclamò con molta vivacità il professore. - E rovinarvi non soltanto come uomo politico, ma... in tutti i modi!... Pensate al rumore, allo scandalo, che susciterebbe la vostra partenza precipitosa da Panigale. Sarebbe un divulgare per tutto il mondo, quanto più preme di tener nascosto!...

- Ma... e se non si riesce a questo?... La gente dirà allora che invece di correre presso il letto di mio figlio, son rimasto qui a banchettare, e mi lapideranno per un altro verso. Diranno che non ho cuore, che non ho viscere di padre!... Io, che mi farei a pezzettini, per quel figliuolo!... Io, che ho lavorato tutta la vita per lui, per lui solo, per vederlo ricco, grande e felice! E in compenso non ha voluto.... non ha saputo sacrificarmi nemmeno un momento d'orgoglio!... Invece di aiutarmi e difendermi, proprio lui, mio figlio, mi ha dato il colpo di grazia!... Ma - e incominciò a gemere e a singhiozzare - è proprio stato sempre il mio destino quello di seminare benefizi per raccogliere ingratitudine!...

Lo Zodenigo cercò di quietarlo, di rassicurarlo, e gli mostrò tutte le ragioni per le quali non si doveva muovere da Panigale, e doveva invece sforzarsi di dissimulare, in modo non solo da non destare sospetti, ma anzi da dissiparli pienamente, caso mai ce ne fossero.

"Accadendo una catastoofe," soggiungeva poi "o rendendosi impossibile, per qualunque altra circostanza, tener nascosta la disgrazia, allora lui per il primo avrebbe dichiarato in pubblico di non aver voluto che in quei primi momenti lo mettessero a parte di una taagedia così terribile, per non recare un troppo fiero colpo al suo cuore di padre... per aver tempo e modo di poterlo preparare... e confortare!..."

- Fate voi... fate voi, caro professore: sono nelle vostre mani - rispondeva balbettando Pompeo, il quale quando non vedeva più scampo, montava in furore, ma poi, se intravvedeva appena un barlume di speranza, ritornava docile e rassegnato, a raccomandarsi.

Lo Zodenigo, prendendo il pretesto di dover fare il giornale, partì subito per Milano senza rumore. Partì col ragioniere, il quale sarebbe ritornato la sera stessa con le istruzioni per il Barbarò.... Se avesse veduta o ritenuta imminente una disgrazia, allora, non giovando più a nulla la prudenza, avrebbe subito telegrafato.

Durante il viaggio, il professore Eugenio si mantenne silenzioso e meditabondo. La riflessione, succeduta allo sbalordimento del primo colpo, aumentava la gravità del fatto, e a mano a mano gli faceva giudicare sempre più difficili tutti gli espedienti per poterlo tener nascosto, o almeno per mitigarne le conseguenze.

"Pee Dio!..."

Senza quel colpo di testa, le cose sarebbero andate benone, e adesso, invece, il Barbarò era quasi spacciato, e correva il rischio di rimetterci assai del suo credito anche il Moderatore.

"Sì, sì, il cavalier Pompeo aveva ragione; quel ragazzaccio sventato mostrava di non aver gratitudine, cuoee, per chi gli aveva dato la vita e... la borsa piena!... Come mai non aveva pensato alla pazzia che stava per commettere? - L'idea dell'onore. - Stupido! - Non capiva, che ammazzandosi, non faceva altro che confermare tutte le accuse messe in giro contro suo padre?... Chi sa per altro, in che stato di esaltazione doveva trovarsi in quel momento!... Forse i padrini col loro contegno - minchioni! - gli avevano fatto sembrare le cose anche più disperate che non fossero in realtà!... Avrà veduto distrutti i suoi disegni matrimoniali... la bella bimba perduta e allora pamfete, un colpo di pistola!...

"L'amore!... È un gran guastamestieri!... maledetto l'amoee.... e maledetti i matti!... Ma... pure..." il viso del professore si rischiarò, come illuminato da una nuova idea:

"Se, invece di essere un guastamestieri, questa volta l'amore accomodasse ogni cosa?..."

"Sì, sì appunto; la signorina Alamanni è la sola che ci possa salvare.... Tutto sta che quel babbuino possa guarire, o almeno tirar avanti per un poco!... Ma... ma come potrò fare per vedere la signorina Mary? Suo zio, certo, non sarà molto ben disposto, per ricevermi...."

Il modo fu più spiccio di quanto non avesse creduto: arrivato appena a Milano, trovò la Mary e la marchesa Angelica che assistevano Giulio Barbarò.

Tutti i giorni, quando battevano le cinque in punto all'orologio di San Carlo, Giulio Barbarò entrava dall'Hagy (il noto liquorista del corso Vittorio Emanuele, in faccia all'Albergo Roma) per prendere il vermouth; tutte le sere, quando battevano le nove, Giulio Barbarò entrava dal tabaccaio (pure sul corso di faccia all'Albergo Roma) a prendere un sigaro; e tutte le mattine, finalmente, egli non mancava mai, alle nove, precise, di ripassare dall'Hagy per bere un centerbe... e mentre, fattosi presso ai cristalli dell'uscio, sorbiva l'amaro dalla tazza spumeggiante, pareva che dagli occhi, fissi ad una finestra del secondo piano dell'Albergo Roma, gli entrasse, misteriosamente, una gran dolcezza in cuore.

Orbene, la Mary, il giorno innanzi il tragico avvenimento, dopo aver veduto Giulio la mattina, lo aveva poi aspettato invano, dietro la finestra della sua camera, alle cinque e alle nove.

Inquieta, agitata, e trovandosi sola coll'Angelica all'Albergo, perchè lo zio era uscito, scrisse in fretta un biglietto che mandò a donna Lucrezia in cerca di notizie. Donna Lucrezia, invece di rispondere, capitò al Roma affannata, scusandosi di non aver avuto cuor testa di far la sua solita toilette; e soffiando e sbuffando, col naso intasato "...non sapeva, dove diamine era andata a pescare quel maledettissimo sfredoron!" accrebbe assai, colle sue chiacchiere, il turbamento e le pene della buona figliuola. In ultimo, quantunque Angelica le facesse segno cogli occhi, non potè tacere, e baciandola prima di andarsene, le spifferò ogni cosa, e della Colonna di fuoco, e del dispaccio di Nicola Mazza.

- Tute matae... tutte fandonie... ma, intanto, chi sa, fia mia, come starà quel pôro toso!... Me sento per lu l'anima sanguinante!... Ma la colpa è del governo... De sto governo taconà.... Di questo governo di nani. Permette che si pubblichino in piazza, le cose più segrete!... Permette che si stampi sulle gazzette tutto quanto salta in testa ai mati... perchè quel frate birbon, l'è, come se dise adesso, un mattoide fegatoso!

Appena la Mary sentì nominare la Colonna di fuoco, non pianse più, non si mostrò più tanto inquieta. Pallida, gli occhi infossati, esprimeva, nel viso bellissimo, tutta la calma che danno le forti risoluzioni.

Andata via la Balladoro, e appena Angelica si fu ritirata nella sua camera, essa mandò subito un fattorino dell'Albergo a prenderle una copia della Colonna di fuoco.... Cercò.... lesse ansiosamente il dispaccio di Nicola Mazza. Allora ebbe un tremito, ebbe un singulto, ma insieme uno slancio di pietà e di amore per Giulio Barbarò. Subito si buttò genuflessa accanto al lettino, pregò per il babbo suo, poveretto, per la sua mamma; poi dopo avere pregato, sempre ginocchioni, col viso nascosto fra le mani, rimase ancora con essi lungamente. Erano i suoi timori, era l'affanno del suo cuore, l'effusione dell'anima sua che ricorrevano al babbo e alla mamma in cerca di coraggio, di conforto, di consiglio... ma non di perdono. Il suo dolore era intenso, la sua angoscia amarissima, ma pure in lei non c'era lotta. Mai, nemmeno per un istante, dubitò che le colpe del signor Pompeo dovessero ricadere su Giulio. Per il suo retto sentire, per la fedele tenerezza del suo cuore, egli non era, e non doveva essere in alcun modo responsabile del delitto di suo padre, tocco dalla sua ignominia. Ed anzi sentì imperioso l'obbligo di difenderlo, di proteggerlo colle leggi sante dell'amore, contro tutte le ingiustizie degli stolti e dei cattivi; sentì che la sua parte di donna, di sposa, di innamorata era di consolarlo di quell'immenso dolore. Sì; essa sola gli poteva recare il soave balsamo della pace, e colla tenera previdenza dell'augelletta fedele, gli doveva preparare un altro nido, la consolazione della famiglia, un piccolo mondo ricolmo di nuovi affetti.

Ma... e perchè poi non era passato dall'Albergo alle cinque?... Perchè non vi era passato alle nove?

E se trovandosi solo, lontano "dalla sua Mary" non avesse più la forza di sopportare quel colpo fierissimo? Ebbene, gli avrebbe subito scritto, avrebbe saputo lei come consolarlo. Non gli voleva forse tanto più bene, quanto più egli era infelice?

Ma... nemmeno alle otto!... Che cosa era successo?... Doveva essere andato a Panigale da suo padre, per supplicarlo di ritirarsi dalla lotta... Certo, certo non poteva essere altrimenti.

Dio, Dio!... Com'erano lunghe le ore!... non passavano mai!... E se con tanti dispiaceri avesse finito per ammalarsi?...

Insomma lo voleva vedere; gli voleva parlare: lo avrebbe avvertito, e il giorno dopo si sarebbero incontrati da Donna Lucrezia.

Si alzò, e baciò con affettuosa devozione la miniatura della mamma (quella stessa che la fanciulla non sapeva di dovere al signor Pompeo); baciò parimenti una ciocca di capelli che erano del suo babbo, poi, invece di spogliarsi per andare a dormire, accese il caminetto, si avvolse tutta in uno scialle e si sdraiò in una poltrona, vicino al fuoco, rimanendo così per un pezzo, cogli occhi spalancati, a riflettere, a pensare, a temere, a consolarsi, concludendo in fine, che se Giulio non avesse potuto vedersi a Milano, per via di suo padre, sarebbero andati a vivere lontano... soli e felici

Nel molle abbandono della stanchezza la fanciulla pensava a quel viaggio con un'estasi dolcissima.... Le pene, i timori erano spariti... La felicità traboccava dal suo cuore, l'inondava di beatitudine... e quella felicità era il suo dovere, era la sua missione. L'amore che le prorompeva dal cuore, che le bolliva nel sangue, era benedetto dalla sua mamma, era consacrato da Dio.... Com'era facile.... Com'era bella la vita!...

La candela crepitò, poi si spense. La legna era tutta consumata, e solo i carboni accesi rischiaravano la bocca del camino con un riflesso rossastro. La fanciulla ebbe un brivido di freddo; si strinse tutta nello scialle, ma non ebbe forza di muoversi. A poco a poco abbandonò la testina che le ricadde sopra una spalla... chiuse gli occhi.... Vide ancora il suo Giulio che la guardava mestissimo, supplichevole.... Allora dal seno gonfio uscì un sospiro... sorrise dolcemente... le labbra si schiusero... si mossero per un bacio, e così sognando si addormentò.

Ma la mattina si svegliò prestissimo, intirizzita, e cominciò prima delle otto e mezzo a far la posta, dietro alla finestra, ai primi e scarsi frequentatori dell'Hagy. Fino alle nove non ebbe nemmeno il dubbio che il giovanotto non ci dovesse venire; ma poi quando le nove furono battute e ribattute ed egli non si mostrò ancora, tutta la sua sicurezza, la sua tranquillità svanirono a un tratto; scrisse a Giulio due righe, tremante, colla testa in fiamme: "Che è successo, mio Dio?... Devo parlarti; voglio vederti subito" e gliele mandò per il fattorino dell'Albergo, coll'ordine di non consegnare il biglietto altro che nelle mani sue proprie del signor Giulio Barbarò.

Il fattorino partì di corsa, ma, poco dopo, ritornò ancora col suo biglietto.

- Non si trova a Milano, il signor Giulio?... - domandò la ragazza stupefatta.

- Sì, è a Milano; ma mi fu risposto che non poteva ricevermi.

- Gli avete fatto dire che la lettera veniva dall'Hôtel Roma?

- Si figuri!... Ho parlato io stesso col servitore.

- Con Antonio? - domandò vivamente la Mary.

- Appunto: ho sentito il portinaio che lo chiamava Antonio. Mi ha detto che il suo padrone non voleva veder gente; che dormiva ancora; che avea lasciato ordini precisi perchè nessuno gli entrasse in camera.

La Mary, accigliata, col cuore che le batteva forte, col seno anelante, osservava fissa il buon uomo come per scrutare e pesarne ogni parola. Costui indovinò subito che cosa passava in mente alla signorina, e soggiunse più piano:

- Se devo dirle la verità... mi parevano tutti sossopra in quella casa. Il portinaio non capiva un'acca; il servitore aveva la faccia stralunata e una gran furia di mandarmi via.... A buon conto, come mi aveva ordinato lei, la lettera non l'ho voluta lasciare.

- Avete fatto bene. - La Mary, prese il biglietto, lo stracciò senza aprirlo, poi andò difilato in camera della marchesa Angelica, le disse quanto le accadeva e la supplicò perchè volesse accompagnarla fino dal portinaio di casa Barbarò:

- Antonio mi conosce; lo farò chiamare, e sentiremo che cosa c'è di nuovo.

Angelica si mostrava poco disposta a secondare la cugina, e voleva persuaderla di attendere ancora un poco, di provare a scrivere un'altra lettera; ma la Mary tagliò corto a tutte le obiezioni:

- Se tu non mi vuoi accompagnare, prendo un brum e ci vado sola.

- Quand'è così... piuttosto... verrò anch'io!...

E la marchesa, contro voglia, perchè reputava l'atto sconveniente per la Mary, e perchè le ripugnava di mettere i piedi anche appena sulla soglia di quella casa, si arrese, affidandosi al minor male per impedirne uno maggiore.

La Mary intanto continuava a sentirsi sempre più agitata. Aveva la febbre di sapere... era spaventata al punto che un nonnulla, il più piccolo incidente, sarebbe bastato per spingerla ad ogni estremo. Immaginava che Giulio dovesse battersi in duello: che forse si fosse già battuto... che, Dio Dio, fosse rimasto ferito!... E lo vedeva in un letto... fasciato... coperto di sangue... morente!...

Il suo cuore non l'aveva mai ingannata, e pensava rabbrividendo che non dovesse ingannarla nemmeno allora.

Infatti, appena le due signore furono a vista della casa del Barbarò, scorsero dinanzi alla porta una vettura chiusa, e quasi subito un signore uscir dalla casa e montar lesto nella carrozza che partì. La Mary doveva conoscere bene quel signore, perchè vedendolo si sentì come dare un tuffo al cuore, e mormorando: "Ah, mio Dio, il dottor Rodolfi!" affrettò tanto il passo da mettersi quasi a correre.

Angelica le teneva dietro, sforzandosi di calmarla: - Chetati, chetati! - le diceva - non sarà successo nulla... di grave; speriamo! - ma in cuor suo cominciava pure a temere.

La Mary correva senza darle retta. Essa non sentiva, non capiva più altro che il suo Giulio doveva essere ammalato, o ferito; che una disgrazia gli era successa.

- Chiamate Antonio, subito! - disse al portinaio sbattendo l'uscio dello stanzino.

- Ma... - il portinaio guardava la Mary titubante. Egli non la conosceva. Tuttavia avea subito capito trattarsi di persona cui stava molto a cuore il signor Giulio, e che, forse, era al fatto di ogni cosa.

- Chiamatemi subito Antonio... ditegli che c'è la signorina Alamanni che lo vuole.

A quel nome (il nome della fidanzata del padroncino era ben conosciuto nella casa) il portinaio alzò, istintivamente, le braccia con un atto di sorpresa, di sgomento, di pietà.

- Sta male? Ditemi, sta molto male?... - domandò la ragazza con voce tremante.

Il portinaio invece di rispondere scrollò il capo, uscì in fretta dallo stanzino e corse su per le scale in cerca di Antonio, chiamandolo ad alta voce. Allora la Mary, più esaltata che mai, invece di attendere giù, gli corse dietro, seguita pure dalla marchesa, che in quel momento di ansia non ebbe più testa per pensare ad altro. Attraversarono l'anticamera, passarono in fretta tutte le stanze, chiamando sempre "Antonio, Antonio," ma con voce più sommessa, finchè questi rispose, aprendo l'uscio di un gabinetto attiguo alla camera del padroncino.... La Mary distinse subito, sopra un tavolino, bambagia, fasce, filaccie... udì un lamento, e si precipitò nella camera di Giulio che, preso dal delirio, la chiamava per nome.

Ecco in qual modo era successo che la Mary e la marchesa Angelica furono trovate presso il ferito dal professore Eugenio quando giunse da Panigale.

Giulio Barbarò, dopo un leggiero delirio, era passato al sopore. Di tanto in tanto pareva destarsi... scoteva la testa sul guanciale... apriva, sbatteva le palpebre, ma non riconosceva nessuno e lo riprendeva subito il sonno morboso.

Nel frattempo, prima sempre dell'arrivo dello Zodenigo, c'era stata una seconda visita del medico, in compagnia di un consulente suo amico. Fu giudicato che lo stato del ferito si manteneva sempre assai grave: la palla aveva perforato il polmone sinistro e si era fermata nella parete posteriore toracica, ma per il momento non era possibile l'estrazione.

Insomma, quantunque10 tutte le speranze non fossero ancora perdute, i medici non nascondevano il timore che potesse succedere la catastrofe anche improvvisamente.

- Io non mi muovo da qui finchè c'è pericolo, - avea detto la Mary all'Angelica. - Pensa tu ad avvertire lo zio Francesco.

E levatosi il cappello e spogliatasi del mantellino, senza versare una lacrima, ma cogli occhi spenti e le guance inaridite dal dolore, si sedette accanto al letto del ferito.

Angelica non tentò nemmeno di smuoverla dal suo proposito: forse essa sentiva in cuor suo che in un caso simile avrebbe fatto altrettanto.

Scrisse invece a Donna Lucrezia perchè venisse subito, presso la nipote, mentre lei sarebbe tornata dall'Alamanni; ma non le disse nel biglietto di che si trattava e nemmeno le anticipò alcuna notizia circa il fatto. Voleva prima, spaventandola un poco, imporle il segreto, essendosi persuasa ormai anche la marchesa che ciò era necessario per tutti.

Donna Lucrezia arrivò come un fulmine, carica d'interrogazioni; ma poi, appena Angelica l'ebbe messa, in breve, al corrente dell'accaduto, alzò le lunghe braccia al cielo, stralunò gli occhi, e spalancò la bocca, ma senza profferire una parola, tanto avea paura di guastar le cose. Solamente, quando Angelica se ne fu andata, Donna Lucrezia (che era rimasta con Antonio nel gabinetto, senza entrare nella camera di Giulio, perchè il medico lo aveva proibito) confidò al servitore che anche lei "in una circostanza tremenda, in cui ghe gera in balo el cuor" avea bevuto "un goto de velèn" e che cinque dottoroni "uno drio l'altro" l'avevano spedita. Era stata la Mary, la sua Mary a salvarla; quel "fior de tosa" dalla quale i barbari del giorno l'avevano divisa per puntiglio e per gelosia, ma senza cavarne alcun costrutto in quanto che, adesso avrebbero dovuto finire anca lori, insieme al Papa, coll'accettare i fatti compiuti. Angelica avrebbe messo al posto el sior Todaro. Oh, la marchesa Angelica aveva un tatto, un garbo, e insieme un'imponenza grande, che incuteva molta sugizion alle persone. A lei no, per altro, niente affattissimo, perchè lei era dello stesso sangue: i Badoero, i Collalto, e i Balladoro erano sempre stati insieme fin dai tempi della guerra di Lepanto e, di più, la marchesa Angelica era sua cugina tanto come Collalto, quanto per via dei Castelnovo, e l'aveva vista nascere e venir su più bella d'un fior!... Povero fior, proprio sacrificà nel suo profumo e nella sua bellezza; perchè so cusin Alberto era "un tiranno, una bestia, tanto quanto" che "ghe n'aveva fate passar a sua mugier de tuti i colori" e che al presente, dopo un colpo che lo aveva preso, prima alle gambe e poi anche alla testa, si ostinava a restar al mondo a dispetto dei santi. Non si poteva più muovere; da poco tempo aveva perduto affatto il ben dell'intelletto... Era diventato grosso, grasso con un faccione tondo come una Pasqua; parlando, balbettava come fa i tati; rideva, pianzeva de niente, aveva imparato a far le calze e tutto 'l non faceva altro, mentre lo conducevano attorno nella sua carrozza. Che pena, poveretta, che pena, per sua cugina, la marchesa Angelica, in tuto lo splendore della gioventù! Ma, per altro, poteva proprio dirlo, perchè Angelica, per lei, non aveva mai avuto segreti, era una donna indomita d'altri tempi e che all'occorrenza, sapeva comandare anche alla passion!..." E così, Donna Lucrezia continuò a parlare, finchè la marchesa non fu di ritorno. Antonio, allora, prudentemente si ritirò... Aveva la testa gonfiata come un pallone.... La Mary, udito il passo e il sussurro delle vesti di Angelica, venne sull'uscio, in punta di piedi, per sentire la risposta dello zio.

- E così?... Che cos'ha detto quell... quel longobardo? - domandò la Balladoro.

- Ha detto - rispose Angelica avvicinandosi alla Mary in atto di farle coraggio - ha detto che se lo stato di Giulio si mantiene grave, tu puoi rimanergli vicina, perchè, come la coscienza, anche il cuore ha i suoi doveri.

- Bravo!... me piase... e ghe perdono! - esclamò donna Lucrezia, mentre la Mary si gettava piangendo fra le braccia di Angelica. Dopo tante ore di angosce terribili, il pianto avea trovata finalmente la via per prorompere.

Quando, alcune ore dopo, lo Zodenigo entrò nel gabinetto preceduto da Antonio donna Lucrezia non c'era più. Era scappata a casa per mangiare un bocconcin in fretta e in furia; tanto da reggersi in piedi. Al professore bastò un colpo d'occhio, e poche parole fatte prima col servitore, per venire in chiaro di quanto era successo, e approfittarne.

La marchesa lo aveva interrogato con grande premura per sapere quando il Barbarò sarebbe giunto a Milano (non voleva correre il rischio d'incontrarsi con lui). Egli rispose, diplomaticamente, di non avergli detto ancora nulla del figliuolo, perchè in tal caso sarebbe certo precipitato a Milano, destando uno scandalo; onde la rovina del cavaliere, e di Giulio insieme, sarebbe stata inevitabile.

- Non bisogna illudersi, signooina! - esclamò, chiudendo prima gli occhi gravemente, poi aprendoli e soffiando mentre li teneva fissi in quelli della Mary - non bisogna illudersi; non c'è altro che un mezzo per tentare di salvar la vita al figliuolo: bisogna salvar l'onore del padre!

- Fate, fate tutto ciò che sta in voi! - esclamò la Mary congiungendo le mani in atto supplichevole.

Lo Zodenigo s'inchinò con molta gravità e con molta degnazione, poi, tornando a soffiare, guardò la marchesa, come per interrogarla su tal proposito.

- Sì, sì! - rispose Angelica indovinando il pensiero dello Zodenigo, - anche Francesco Alamanni, ormai, non crede più conveniente, possibile l'opporsi, e se... e appena il signor Giulio si sarà rimesso un poco, avrà luogo il matrimonio.

Sul viso smorto della fanciulla passò in quel punto una fiamma viva, e abbassò confusa gli occhi, ancora pieni di lacrime.

Il professore Eugenio s'inchinò una seconda volta, esprimendo con una mimica composta, ma efficace, i suoi voti e le sue congratulazioni.

A vederlo di fuori, non tradiva la muta e rigida impassibilità inglese, ma internamente gongolava, e un tremito quasi impercettibile delle labbra sottili avrebbe svelato, ad un osservatore attento, lo sforzo fatto per reprimere la contentezza.

- Dica a Francesco Alamanni, - esclamò poi rivolgendosi alla marchesa con solenne pacatezza e tenendo abbassate più a lungo le palpebre, come volesse concentrare in tutta la mente per trovar la forma più adatta al suo pensiero, - dica a Francesco Alamanni che i suoi avveesaai (nemici un Alamanni non ne può avere), sono costretti ad ammiiaae sempee più, da leali gentiluomini, la rettitudine del suo spiito, l'elevatezza de' suoi sentimenti e la bontà squisita del suo cuoee.

Ciò detto prese la manina della Mary, la strinse forte, con una smorfia, e se ne andò inchinandosi, senza aggiungere altro per non commettere la debolezza d'intenerirsi.

Andò prima, sollecitamente, all'ufficio del Moderatore, poi nientemeno che in via della Spiga... da donna Lucrezia!

Il professore, in quei pochi istanti, avea già pensato e fissato bene in mente il proprio disegno.

All'ufficio per prima cosa gli toccò una sorpresa poco gradevole: trovò il Carpani che lo aspettava per dare le sue dimissioni. Era un'altra conseguenza, certo affatto impreveduta per lo Zodenigo, del famoso dispaccio di Nicola Mazza.

- Sostenere l'Alamanni, - gli aveva dichiarato il Carpani per spiegare la propria condotta, - sarebbe in contradizione co' miei principii; ma difendere il Barbarò ripugna troppo, ora, alla mia coscienza. Tacere equivarrebbe ad una diserzione... però preferisco ritirarmi dal giornalismo. Non ci vedo più chiaro!...

- E allora mettetevi gli occhiali! - aveva risposto lo Zodenigo, alzando le spalle stizzito. - Baloodo! Baloodo! I giornalisti non devono avere altra mira che il trionfo del paatito: non sapete che, in politica, il fine giustifica i mezzi?...

Il Carpani crollò il capo e non rispose. Prese fra i giornali vecchi di cambio un numero della Perseveranza, lo distese sul proprio tavolo, vi ammucchiò insieme un piccolo vocabolario francese-inglese, unto e scucito; un calamaio tascabile che usava quando assisteva a qualche adunanza; una giacchetta logora di orleans, che metteva sempre in ufficio; un mezzo pettine d'osso; l'Iliade di Omero; i guanti neri, pei funerali di parata; una lettera di Quintino Sella; un biglietto di visita di Marco Minghetti; il verbale di un duello; un pane ed una fetta di carne fredda, avanzi della colazione: involse il tutto nella Perseveranza (era il suo intero bagaglio giornalistico: le glorie raccolte, e i tesori guadagnati nella lunga carriera), si cacciò il pacco sotto il braccio, e uscì dall'ufficio del Moderatore più lacero e dimesso che non vi fosse entrato... con una ruga di più sulla fronte, e molte illusioni di meno nel cuore.

"Balordo!..." ripetè lo Zodenigo, dopo averlo salutato appena con un cenno del capo, mentre se ne andava. "Dubita forse che, per questo incidente, il Moderatore debba morire?... Balordo! È adesso invece il momento di raddoppiare la tiiatura!"

Un'altra sorpresa, di diverso genere peraltro, e di ben diversa importanza, aspettava lo Zodenigo anche in via della Spiga: la scoperta di un successore alla tavola e nel cuore della vedova romantica.

Lo Zodenigo era passato davanti al bugigattolo della portinaia senza un rimpianto per la Rosetta, alla quale aveva fatto tanto male; senza un rimorso per la povera vecchia, la mamma, finita di crepacuore all'ospedale, e senza nemmeno un pensiero per l'innocente frutto dei canti patrii e sentimentali.

Altri tempi, altre cure!

Ma se il professore Eugenio era dotato di memoria labile, in cambio la vista l'aveva buona, e entrato appena nello stanzino per domandare se la Balladoro era in casa, osservò subito, quantunque fosse di sera, al fioco chiarore d'un lumicino ad olio, la nuova portinaia, che era pure belloccia, e prima d'incamminarsi per le scale le strizzò l'occhio sussurrandole un complimento manzoniano: "Bel sangue lombaado!"

Arrivato sul pianerottolo, mentre stava per tirare il campanello, si fermò sospeso: indovinò allora che aveva un successore. Due voci giungevano ben distinte al suo orecchio, due voci, insieme cogli accordi d'un pianoforte. Una, fessa, tremula, afona, stonata, non c'era dubbio, era la voce di donna Lucrezia; l'altra acuta, sottile, belante... doveva essere quella del rivale.

"Povero diavolo" mormorò lo Zodenigo sorridendo, mentre tirava forte il campanello, "deve aver buono stomaco!"

Quasi subito sentì uno strascicare di zoccoli nell'anticamera. "Oh, guarda!" pensò fra "c'è ancora quella vecchia zoppaccia che mi faceva la guerra!"

Infatti fu la Filomena che gli aprì la porta, e al primo momento rimase come stupefatta per quella visita inaspettata.

- Donna Lucheezia sta per andare a pranzo, non è vero?

La Filomena, rimboccando il grembiule greggio, accennò di sì col capo, fissando il professore con un'aria che, tra la meraviglia, si faceva quasi sospettosa.

- Ebbene, non ho da dirle altro che due parole, e poi la lascio in libertà.

Dopo la tirata di campanello il canto era cessato. La Filomena, fatto entrare il professore, lo precedette per annunziarlo a Donna Lucrezia, che, invece del bocconçin in fretta e in furia, aveva pranzo in onore del suo maestro di canto, il quale, aspettando che il riso fosse cotto, le faceva ripassare la Sonnambula.

Al nome dello Zodenigo, proferito dalla vecchia con un tono particolare, Donna Lucrezia si voltò scattando in piedi dal panchetto sul quale era seduta accanto al pianoforte; si strappò gli occhiali dal naso e li ficcò in tasca; poi, chinandosi all'orecchio del maestro (un pezzo d'omaccione con una testa da toro, e due spalle da Ercole), gli sussurrò in fretta, pianino:

- Fermo, tesoro, che lo faremo crepar di rabbia.

Ciò detto, ordinò maestosamente alla Filomena di far passare il professore. La vecchia, dopo aver lanciata sul maestro una di quelle occhiataccie che nei tempi andati erano riservate al professore, spalancò l'uscio....

Il professore tardava a venir innanzi perchè si stava levando il soprabito, ma Donna Lucrezia ebbe intanto un sussulto di gioia. "Corocochè!" Il traditore non l'avrebbe trovata piangente come una Didone nel salotto rimesso a nuovo e senza più nemmeno l'ombra d'un patacon!... L'avrebbe riveduta, il mostro!, al fianco di una persona di merito e di proposito, che... che non aveva gusti plebei. In quell'attimo lanciò pure un'occhiata alla sua toilette: era sfolgorante!... Guardò la tavola preparata con un'abbondanza e un lusso insolito, con sopra due di quelle rinomate bottiglie di barolino che davano la stura al genio dell'esule poeta, e tutto ciò mentre dalla cucina entrava nel salotto, insieme col professore, il profumo dello stufatino famoso, cucinato da lei, colle sue proprie mani!... Allora "Corocochè!" pensò che la vendetta fosse anche più piena, e raggiante in viso e gongolante nell'animo cominciò con enfasi le presentazioni.

- Il maestro Forapan di Verona, celebre compositore, che ha scritto la Regina delle Antille, che sarà applaudita (non fate il modesto fora de logo) - interruppe rivolgendosi al maestro che ascoltava senza scomporsi quegli elogi - che sarà applaudita, quanto prima, in uno dei nostri principali teatri.

A questo punto il maestro Forapan strappò un accordo sul pianoforte coll'aria distratta, ma poi appena sentì pronunziare il nome dello Zodenigo si alzò tutto cerimonioso, gridando forte con una vocina da pecora che contrastava ridicolmente in quel corpaccione macchinoso, e in mezzo a un diluvio di complimenti cominciò subito a lagnarsi del critico musicale del Moderatore perchè non si occupava abbastanza delle composizioni di carattere serio, mentre empiva le appendici colle lodi delle operette.

Lo Zodenigo non soffiava più, ma sbuffava, e risposto appena con un cenno del capo al celebre maestro di Verona, mormorò senza manco guardarlo in faccia - Bella città... Verona! - Quindi rivolgendosi alla Balladaro: - Donna Lucrezia, - le disse, - mi spiace assaissimo incomodarvi, ma vi doveei diie due parole..

La Balladoro sfavillò negli occhi per un lampo d'orgoglio. Si rizzò dritta, impettita, esclamando - Sempre a vostra dis... - ma a questo punto si fermò, strizzò le palpebre, spalancò la bocca, alzò la testa al soffitto e scoppiò in uno starnuto, mormorando: - Sempre a vostra disposizion!

- Salute, bella madama! - esclamò il maestro inchinandosi.

- Parlate, parlate pure Euge.... Professore, parlate. Il maestro qui presente conosce tuti i miei segreti.

Lo Zodenigo non badò più che tanto al senso minaccioso e fiero di quella parlata; invece si sforzò di far intendere a Donna Lucrezia che non trattandosi di lei, ma di segreti riferentisi ad altre persone, il colloquio doveva farsi a quattr'occhi.

- Allora, scusatemi un momentino, - disse la vedova volgendosi al maestro. - Vi domando licenza cinque minuti soli!... Già, tanto e tanto, la nostra lezion per oggi la gera bela è andata. Se ne avanzerà tempo ghe daremo un'altra ripassadina dopo pranzo! E chiudendo lo spartito ch'era sul leggìo, canterellò a mezza voce, accompagnandosi con una crollatina di capo:

 

Ah perchè non posso odiarti,

Infedel, com'io vorrei!

 

- Professore, vi precedo, - ed entrò nella stanza vicina. Nella sua camera da letto.

Chiusa la porta, Donna Lucrezia sospirò, si soffiò il naso, coll'intenzione di asciugarsi gli occhi, e mutando a un tratto di voce, di viso, di espressione - Per averghe el muso de tola, - esclamò, - de comparirme ancora davanti dopo tanti spasimi sofferti, dopo tante lacrime sparse al vento, bisogna proprio dir che ghe sia un motivo importante assàe!

- Impootantissimo, - rispose lo Zodenigo seccamente, e col tono di chi intende spicciarsi. - Prima di tutto, ditemi, non avete fatta parola dell'accaduto... - e strizzò l'occhio - al compare di ?

- Il maestro Forapan, - proruppe Donna Lucrezia risentita, - è un gentiluomo di garbo! Uno che... - ma si fe' forza, si contenne, e sottolineando le parole, - uno di quei pochi nobili de cuor, - continuò, - in cui una donna pol ancora fidarse sicura che i lassa drio de lori "l'amaro fior del disinganno!" Tuttavia siccome il segreto non mi appartiene, basta così: non sono una piavola.

Lo Zodenigo le fece su ciò i suoi complimenti, soggiungendo che era venuto appunto per raccomandarle, a nome del signor Barbarò, il segreto più assoluto. Quindi con destrezza rara di diplomatico, un po' lusingando la Balladoro, facendole intravvedere quanto il cavalier Pompeo le si sarebbe mostrato riconoscente; un po' spaventandola, e minacciandola, che in tutti i casi, visto la guerra di coltello che si faceva, avrebbe ricorso a qualunque spediente pur di non avere la peggio, anche a quello di pubblicare, occorrendo, i documenti conservati dal cavaliere, come ricevute ed altro, le fece scrivere e firmare una lettera diretta a lui medesimo. In essa Donna Lucrezia, protestando contro l'infame accusa lanciata a danno di Pompeo Barbarò, dichiarava ch'egli era sempre stato fedele e devoto alla famiglia Alamanni; che la signora Lucia e Giulio Alamanni avevano sempre riposta in lui fiducia sconfinata, e che, in fine, Pompeo Barbarò, in tutti quegli anni, aveva sempre tenuta la signorina Mary in conto di figlia, e come tale protetta e sorretta. Lo Zodenigo aveva suggerito soccorsa, ma la parola era sembrata troppo bassa alla Balladoro.

- Giuratemi... per quanto nei vostri giuramenti non ci possa più credere, - esclamò la vecchia, mentre consegnava il foglietto al professore, - giuratemi di non pubblicare questa lettera sul Moderatore, in nissun caso, e di farla vedere soltanto al Comitato Elettoral di Panigale!...

- Non dubitate!... Non dubitate!... Ne useremo appena in un caso estremo! - E così dicendo, chiusa la lettera nel portafoglio, lo Zodenigo se ne andò grave e composto, lasciando i saluti per il maestro Forapan.

Il giorno dopo, la dichiarazione di Donna Lucrezia era stampata tutta intera nel Moderatore, e in prima pagina, con un cappello della direzione, in cui era detto soltanto che mentre il cavalier Pompeo Barbarò si riservava di procedere a termini di legge contro la Colonna di Fuoco, il Moderatore, pur tenendo apocrifo il dispaccio attribuito a Nicola Mazza, pubblicava, per edificazione del pubblico la lettera di una strettissima parente di Giulio Alamanni, Donna Lucrezia Balladoro, una di quelle nobilissime gentildonne, il cui eroico patriottismo aveva inspirato i più bei canti dell'Aleardi; ed annunziava pure come "una primizia certo assai gradita ai lettori" la lieta novella del matrimonio di Giulio Barbarò colla signorina Maria Alamanni.

 

 

 

VII.

 

Quelle poche righe di Donna Lucrezia, coll'aggiunta fatta dallo Zodenigo, ottennero un effetto straordinario a Panigale e a Milano. Gli avversari dell'Alamanni si rianimarono e i suoi fautori rimasero sbigottiti da quel colpo imprevisto. Il Cammaroto erasi subito precipitato da Francesco Alamanni per avere spiegazioni, e solo rimase un poco rassicurato dalla serenità del suo amico. In fatti l'Alamanni aveva già telegrafato al Barbarò perchè dichiarasse esplicitamente, e pubblicamente, che nessuno della sua famiglia gli aveva mai chiesto, mai aveva avuto un soldo da lui; e dopo il colloquio avuto col Cammaroto, era corso da Donna Lucrezia per chiarire l'equivoco, sicuro che "quella scema" doveva aver operato per inganno e per suggestione altrui, senza intender bene tutta la gravità della cosa, sperando fors'anco di vendicarsi per essere stata allontanata dalla Mary.

Invece Donna Lucrezia, che alle prime domande e ai primi rimproveri dell'Alamanni si era impermalita, avea finito in breve col turbarsi, col cercare scuse e pretesti per attenuare la propria colpa, buttandola tutta su quel gesuitone dello Zodenigo, che l'aveva ingannata.

- Non è di ciò che si tratta, - esclamò l'Alamanni che, notando la confusione della Balladoro, sentiva il sangue montar alla testa, - non è di ciò che si tratta!... Voglio sapere se voi siete caduta così in basso da toccare il danaro di quel turpe uomo, di quella spia?!...

- Ma, per amor di Dio, Checchin, non mi guardate con quegli occhi spiritati!... No' giàsseme l'anima con tanti spaventi!... Santi Numi benedetti, ognuno fa i suoi affari per andar avanti con un pochetto di decoro, e un contratto notificà e scritto in carta bollata non è, come si dice, un atto di favore; non si riceve un' obbligazion!...

- Finiamola colle chiacchiere, colle scenate! - proruppe l'Alamanni afferrando un braccio della Balladoro e scotendolo violentemente. - Avete avuto danari dal Barbetta, sì o no?

- Diventate matto, Checchin?... Per amor di Dio, sono una debole donna!

Il braccio, che si trovava preso come in una morsa, ebbe una stretta più forte.

- Sì, o no?...

- Ahi!... Ahi!... molème, vi dirò tutto!...

- Poche parole!... Sì, o no?...

Donna Lucrezia non poteva quasi rispondere, soffocata dallo spavento.

- In quanto a me, - balbettò, - posso morir subito se dico una busìa, non volevo saperne. È stato il consiglier Spinelli, a pregarmi, minacciarmi, a confondermi!... Quell'austriacante famigerato me ne fece un caso di coscienza, e mi costrinse ad accettare, per via della Mary!...

- Ma se mi toglievo il pane di bocca per la Mary?... Se le ho ceduto tutto il mio?!...

- Voi, si sa bene, avete sempre avuto un vero cuor da Cesare; ma, - sospirò la Balladoro levando al cielo gli occhi stralunati, - certe volte in cui le lettere subivano qualche ritardo.... erano spasimi.... che se pol dir!

- Siete in mala fede adesso....

- Oh Checchin.... possa morir se....

- Siete in mala fede! - interruppe l'Alamanni fermandole le parole in bocca. - Perchè non me ne avete mai parlato di questo prestito?... Dichiarerete almeno che io non ne sapevo nulla; che io sono innocente! Che non mi tocca questa macchia, questa infamia!

- Ma.... tesoro mio, pensateci un pochetto e vi ricorderete benissimo che il consiglier Spinelli vi ha sempre informato di tutto!

- No, non mi ha detto nulla! Avrei restituito subito il suo a quell'uomo.... avessi dovuto far danaro anche col mio sangue!

- Ma pure nei bilanci della tutela.... figurava il credito del signor Pompeo Barbarò.... e quei bilanci furono sempre firmati anche da voi!

- Da me?!...

- Sicuro! Del resto è una cosa che se pol verificar: basta dare un'occhiatina ai libri dell'amministrazion! Troverete il nome di Pompeo Barbarò scritto a lettere di scatola!

- Pompeo Barbarò!... Ma io mi ero fidato di voi!... Mi sono sempre fidato di tutti! - gemette l'Alamanni con un singhiozzo.

A questo punto gli si parò dinanzi ad un tratto tutto l'abisso nel quale era stato precipitato per la sua cecità, per la sua buona fede. Si sentiva preso, stretto in una rete ordita da lunga mano, e dalla quale non avrebbe più potuto liberarsi: era perduto per sempre e disonorato.

- Maledetta! - urlò afferrando ancora il braccio della Balladoro, stringendolo in modo da storpiarlo. - Maledetta! Maledetta!... Mi avete tradito!... Mi avete venduto! Sì, voi avete venduto me, come Pompeo Barbetta ha venduto mio fratello!... Lui venduto alla forca, io al disonore; ma il danaro è sempre quello: danaro rubato!

- Misericordia!... Aiuto!... Filomena!... - si mise a strillare la Balladoro come una disperata. - Filomena, el me copa!...

La vecchierella, udita la voce della padrona che chiamava aiuto, venne subito sull'uscio tutta trafelata, e colla scopa alzata in mano, ma vedendo il signor Francesco colla padrona, rimase interdetta. La Balladoro approfittò del momento, riuscì a svincolarsi, e scappò in camera sua dove si richiuse asserragliando la porta. E fece bene, perchè la disperazione dell'Alamanni giungeva al parossismo.

- Gesù Maria!... - balbettava la Filomena, - Gesù Maria!

L'Alamanni urlava e imprecava fra i singhiozzi che pareva gli dovessero schiantare il petto poderoso. Nel salotto metteva tutto sossopra, rovesciava a calci le sedie, e con un pugno scaraventava all'aria il ritratto del maestro Forapan, che troneggiava fra gli altri dei nobili parenti. La Filomena, zoppicando, seguitava da presso il signor Francesco, rimettendo tutto al posto pazientemente, e sospirando e gemendo tentava invano11 di acquetarlo e di calmarlo un poco.

- Maledetta!... Maledetta!... - continuava a urlare l'Alamanni, che non sentiva più altro che quel suo gran dolore. - Maledetta!... I danari del Barbarò! - e alzava il pugno irrigidito, imprecando contro stesso, e contro Dio, contro la patria, contro tutti, e più di tutti contro la sua povertà che lo aveva fatto cadere in mano di una spia.

"Dio?... Non aveva ascoltato la voce di suo fratello morente, e non lo aveva vendicato: - Maledetto! - La patria?... Aveva preso il suo sangue, ma glielo buttava in faccia per prostituirsi alla spia che aveva i milioni: - Maledetta!... - La famiglia?... La Balladoro lo aveva venduto.... La Mary, la sua figliuola, lo aveva abbandonato e ingannato, maledetta!... - La povertà, della quale si compiaceva come di una virtù, come dello specchio più limpido della sua vita intemerata, lo rendeva impotente contro i suoi nemici, impotente nella battaglia per l'onore, per la giustizia, per la verità: "maledetta!... maledetta!..."

Dopo questo primo sfogo e terribile, Francesco Alamanni se ne andò contraffatto in viso e barcollando come un ubriaco. Per la strada borbottava sempre e tremava: gli tremavano le gambe, le mani; gli tremavano le parole sulle labbra. Giunto all'albergo, rientrato appena nella sua stanza, cadde come morto, disteso per terra.

Il cameriere, ch'era andato a cercarlo verso sera per portargli un dispaccio, lo trovò ancora in quello stato. Cercò di sollevarlo: era svenuto, e aveva una larga ferita in mezzo alla fronte. Il dispaccio poi veniva da Panigale, ed era la risposta di Pompeo Barbarò, concepita in poche parole:

"Rivolgetevi Donna Lucrezia: avrete spiegazioni necessarie."

Intanto, passato il primo sbalordimento, in tutto il collegio di Panigale, la lotta politica pro e contro il cavalier Barbarò diventava sempre più accanita.

Salvatore Cammaroto, forte delle rivelazioni di Nicola Mazza, ripubblicava il famoso dispaccio nella Colonna di fuoco, facendolo seguire da altre lettere di notissimi patriotti, piene di particolari che si riferivano all'arresto, alla prigionia, alla morte di Giulio Alamanni. Il Cammaroto medesimo raccontava e descriveva sulla gazzetta, coi più vivaci colori, il momento solenne in cui l'Alamanni e il Mazza erano stati graziati ai piedi della forca, dopo aver dovuto assistere alla esecuzione dei loro compagni. Era una pagina terribile che faceva piangere e fremere di pietà, di dolore e di orrore.

Ma, dall'altra parte, Eugenio Zodenigo, valendosi della12 macchina celere ultimo modello, che gli era appena giunta dal Belgio, innondava tutto il collegio con migliaia e migliaia di copie del Moderatore, portante la dichiarazione di Donna Lucrezia Balladoro, e la conferma del matrimonio concluso e assai prossimo della Mary Alamanni con Giulio Barbarò.

"A chi credere dunque? Al padre Cammaroto o al professore Eugenio Zodenigo?..."

E, come succede in tutte le lotte politiche, gli elettori di Destra continuavano a credere e a giurare pel loro candidato e pel loro giornale, mentre quei di Sinistra s'infervoravano maggiormente per l'Alamanni, tenendo come Vangelo tutto quanto stampava e pubblicava il Cammaroto. E gli uni e gli altri s'inasprivano e si accendevano sempre più.

Se non che, il Moderatore aveva più quattrini del suo emulo, aveva molti quattrini e una forza maggiore e straordinaria di espansione.

Un intiero reggimento di agenti, di fattori, di assistenti, di coloni, un po' per timore, un po' per interesse, facevano pressione sugli elettori dipendenti e imponevano le loro ragioni e il loro candidato. I preti erano col Barbarò per amore del benefizio, e in odio al Cammaroto; la Prefettura, per il voto sicuro; il grosso degli elettori non ne capiva niente di tutti i discorsi di partito e di principî: votava pel signor padrone. Per essi il partito era il podere o la fattoria; il principio, il paiuolo, della polenta; la Nazione, il signor cavaliere. Bisognava servirlo e sostenerlo anche esecrandolo! Bisognava sopportare il male per la paura del peggio. E su quell'onda di affamati il Moderatore navigava sicuro, col vento in poppa, seminando quattrini e promesse.

Mentre la Colonna di fuoco tirava appena un migliaio di copie, lo Zodenigo ne stampava del suo giornale sei o sette volte tanto; e colla maggiore diffusione riusciva più dell'altro a riscaldare i tiepidi, ad appassionare gli indifferenti, a scuotere i pigri, a riempire di rumore le teste vuote.

All'ultimo momento il Moderatore fu anche regalato ai rivenditori; e questi, allora, non ne vollero più sapere della Colonna di fuoco. Per parare il colpo gravissimo, parecchi amici dell'Alamanni noleggiarono varie carrozze, e si misero a girare per il collegio, vendendo o regalando alla lor volta, la Gazzetta del Cammaroto, seguiti da una turba di monelli che strillavano evviva all'Alamanni e morte al Barbarò; ma la chiassata fece più fracasso che effetto.

Nel frattempo era trapelata anche a Panigale una qualche voce circa il tentato suicidio di Giulio Barbarò; pure succedeva di questo fatto come di tutto il resto. Non essendo cosa sicura, era creduto, o negato, secondo il tornaconto.

Fu poi affissa su tutti i muri del collegio una lettera di Garibaldi che raccomandava "agli elettori liberali di Panigale, e a tutti i nemici dei preti e della tirannide" la elezione dell'eroico colonnello Francesco Alamanni "il fratello del generoso martire dello Spielberg!" Destò grande entusiasmo, ma pochi assai furono i voti guadagnati. Invece Beppe Micotti, che non si curava di commuovere il sentimento patrio, ma distribuiva i pezzi da cinque franchi; che non perorava in nome della giustizia e della moralità, ma prometteva la minestra dopo dato il voto al Barbarò, e noleggiava carrozze per gli elettori più lontani del collegio, otteneva nella sua propaganda, un miglior successo. E Don Rosario lo assecondava dal confessionale, spaventando le donne e minacciando tutti i fulmini del cielo se i loro uomini fossero andati a votare per quel framassone dell'Alamanni, sostenuto da un frate rinnegato e scomunicato.

Tuttavia, giunti al sabato sera, alla vigilia cioè della votazione, il Cammaroto e lo Zodenigo, e con essi i componenti i diversi partiti erano certi del pari della vittoria. Anzi i democratici fecero un gran pranzo per festeggiare anticipatamente il sicuro trionfo del loro candidato, all'osteria di San Michele, mentre la banda civica suonava l'inno di Garibaldi; e quegli altri, auspice Don Rosario, stapparono allegramente in canonica una dozzina di bottiglie per la vittoria non meno certa del cavaliere.

La mattina della domenica il capoluogo del collegio era in tumulto; e dal Municipio fu telegrafato alle stazioni più vicine domandando un rinforzo di carabinieri. Ma, cattivo segno per l'Alamanni, erano i suoi fautori che si mostravano più accesi e che gridavano di più. Gridavano in piazza, dinanzi al Municipio; nel caffè, nelle osterie, accusando gli avversari di brogli e di corruzioni; protestando perchè il seggio era stato preso d'assalto dagli agenti del Barbarò; perchè le autorità e il Governo aveano fatta, sottomano, la guerra all'Alamanni; e accoglievano a fischi le carrozze che conducevano a votare gli elettori.... della minestra.

La piazza a poco a poco si era accalcata, stipata di gente: pareva che da un momento all'altro dovesse scoppiare la rivoluzione, e al Municipio erano in grande apprensione perchè i rinforzi domandati tardavano ad arrivare.

Era solo il Barbarò a non saperne nulla del pericolo che correva. Il sindaco di Panigale e il presidente del Comitato degli agricoltori, non facevano altro che congratularsi con lui per il trionfo ormai assicurato. Beppe Micotti e Don Rosario gli contavano i voti accaparrati: lo Zodenigo gli aveva scritto da Milano una lettera rassicurante in cui narrandogli per filo e per segno quanto era successo, concludeva pronosticando che quella mattìa del buon ragazzo, invece di rovinare ogni cosa, come si temeva sul principio, era in procinto di accomodare tutte le faccende.

"Furba l'innocentina!.. pensava fra il Barbarò. "Non si è lasciata, scappar l'occasione propizia per riagguantare il marito.... e i miei milioni!... D'altra parte è una ragazza che ha sempre avuto buon senso, e ci vuol poco a capire come l'è stata gonfiata tutta questa storiella del dispaccio. Io non ho mai fatto la spia, e lo posso giurare sul capo del mio unico figliuolo. Calunniatori, mentitori infami!... eccola la verità: sono stato costretto a parlare sotto la minaccia della forca immediata. Volevano impiccar me, e con me anche la mia povera moglie!... Altro che far la spia, buffoni!..." Poi, un altro pensiero lo calmò, e lo fece sogghignare: quello della marchesa.

- Ah, ah, la superba, la schifiltosa, non ha sdegnato questa volta di mettere i piedi in casa mia!... Che il capitano l'avesse piantata?.. Che le cambialette del marchese coll'avallo suo che ci sono alla Banca degli interessi lombardi abbiano finito per persuaderla a mettere giudizio, e approfitti anch'essa della buona occasione per far la pace col signor Pompeo?...

Gli occhietti loschi scintillarono: sulle guance verdognole gli corse una vampa rossa di fuoco, e strappandosi coi denti guasti e aguzzi i peli delle labbra, che si facevano sempre più grossi e più radi, mormorò:

"Voglio averti ancora!... Voglio almeno vendicarmi!... Dovessi buttare anche un monte di quattrini dalla finestra!..."

Ma poi, alla mattina della domenica, mentre contento e tranquillo, ascoltava in chiesa la messa cantata, le mille miglia lontano da ciò che l'aspettava, udì i primi fischi e le grida di morte al suo indirizzo. Allora in un sussulto di paura dimenticò nuovamente la marchesa Angelica, la sua elezione e tutto il resto, per non pensare più ad altro che a mettersi al sicuro, maledicendo al solito la propria imprudenza e la perfidia del professore.

- Dio, Dio, mi vogliono ammazzare!... Aiuto! aiuto! un povero padre di famiglia!... Sono innocente!... sono innocente!...

E non aveva tutti i torti di essere così spaventato, perchè l'esaltazione della folla era giunta al colmo; gli si voleva far la festa per davvero.

Beppe Micotti, Don Rosario, che non ufficiava, e lo scaccino lo nascosero subito in sacristia, e poi dalla sacristia, per una porticina che metteva sopra un vicolo senza uscita, lo fecero scappare in canonica, e lo chiusero a chiave nella camera dell'arciprete. Ma durante la fuga, per quanto precipitosa, il Barbarò avea potuto vedere affissi ai muri delle case e della chiesa, tanto da coprirli per un gran tratto, cartelloni e manifesti con su stampato a grossi caratteri:

"Non eleggete il fornitore ladro. - Non date il vostro voto al mercante di pellagra. - Morte alla spia di Nicola Mazza. - Morte al carnefice di Giulio Alamanni. - Abbasso l'usuraio." Tutta la sua vita insomma pareva riassunta da quei mille fogli a colori, come in un terribile sommario.

Intanto la folla che aspettava il Barbarò fuor di chiesa, avvertita della sua fuga si avviò, urlando e fischiando anche più forte, alla casa dell'arciprete, dove cominciò a lanciare sassate contro la porta e le finestre, e a minacciare di peggio; ma infine (era proprio tempo, perchè le cose si mettevano assai male) giunse il rinforzo dei carabinieri e della truppa, chiesto dal Municipio e allora, arrestati dieci o dodici dei più sfegatati dimostranti, l'ordine fu presto ristabilito per tutto Panigale, dove non si udirono più altre grida all'infuori di quelle delle povere donne, a cui avevano preso il marito, o l'amante.

Ma il povero Barbarò passava il quarto d'ora più terribile di tutta la sua vita. Dalla piena fiducia era ricaduto a un tratto in un tale abbattimento da non aver più nemmeno la forza di muoversi, da non poter più, quasi, nemmeno respirare. Rannicchiato in un cantuccio in fondo alla camera, fra il cassettone e il letto dell'arciprete, tremava tutto, e batteva i denti per la paura. Quando dalla folla scoppiava un urlo, un uragano di fischi e d'imprecazioni contro di lui, si nascondeva il capo fra le braccia per non sentire e borbottava orazioni, pregando Dio e i Santi di salvargli la vita; promettendo che avrebbe espiato, che avrebbe speso tutti i suoi danari, per rimediare al male che aveva fatto.

Come già gli era successo in quella notte di angosce, al tempo del Processo dei fornitori, la verità nuda e terribile mentre lo sbigottiva colla minacciata vendetta degli uomini, gli toglieva ogni speranza nell'aiuto e nel perdono di Dio. Si turava le orecchie coi pugni stretti per non sentire, ma le grida tumultuose di morte alla spia gli penetravano nel cervello e nell'anima e lo agghiacciavano di terrore.

Chiudeva, affannato, gli occhi, ma gli apparivano lontani nel buio, e a poco a poco si avvicinavano e ingrandivano in forme sferiche, roteanti, i manifesti gialli, rossi, scarlatti, tutti colla parola spia, tutti colla parola morte; e più serrava forte le palpebre e più li vedeva grandi e gonfi, con cerchi di fuoco, che mutavansi a volte in immagini spaventose nella faccia scarmigliata e boccheggiante dell'Alamanni, nel viso smorto e contraffatto della povera Betta.

"Assassino!... Spia!... Morte alla spia!" si continuava a gridare dalla strada.

"No! Non è vero!... Dio, Dio, non è vero!... Non ho fatto la spia!... Mi han costretto a parlare colla minaccia della forca!" rispondeva Pompeo con voce smorta.

Una sassata mandò in frantumi tutti i vetri della finestra... un freddo mortale gli corse per la vita.

No.... Dio vedeva tutto, sapeva tutto!... Gli vedeva in fondo al cuore, dove c'era la Betta e Giulio Alamanni che lo fissavano con occhi fiammeggianti. No, no! non poteva ingannare Dio come avea fatto coi giudici: non lo poteva comperare come aveva fatto coi preti; non lo poteva battere e dominare, come avea fatto collo Sbornia!...

Sì, era stato una spia! Sì, aveva venduto Giulio Alamanni, il suo padrone, non per altro che per rubare le cinquantamila svanziche.... Sì.... aveva soffocata la Betta per paura di essere scoperto!...

Oh l'orefice del Gobbo d'oro!... L'orefice del Gobbo d'oro era più felice di lui!... Almeno era sicuro in mezzo alle guardie, e non correva il pericolo di essere fatto a pezzi da una folla briaca di vendetta.

Si buttò allora in ginocchio, colla faccia per terra, balbettando: - "Perdono, perdono!... La vita!... Non domando altro che la vita!... Farò penitenza di tutto!... Farò dir tante messe!... E continuò così per un pezzo a tremare e a pregare."

Ma a poco a poco, in quel frattempo, gli urli e i fischi erano cessati. Pompeo rialzò la testa, si guardò attorno.... si mosse adagio, cominciando a respirare... quando udì a un tratto un frastuono di voci e di passi che saliva per le scale.... che si fermava sull'uscio della sua camera.... Tese l'orecchio: udì girare la chiave nella toppa....

- Oh Dio!... Vengono ad ammazzarmi! - e tremando più di prima, si rizzò in piedi di scatto, cogli occhi sbarrati, coi capelli irti, colla fronte grondante di sudore.

La porta si spalancò subito, e un gran mucchio di persone entrò precipitosamente nella camera. C'erano fra gli altri Don Rosario e Beppe Micotti, insieme col sindaco di Panigale e col presidente del comitato, che rimasero per un po' sconcertati vedendo la faccia livida del cavalier Barbarò.

- Che volete? Che cosa mi volete fare?... Lasciatemi in pace! - balbettava Pompeo con voce fioca, e col petto ansante.

- Niente paura! - ghignò Beppe Micotti fissando il padrino con aria beffarda. - Veniamo a portarle i voti: la somma è giusta e il conto torna!

- Vittoria! signor cavaliere! - strillò Don Rosario.

- Vittoria!... Vittoria!... - gridarono tutti gli altri levando in alto i cappelli.

- Tacete, fate piano, per amor di Dio!... - balbettò Pompeo tentando di chiudere la bocca a Don Rosario. - E... l'Alamanni?...

- È rimasto nella tromba con trecento voti meno di noi, - esclamò il presidente del comitato. - Evviva l'onorevole Barbarò!...

- Evviva! Evviva! - rispose in coro tutta la comitiva, meno Beppe Micotti, che continuava a sogghignare.

- Grazie, grazie.... ma non gridate tanto forte, - raccomandò Pompeo, sempre spaventato guardando verso la finestra. - E la dimostrazione?...

- Finito tutto!... - esclamò il sindaco con piglio marziale.

- Sono arrivati i gastigamatti! - tornò a strillare Don Rosario che più rosso, più rubicondo saltava attorno per la stanza ridendo a crepapelle. - Viva il signor cavaliere!

- Viva il nostro deputato!...

Pompeo si arrischiò a guardare dalla finestra: la strada era vuota. Allora respirò più libero, e rispose con effusione ai saluti, alle strette di mano.

" Che paura ho avuta! " pensava intanto fra . "Matto, matto!... come mai avevo dimenticato i soldati, i carabinieri?!..."

I vetri tremarono un'altra volta al fragore degli evviva, che rintronavano più fortemente perchè non venivano dalla strada, ma dal cortile della casa.

- Evviva l'onorevole Barbarò!...

- Evviva il nostro deputato!...

Pompeo, ancora sbalordito, ringraziava tutti; raccomandava a tutti la calma, la prudenza, per non inasprire quegli altri; e infine, sorridendo intontito, non sapendo che cosa si facesse, che cosa gli facessero, si lasciò trascinare da' suoi elettori più esaltati sopra un loggiato interno, che dava appunto sul cortile.

Da tutte le parti scoppiarono nuovi e più fragorosi applausi: e le stesse trombe e gli stessi tromboni della banda civica, che la sera innanzi avevano suonato l'inno di Garibaldi in onore di Francesco Alamanni, assoldati con doppia paga da Beppe Micotti, intignarono allora, con un tempo allegretto-vivace "La bandiera dei tre colori", a tutta gloria dell'onorevole Barbarò.

 

 

 


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