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PARTE TERZA. | «» |
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La Medicina è sempre stata la stessa, ed ha sempre conservato il suo proprio carattere, sebbene l'esteriore apparente non sia stato in tutti i tempi il medesimo. Hanno un bel dire i Medici moderni, quando per dimostrarci gli avanzamenti dell'arte, ci presentano avanti gli occhj le belle, e strepitose scoperte della Fisica. Io sò, che l'Anatomia dopo la rivoluzione succeduta per la scoperta della circolazione del sangue, dei vasi lattei, della vera struttura de' visceri, dell'elegante descrizione dei muscoli, nervi, arterie, e vene, è arrivata al suo vero punto di perfezione. La Chimica ripurgata da' suoi errori non è più oscurata dal velo degli enimmi, ma giace sottoposta alle leggi più comuni della Fisica, e par che serva di sostegno alla Medicina. La Bottanica, e la Storia naturale ha arricchito nuovamente gli orti di piante salubri, e le Spezierie di droghe virtuose. Si sono scoperte le vere cagioni, e le vere sedi di molti mali, e di molti altri le più probabili, e le meno equivoche. Si sono descritte le malattie con più precisione, energia, chiarezza, e metodo. Ma tutti questi avvanzamenti non hanno toccato il fondo della Medicina. Se si esaminano, e si pesano scrupolosamente, non si riducono ad altro, che a far comparire la Medicina un pò meglio abbigliata, ma con la stessa fisionomia.
Le regole fondamentali, e le leggi primarie, con la scorta delle quali hanno camminato i nostri più celebri Maestri dell'Arte, sono che si devono abbassare, ed infiacchire i moti della natura troppo forti, ed impetuosi, e suscitare, e rinvigorire quei troppo deboli, ed illanguiditi. Nei mali acuti per lo più l'impeto della natura è troppo impetuoso, e feroce; e noi vediamo, che tutti gli sforzi dell'Arte cospirano ad abbassarlo, ed infievolirlo. Nei mali cronici le forze della natura sono troppo deboli, e languide, quindi è, che da qualunque verso risguardiamo ì medicamenti, che si adoprano contro i mali cronici, noi li ritroveremo adattati appuntino a suscitare una febbre artifiziale, e capaci di aggiungere un non so che di vigore, e di forza, che manca alla natura. Ippocrate, Galeno, Sidenamio, e Boeraave i quattro cardini della nostra Professione attaccati a questo principio hanno gettato i veri, e stabili fondamenti della Medicina. Gli altri Medici sì antichi, che moderni non hanno altro di buono, che le dottrine d'Ippocrate. Diocle, Areteo, Rufo d'Efeso, Sorano, Tralliano, Ezio, ed Oribasio incominciano ad essere inutili ad un Medico, quando cessano di essere seguaci d'Ippocrate. Quasi tutto il merito di Celso consiste nell'aver fatto parlare elegantemente latino il grand'Ippocrate; come quello di Rase, Avicenna, ed Avenzoar consiste nell'aver fatto parlar arabo l'indefesso Galeno. Le opere pratiche dei moderni ci presentano molto di vero, e assai più di bello; ma tutto ciò che hanno di vero, lo debbono al divino Ippocrate, e allo sperimentato Sidenamio, e tutto ciò che hanno di bello, al gran Boeraave.
I mezzi più proprj, ed opportuni, coi quali i Medici hanno tentato di reprimere i moti forti della natura, e rinvigorire i deboli a un dipresso sono stati gli stessi appresso tutti i secoli. Io raccolgo dalla Storia Medica, che nei secoli avanti Ippocrate, nei quali la Medicina non aveva presa la forma, ed il carattere di scienza, ella non consisteva in altro, se non che nelle cavate di sangue, purganti, latte, siero, bagni, esercizj, papavero, opio, e qualche specifico; e se gli antichi Medici non conoscevano molti de' nostri specifici, come la china, e il mercurio, è da credere, che noi pure non conosciamo molti dei loro. Salomone, che conosceva tutte le piante dal cedro del Libano sino all'isopo, che cresce sù le muraglie, e che avea scritto sopra i Rettili, Pesci, Uccelli, e tutti gli altri animali, e a sentirlo accorrevano gli Uomini saggi delle altre Nazioni, viveva delle centinaja d'anni prima d'Ippocrate; aggiunge Giuseppe Ebreo, che al tempo di Salomone, v'erano degli altri della sua Nazione informatissimi dell'Arte Medica, benchè non tanto quanto Salomone: Democede, che fioriva prima d'Ippocrate aveva curato senza ferro un cancro nel petto della Regina Atossa di Persia. Melampo, che ha preceduto l'Epoca d'Ippocrate di più di mille anni, aveva guarito le figlie di Preto Re d'Argo dalla pazzia coll'Elleboro nero, e coi bagni caldi, ed avea curato Ificlo impotente nel generare, con la ruggine di ferro nel vino, rimedj tutti, che esaminati secondo i nostri principj li ritroveremo i più appropriati per questi mali, i più sicuri, ed i più universali. Dunque i Medici antichissimi, eccettuatone qualche rimedio particolare, si fondavano sù quegli stessi rimedj sù i quali si fondano tuttavia i Medici spregiudicati del nostro secolo. Il Creatore egualmente provido per la conservazione di tutti gli Uomini di tutti i tempi ha arricchito il Mondo più presto che fosse possibile dei rimedj necessarj. Gli altri tutti son mode del secolo introdotte o dall'ingegnoso interesse, o dalla credula ignoranza. In fatti alcuni rimedj si danno in tempo, che gli altri stimati affatto inutili hanno già per metà soggiogato il male, o hanno pure disposta a partire la materia morbifica. Molti gettano un velo sopra la malattia, la quale si crede estinta, ma tacitamente serpe, e rovina. Alcuni, che si decantano per ispecifici, non dipendono se non dalla natura del luogo, del clima, e della manipolazione, e la loro virtù è solamente concentrata nelle mani del loro inventore. Molti per due, o tre casi fortunati, e mille infelici, si pubblicano generalmente per singolari. Moltissimi, e quelli sono la maggior parte dei medicamenti dati in tempo di crise, o pure quando la natura da se sola avrebbe superata la malattia, sono insigniti di certe virtù, e particolarità, che non hanno avuto, e non avranno giammai. I primi, ed antichi rimedj, dei quali si servivano i Medici avanti l'epoca d'Ippocrate, ed i Medici spregiudicati del nostro secolo, sono come le Piramidi d'Egitto, che trionfano ancora dell'invidia del tempo; gli altri sono come scene di Teatro aggiustate per fare una brillante comparsa, e poi per finire.
Noi abbiamo veduto quale sia il fine della Medicina, e quali i mezzi per arrivarci. Ora fa d'uopo fissare una regola costante, che ci determini ad usare questi mezzi felicemente.
Il Medico è un ministro della natura, e in virtù del suo carattere la deve aiutare, o correggere; ma non creda per questo avere una gran parte nella cura delle malattie. Io dico, e lo dico con la voce dei più celebri, e consumati Medici Pratici, che il più delle volte l'intrigarsi meno che sia possibile nella cura delle malattie particolarmente acute, è il miglior partito, che si possa prendere. Il pregio del vero Medico consiste in quella servile ubbidienza ai moti della natura, senza poter aggiungere quasi nulla di proprio, non perchè la natura non abbia bisogno qualche volta di essere ajutata, o corretta, ma perchè è assai difficile il conoscere quando veramente ne ha ella bisogno. Variano i mali, e le di loro influenze, come variano degli Uomini le fisonomie. La materia morbosa esce felicemente da quella parte, e in quel tempo, che esige il vario carattere dell'Epidemia dominante. Secondare le intenzioni della natura, se si ha la sorte d'indovinarle, è tutto quello che si può, e che si deve fare in questi casi difficili. Il voler supplire un evacuazione naturale con un'altra artifiziale, alle volte è lo stesso che navigare senza guida, e senza bussola in un mar procelloso. In molte influenze d'infiammazioni di petto si tenta di espellere la materia morbosa per espettorazione, si attraversano le strade della natura, e si pone in pericolo la vita dell'infermo, mentre il sudore è l'evacuazione critica di questa Epidemìa. Una giovine Zitella ben fatta, e di buona salute, molto conosciuta qui in Roma impazzì per amore; in questa occasione le furono fatte parecchie sanguigne, ed altre artifiziali evacuazioni, ma senza profitto; avea i suoi mestrui regolarmente, ed in abbondanza; con tuttociò la natura apertasi la strada per le vene emmorroidali, e gettando fuori una mediocre quantità di sangue liberò la giovine dalla pazzia. Ve ne sono a migliaia d'esempj consimili per corroborare la mia opinione. Sù questo punto io credo, che tutti i più illuminati Pratici sieno d'unanime sentimento al mio, e sono di parere di aver solamente contrarj quelli, che si vantano vedere molti ammalati, ma in realtà per la loro strana maniera di medicare vedono poche malattie.
Tutto dunque si riduce il sapere de' Medici ad un puro Abbicidario per usare la frase del Boeraave; e la Medicina il più delle volte non è altro, che una dura, e penosa osservazione di tutto ciò, che opera la Natura nel corpo umano. Per avere poi il genio di Osservatore non si ricerca un gran talento, o un grand'apparato di scienze: Due Uomini perfettamente ignoranti, uno de' quali si gloriava di esserlo, sono stati i più grandi osservatori del loro secolo. Levenoechio gran Naturalista, e Sidenamio gran Medico Pratico.
Naturæ morborum medicatrices: Tocca dirlo ad Ippocrate il primo, e il più fedele Interprete della Natura, e tocca a negarlo solo a colui, che non ha veduto, che le malattie, e le loro guarigioni, che sono descritte nei libri. L'osservare diversi, ed opposti metodi di medicare in una Città, e in un'istesso Ospedale, ed il vedere il numero di quelli, che muojono, o guariscono se sono curati in una maniera, non essere a un dipresso maggiore, o minore del numero di quelli, che sono curati in un altra, sono tutte cose, che concorrono a dimostrarci la natura essere quella, che medica, e vince le malattie. Ella è troppo valida, e potente, ed ha delle risorse a noi affatto ignote. Sola come ella è fa delle guarigioni, che si possono bensì ammirare, ma non già mai imitare. Quante volte la Natura risveglia l'appetito di certe cose, le quali sono pregiudiciali, e nocive alla malattia, e l'infermo col soddisfare ad un tale appetito risana? Uno per disgrazia ingoja un ago; la Natura col benefizio della suppurazione in qualche parte ignobile del corpo caccia via questo corpo estraneo.
Sono comparse delle malattie nuove, come il vajuolo, lo scorbuto, la rachitide, e la lue venerea, le quali una buona porzione del genere umano uccidono sole a faccia scoperta, ed un altra porzione in compagnia d'altre malattie. Le stagioni sono più irregolari, e meno uniformi particolarmente dopo il gran freddo dell'inverno del 1709. Si rifletta ancora, che i soli Europei esclusivamente a tutte le altre Nazioni pare che abbiano il gius di confondere nel loro stomaco, e in un medesimo giorno le produzioni differenti delle tre altre parti del Mondo. Che enorme quantità di droghe dell'Indie, che circola per i nostri umori, e che mostruoso miscuglio di tanti elementi dissimili, e sì poco analoghi al sangue Europeo! pure con tante cagioni sì capaci d'infievolire, e guastare le generazioni umane, e sì potenti per raccorciare i termini della vita, questi non sono punto mutati dal tempo di Davidde in quà. Dunque bisogna ben credere, che la Natura con virtù segreta, e magica da quelle istesse cose, che le potrebbero cagionar nocumento, e pregiudizio, ne sappia ricavare sollievo, e salute.
L'Arte, che ha voluto imitar la Natura, e qualche volta superarla, non ci è riuscita mai con onore. La trasfusione del sangue di un animale sano, e l'infusione di certi rimedj nelle vene degl'infermi ci presenta a prima vista uno spettacolo glorioso per la nostra Professione. Etisìe confermate, manìe, ed altre malattie invincibili sono state guarite con questo metodo, e poco è mancato, che non si sia creduto, che i Medici autori di tali guarigioni non abbiano avuto il dono dei Miracoli. Fatti i primi tentativi, voi avreste veduto la brillante scena cangiarsi in un altra lugubre, e spaventevole, e non vi ha voluto meno, che le saggie, e provide leggi de' Principi per arrestare le funeste conseguenze di questo ardito metodo di medicare. L'elettricismo, che ha qualche volta guarito paralisìe invecchiate, ed altri mali affatto incurabili, il Turbit minerale, che ha sciolto le cataratte, ci additano chiaramente, che qualche volta gli sforzi dell'Arte umana sembrano essere involti con un non so che di magìa; ma per uno salvato, quanti poveri infermi periti, o stroppiati! Crediamolo pure, che l'arte umana nel voler superar la Natura ritrovi la pena della sua temerità nelle cure infelici, e miserabili, che le succedono alla giornata.
Riguardo alla pratica della sanguigna mi prenderò solamente la libertà di avvertire, che il coraggio di noi altri Medici Romani, che facciamo uscire il sangue in pochi giorni sino a venti volte, ci ha confermati in una verità utile in Medicina, ed importantissima. Chi avrebbe mai creduto non molti anni sa, che un'infermo abbattuto dal peso del male, e dal rigore della dieta, avesse potuto reggere all'attacco di noi altri Medici, che gli facciamo in pochi giorni più di venti sanguigne? E pure è così. Dunque la natura il più delle volte è troppo valida, e forte per sostenere le sue forze contro gl'insulti del male anche senza ajuto del Medico. Un colpo grande di prudenza Medica consiste nel sapere sciegliere l'occasione di lasciare gli ammalati in balìa dei movimenti della Natura. Questa regola, che è vera in tutto nei mali acuti, come lo dimostra la pratica d'Ippocrate, è falsa solamente per metà riguardo alle malattie croniche. Quanti ne vediamo de' miserabili attaccati da idropisìe, scirri, cancri, o da qualche altro male insanabile girare molti anni per la Città, che sarebbero morti, se fossero stati curati? Una tal verità, che tanto apertamente inculcava Ippocrate, fu conosciuta anche dai più celebri Medici moderni. Etmullero ricco depositario di un tesoro d'idee, e di osservazioni dei più valenti Professori, e saggio economo per l'uso, che ne sapeva fare, curava molte volte gl'infermi con la sola bevanda. Baglivi doppiamente grande per le sue opere, e perchè sono marcate con l'impronta del genio Ippocratico, e perchè sono state lavorate in quell'età, in cui uno è molto agitato dallo spirito, che bolle, e fermenta, e niente assistito dall'esperienza che manca, Baglivi dico, gridava contro l'abuso della moltiplicità dei rimedj. Il Pittore delle malattie degli Artefici, Ramazzini, spirito aggiustato, ed ingegno felice, in molte epidemie ha osservato, che quei soli avevano la fortuna di fuggir dalla morte, nella cura dei quali i Medici avevano l'attenzione di fuggire i medicamenti. Quel Medico così eccellente, e fortunato, che in vita meritò gli stessi onori, ed elogi, che agli Uomini grandi la sola posterità ha il diritto di accordare, l'Ippocrate Inglese, l'immortal Sidenamio prima che l'esperienza, la quale viene cogli anni, l'avesse disingannato, credeva che ciascuna malattia richiedesse un trattamento particolare; ma coll'andar del tempo si ritrattò, e non ebbe difficoltà di confessare, che vi era un metodo generale, che conveniva a tutte le infermità. L'Offmanno, che per altro era un gran Chimico, e da giovine era amico de' segreti, pure si contentava di pochi, e semplici medicamenti. Lo Stalio Chimico celebre, a cui non mancava la scienza delle cognizioni anatomiche anche le più sottili, coll'andar del tempo, come abbiamo detto di sopra, ridusse il catalogo dei medicamenti da lui usati ad un confine così ristretto, che da vecchio non adoprava altro, che sal marino.
La Natura dunque nella cura delle malattie il più delle volte vuol marciare sola, e senza appoggio. Quando ella poi è ajutata, o corretta, ama l'innocenza, e la piacevolezza dei rimedj. Nè mi vantate con il Mapertuis l'esempio dei Giapponesi, i quali in vece delle polveri, e pillole Europee adoprano la Moxa; le loro cure sono più veloci; ma quel dolore, che i Medici del Giappone fanno sentire in un momento, noi lo dividiamo in molti. Io non vedo analogìa con il metodo, che tiene la Natura. Io vedo delle cure maravigliose, e sollecite, ma aspre, violente, e poco sicure. Le nostre al contrario sono più dolci, meno equivoche, e più sicure, di maniera che gli stessi difetti da noi sono fatti con grazia; e potrei dire de' Giapponesi, e di noi quello che in altra occasione diceva Quintiliano: In quibusdam virtutes non habent gratiam, in quibusdam vitia ipsa delectant.
Le guarigioni fatte coi rimedi generosi, e violenti sono come i vincitori del Lotto, che sebbene sieno in pochissimo numero, pure tirano a se un numero infinito di giocatori, ma pochi guadagnano. La regola, che dovrebbe determinarci ad usare qualche rimedio violento sarebbe di vedere se con quel rimedio si risanasse un numero maggiore di ammalati. Ma se col vescicatorio al luogo del dolore nelle punture, e infiammazioni di petto abbiamo l'istesso intento, che coi rimedj piacevoli, perchè farne una pratica universale? Se col vomitatorio nelle febbri acute non facciamo nè più nè meno che cogli altri rimedj, lasciamo che un tal rimedio faccia onore ai Medici in una intermittente ribelle, e contumace, in una influenza di febbri dei Spedali, come si osservò in S. Spirito nel 1764. negli affetti stomacali, ed altre infermità.
Guardiamoci per altro di sempre fuggire i rimedj violenti. Quell'essere sempre attaccato ai rimedj piacevoli, e quel non adoprar mai che i forti, e generosi, sembra essere un uguale inconveniente. Nel primo caso qualche volta si fa pompa di una pietà crudele, e nel secondo il più delle volte non si dimostra, che una pietosa crudeltà. E non fu, che con gran ragione, che lasciò scritto Ippocrate: Timiditas impotentiam, audacia ignorantiam artis significat. Quanto è facile il criticare gli estremi! Ma quanto mai è difficile seguitare il mezzo! Sidenamio certamente ha fatto un gran bene col condannare il metodo caldo, e vigoroso, che si adoprava nelle febbri, e coll'approvare il grato metodo rinfrescante, e diluente: ma tutte le febbri devono essere curate con la sanguigna, purga, e diluenti? Le febbri lente nervose, alcune delle maligne non ricercano il contrario? Per altro è minor male l'esser portato per i rimedj piacevoli, che per i violenti, mentre nel curare gl'infermi dobbiamo avere in vista prima di non nuocere, e poi di giovare.
La piacevolezza, e l'innocenza de' metodi ci deve esser cara; ma più cara la semplicità. Quel mostruoso adulterio, e quell'imperfetta unione de' rimedj non serve ad altro, che a mostrare una perfetta ignoranza. Se i medicamenti, che entrano in qualche composizione farmaceutica sono gli stessi, perchè unirli: se poi sono diversi, perchè non isciegliere il più valido, e potente? Aggiungete, che l'ignoranza di quelli, che si vantano capaci di fare le operazioni Chimiche, e la malizia di alcuni, che pongono dei semplici adulterati, e corrotti nelle medicine composte, spesse volte impediscono, che non si venga corrisposto alle intenzioni del Medico, e alle speranze dell'ammalato. Io non ho abbastanza di voce per encomiare la semplicità nel medicare, nè tanto di autorità per dare l'ultimo Addio alle acque torbide, e spiriti svaporati delle Speziarie, alle polveri guaste, ed olj ranciditi, alle deposizioni sedimentose de' sciroppi, alle pillole secche, e aduste, alle conserve inagrite, e corrotte. Per altro ricordiamoci, che la Medicina non è contenta solamente di consolare, vuol ancora giovare; e guardiamoci di non impoverire la nostr'Arte coll'idea di renderla semplice. Vi sono delle Medicine composte, le quali sono credute ridicole, e pure non sono affatto inutili. La polvere del Gottera del Riverio (composiziene affatto screditata) ha guarito dei dolori di testa acerrimi, e pertinaci, quando già tutti gli altri rimedj erano riusciti inutili, e vani. Il Baglivi da tre o quattro volte l'ha osservato, ed io dietro le traccie di questo celebre Medico l'ho praticato con uguale successo in due persone, che n'erano miseramente afflitte da molti anni. Lo stesso dite del Mitridate, e della Teriaca, e di altre composizioni, che l'uso antico ha rese sagrosante, e necessarie, benchè i di loro semplici ingredienti sieno stimati poco meno, che vani, e ridicoli. Non importa, che un severo, e rigido esame fatto al Tribunale della ragione escluda l'uso di un rimedio o semplice, o composto, benchè sia creduto ridicolo. Basta solo, che sia approvato da una lunga, e giornaliera esperienza. Io vedo, ex. gr., che Boeraave, Tralles, Cartheuser mi vogliono provare, che il Cinabbro non si può sciogliere nello stomaco, e negl'intestini, e che non agisce se non coll'uccidere i vermi. Io resto convinto, e persuaso dai loro raziocinj, li lodo, e gli approvo; ma seguito l'esperienza, che qualche volta mi ha fatto vedere, che il Cinabbro ha eccitato la salivazione, che ha resi rinomati i Medici Napoletani col far loro riuscire tante belle guarigioni col solo Cinabbro, che indusse il celebre Cratone, ad esclamare essere il Cinabbro la calamita delle Epilessia. Qual'è quella mente la più illuminata, che possa sola decidere della virtù, e della maniera, con cui opera un rimedio? Noi abbiamo ne' Commentarj dell'Istituto di Bologna, che il mercurio non muta niente di peso dopo che è stato tenuto infuso nell'acqua; onde si conchiude questa nulla valere contro i vermi. Io non voglio essere mallevadore dell'esperienza di tanti accreditati Medici, i quali l'hanno ritrovata utile in questo male; dico bene, che la soluzione del mercurio fatta per mezzo dell'acido vitriolico è accompagnata da un fenomeno rimarcabile. Quest'acido contrae un odore ben sensibile di spirito sulfureo volatile; prova evidente, che una porzione del flogistico del mercurio si è unita con lui; e pure se si disimpegna il mercurio dall'acido per un alcali fisso, non pare questo metallo aver sofferta alcuna alterazione.
Lo spirito vero della Medicina è ben inteso da colui, che si figura la nostr'Arte non consistere in altro, che nell'uso di pochi, piacevoli, e semplici rimedi; ma somministrati con mano da Maestro. Un eccellente Pittore con pochi colori, che sieno però ingegnosamente applicati, fa delle composizioni, che imitano la Natura nel vero, e la superano nel bello. Quell'impegno, e quell'ardente brama de' Medici, che hanno di ritrovare medicamenti nuovi, e nuovi metodi di medicare è un debole, ed inutile sforzo per promuovere gli avvanzamenti dell'Arte. Certi volendo fabbricare un Palazzo accumulavano insieme materiali per formare una Città, e non s'impegnavano mai a disporli per formar l'Edifizio; ma sorpresi al contrario dallo spirito di discordia, uno bruciava, e distruggeva i materiali dell'altro, e tutti i materiali non divenivano in fine, che un mucchio di cenere. Alcuni Medici preparano materiali, ed accumulano casi, istorie de' mali, osservazioni d'Aerometria, descrizioni d'Epidemie, medicamenti nuovi sino a cangiare in rimedj quelle sostanze, che la Natura avea formate veleni; e non mai li applicano a disporre, e ordinare questi materiali; anzi parte per invidia, parte per contradizione, e per malignità uno cerca di distruggere, ed atterrare le fatiche dell'altro. Bisogna di quei pochi rimedj, che l'antichità dell'uso ha resi sagrosanti, e necessarj, farne una giudiziosa applicazione, e saperli usare a tempo, e al caso, e secondo le complessioni, e le malattie particolari; e quello che è più, ristringerli a gradi particolari d'infermità; nè sfuggire certe minuzie, e sottigliezze di pratica, dalle quali dipendono alle volte le più grandi rivoluzioni nel corpo umano; come appunto nel Mondo i più grandi avvenimenti per loro principio hanno cagioni piccole, e sconosciute.
Dopo aver trattato del metodo generale di medicare, mi si aprirebbe qui il campo di discorrere sopra il metodo particolare. Ma per eseguire questo disegno, oltre che v'abbisognerebbe unitamente ad un giudizio più limato del mio, una più lunga, e vecchia esperienza, per non lasciarmi poi trasportare da una vortice di dubbj, di contradizioni, e di liti; mi ritrovo nell'urgente caso di dispensarmene. Io mi lusingo di aver dato sin qui un breve, ma chiaro saggio sopra lo spirito della Medicina. Se ho pensato straordinariamente, proverò una disgrazia non molto sensibile, perchè sò, che le stravaganze oggidì nella Repubblica letteraria non sono del tutto disprezzate. Ma se mai ho pensato straordinariamente, e a traverso, e fuori di proposito, proverò una doppia disgrazia, e la seconda sarà più sensibile della prima. Per altro abbia la bontà di sapere chiunque mi sarà l'onore di leggere, che io non ho avuto alcun partito a sostenere, nè alcuna opinione a combattere per preferenza. Io non ho amato, che fortemente la verità, e Dio voglia, che io abbia avuta la sorte di seguitarla.
IL FINE
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