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LA FUNZIONE SOCIALE DELLA FAMIGLIA
Dalla constatazione che la famiglia odierna ha grandi deficienze e disarmonie, taluni inducono una previsione arbitraria: la famiglia sparirà, o propongono una soluzione catastrofica: bisogna abolire la famiglia.
«So che, intorno al 1820, il figlio veniva allattato dalla mamma, cresceva presso le gonne della mamma e, tranne le poche ore di catechismo e di grammatica che passava in parrocchia, restava sempre in casa finchè non si sposava con la benedizione dei genitori, trascinandosi anche in casa la sposa.
E so che, intorno al 1922, il figlio di quei borghesi che urlano contro di me per le mie idee paradossali viene mandato a balia, dalla balia viene tolto per passare al giardino d'infanzia, da quello salta in collegio, dal collegio parte per l'università, dall'università casca in caserma e dalla caserma si congeda per andare in una città che i suoi genitori non hanno mai visto, a sposare una donna che i suoi genitori non hanno mai conosciuto.
E so che, intorno al 1922... So insomma che i vincoli morali della famiglia si allentano per forza di cose e che i vincoli giuridici dovranno mutare anche essi e che lo Stato a poco a poco dovrà impadronirsi del figlio, del quale s'è già impadronito con la scuola e con la caserma, sempre di più».
Il programma dello stato bambinaio è la quintessenza del neo-malthusianismo morale e civile. Nasce dal volgare egoismo di un ragionamento che scivola così:
— Non tutte le donne sono così facili come desidererebbe la nostra sete di godimento? Rivendichiamo per loro il diritto «di scelta e di volubilità»in amore. Le prostitute sono troppo costose e pericolose? Assicuriamoci femmine sane e gratuite. Le donne debbono mantenersi da sole, e darci il fiore della giovinezza. Quando invecchiano, non ci interessano più, quando si ammalano c'è l'ospedale, quando partoriscono c'è la Maternità. Per i figli il brefotrofio, poi il collegio.
Che Stato comodo questo Stato che assicura l'amore senza grattacapi! Almeno negli utopisti statolatri, da Platone a Bebel, l'inumana negazione della famiglia assurge a dignità di necessità sistematica, e mira ad un migliore ordinamento sociale! Invece negli emancipatori della donna borghesi, anche se sedicenti rivoluzionari, la negazione della famiglia è meschina quanto volgare. E non risponde alla realtà, nella quale ci sono molti matrimoni mal combinati, molte famiglie sconvolte dal vizio, molte paternità dubbie, molte fedeltà coatte, ma ci sono anche famiglie che non vivono nè il dramma nè la pochade, ma sono invece tranquille, sane ed elevate, nelle quali la tradizione morale si effettua in una feconda trasmissione di affetti, di memorie, di attitudini. In queste famiglie la monogamia non è una finzione, ma fiduciosa serenità di affetti che giungono ad una fusione spirituale sufficiente ad assicurare ai figli un'attenta ed amorosa cura, un'unità di indirizzi educativi quale nessun collegio modello potrebbe dare. In queste famiglie la vita tende all'unità che completa ed esalta. In queste case la madre esplica la propria funzione di naturale educatrice. Nessuna bambinaia, nessuna istitutrice, nessun maestro potrà surrogare l'opera di una madre esemplare. La donna buona, mite, forte è autrice, quasi sempre, del genio e della generosità dei grandi uomini. Quando in una festa in onore di Washington, questi apparve dando il braccio alla vecchia madre, che vestiva l'antico e modestissimo costume delle donne della Virginia, Lafayette, commosso dalla vista di quella donna, semplice quanto energica, esclamò: — Tali madri spiegano tali figli!
Questa esclamazione potrebbe essere ripetuta per quasi tutte le madri dei grandi uomini.
La corrispondenza tra la struttura etica della famiglia e le armoniche finalità dell'educazione è stata messa in rilievo da molti pedagogisti. Tra questi è l'Angiulli, che asserisce: «Senza la famiglia l'educazione manca di base.
Ma l'educazione della famiglia appartiene massimamente nei suoi stati primitivi alla madre. Dalla madre l'uomo riceve il primo alimento, la prima sensazione, la prima parola, la prima idea, tutta quella serie di elementi fisici e psichici onde si forma il complesso della sua attività mentale. La madre educa insieme con la mente e col cuore, col precetto e con l'esempio; essa sola è inseparabilmente educatrice dell'intelletto e del sentimento. La dolcezza nell'espressione degli affetti non superabili, la pazienza, la costanza, la diligenza, l'amore dell'ordine, il senso del dovere e del sacrificio, tutto ciò s'insinua dalla madre nell'animo del bambino insieme con le prime impressioni della vista e dell'udito. Sovente si ripete che sui banchi della scuola si decide l'avvenire di un popolo: noi vogliamo dire piuttosto che esso si asside sulle ginocchia delle madri»10.
A coloro che oppongono che l'ambito effettivo della famiglia è ristretto e che questo costituisce un ostacolo al dilatarsi della simpatia umana, rispondeva, vari anni or sono, un uomo insospettabile di pregiudizio borghese, di moralismo tradizionalista: Errico Malatesta. Trattando della questione, tanto trattata, e spesse volte bistrattata, dagli individualisti, egli osservava, acutamente: «nonostante il regime di oppressione e di menzogna che è sempre prevalso e che prevale ancora nella famiglia — essa è stata e continua ad essere il più grande fattore dello sviluppo umano, giacche è soltanto nella famiglia che l'uomo si consacra normalmente all'uomo e compie il bene per il bene, senza desiderare altro compenso all'infuori dell'amore della compagna e dei figli.
Ma, si osserva, eliminate le questioni dell'interesse, tutti gli uomini diverrebbero fratelli e si amerebbero.
Certamente non si odierebbero più, di certo il sentimento di simpatia e di solidarietà si svilupperebbe molto, e l'interesse generale degli uomini diverrebbe un fattore importante nella determinazione della condotta di ciascuno.
Ma non è ancora l'amore. Amare tutti somiglia molto a non amare nessuno.
Possiamo forse soccorrere, ma non possiamo piangere tutte le sventure, perchè altrimenti la nostra vita si scioglierebbe in lagrime; e nondimeno le lagrime di simpatia sono la più dolce consolazione per un cuore che soffre. La statistica dei decessi e delle nascite può offrirci dati interessanti per conoscere i bisogni della società, ma non ci dice nulla al cuore. Ci è materialmente impossibile addolorarci per ogni uomo che muore e gioire ad ogni nuova nascita.
E se non amiamo alcuno più teneramente degli altri; se non vi è un solo essere al quale siamo più particolarmente disposti a consacrarci, se non conosciamo altro amore che quello moderato, vago, quasi teorico che possiamo provare per tutti, la vita non sarebbe meno ricca, meno feconda, meno bella? La natura umana non sarebbe diminuita nei suoi più belli slanci? Non saremmo privi delle gioie più profonde? Non saremmo più infelici?».
Certe femministe non arrivano a sostenere l'abolizione della famiglia, ma ne fanno una cosa piatta, senz'anima. Credo interessante citare questi passi di Ellen Key:
«Il programma delle femministe è semplice. Si hanno degli asili infantili, una scuola, un dormitorio per i bambini; il loro numero vien fissato dallo Stato. Una cucina comune con servizio automatico. Una tenuta di casa ridotta all'addizione dei libri cassa... terminato il lavoro una conversazione telefonica con ciascun bambino; due ore di sport e di vita all'aria libera. Il dopopranzo dieci minuti di conversazione col marito; trentacinque minuti di tregua per raccogliere le idee; la serata è consacrata a delle riunioni di carattere pratico e sociale. La domenica s'invita il marito e i bambini; tre ore sono consacrate a correggerli dei loro difetti; il resto del tempo giuochi utili. Una donna come questa non pensa mai ai suoi figli mentre lavora; non sente mai il desiderio di parlare dieci minuti di più col marito. Essa si sveglia riposata dopo il numero d'ore di sonno fissato dall'igiene... tutto è regolato come un orologio».
«Quando le donne sacrificheranno durante i primi anni di vita dei bambini la loro attività personale al dovere di madre, allora il problema dell'affermazione dell'io femminile sarà sciolto in pari tempo con il sacrificio del proprio còmpito sessuale.
No, risponde la signora Perkins-Gilman, — e con lei molte femministe, — la soluzione di questo problema è l'educazione fatta dallo Stato. Guardate tutte le famiglie dove i bambini non trovano nè le condizioni fisiche nè le condizioni intellettuali per lo sviluppo normale. L'educazione collettiva sola presenta tutte le garanzie, ed essa sola offre modiche condizioni pecuniarie. Una donna non è libera che se non deve occuparsi nè della «nursery» nè della cucina. Per una donna abituata alla vita pubblica, i lavori domestici sono monotoni e fastidiosi. Al contrario una donna che sceglie liberamente il compito dell'educazione infantile potrà avere soddisfazione. La maggior parte delle madri amano i loro piccini ciecamente, come la scimmia, e quando essi crescono questa tenerezza imprudente diventa sempre più irragionevole.
E si spera di fare di queste madri, incapaci di allevare i propri figli, delle perfette educatrici caposcuola della nuova società? Dei genitori che non hanno attitudini pedagogiche sarebbero chiamati a sorvegliare le istituzioni od a scegliere il personale incaricato di fare il loro compito al posto loro! In altre parole: dovrebbero scoprire ed apprezzare qualità che mancano a loro stessi? Le fatiche che una donna non sopporta per i bambini che ha messo alla luce, dovrebbero essere sopportate da altre donne per 10, 20, 30 bambini che non son di loro!
Esistono ancora qualche volta ai giorni nostri delle donne di tipo primitivo, così materne, così forti, così tenere, così capaci, che la ricchezza della loro natura eccede i limiti d'un solo focolare domestico. Esse hanno un'elasticità intellettuale, un'allegria, un calore d'anima tali da poter dare ad ogni bambino la sua parte. Ma di tutte queste qualità le donne posseggono spesso appena ciò che sarebbe necessario alla loro progenitura. E queste «madri di elezione» di 10, 20, 30 bambini dovrebbero essere moralmente quelle che per essi dovrebbe essere materialmente il latte di una sola donna. Per la società è già un grande danno che molti uomini si trovino indeboliti per la vita perchè hanno avuto nutrimento insufficiente nell'infanzia. Ma se si applicasse il programma d'educazione di cui si è parlato e che molti approvano, essi sarebbero anche affamati di amore nei loro primi anni. Per la cultura generale è già un danno non lieve che la scuola plasmi tutti i bambini con stesso stampo: il male sarebbe ancora più grande ed irreparabile se quest'allevamento dello Stato incominciasse ancora più presto»11.
Concludo: l'abolizione della famiglia è un programma mostruoso non solo perchè cozza con la natura spirituale della donna, ma anche perchè annienta la grande missione della madre. Quello che fu il fuoco per il progresso, fu la famiglia per la civiltà. La donna è la Vestale della civiltà, la donna che non è vergine costretta da un voto sacerdotale, che non è la zitella che invecchia sognando un qualsiasi Romeo che la impalmi, che non è la bestia da soma del marito e dei figli, ma la donna che considera la maternità un segno di dignità e una missione, la donna che alterna il dovere del lavoro con il godimento del diritto al riposo e allo svago, la donna che vive in un'atmosfera di laboriosa serenità, di sincero e generoso amore, capace di oltrepassare le mura della casa per abbracciare l'umanità ed accelerarne i supremi destini.
Di fronte a questa Madonna umana, la garçonne è una ridicola maschera di una femmina spregevole.
La ragazza che si paga la vita è simpatica. Ma quali danni e quali pericoli essa incontra!