Camillo Berneri
L'emancipazione della donna

Cap. VII LA MADRE OPERAIA

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Cap. VII

LA MADRE OPERAIA

 

La forza d'un popolo sta nel

grembo delle donne fiorenti.

LICURGO

 

Alle operaie nubili si aggiungono quelle vedove e le mogli dei lavoratori che guadagnano insufficientemente. Il numero delle lavoratrici è enorme22, ed enorme è il numero delle madri operaie. E questo per necessità. Lo riconoscono anche gli economisti borghesi. Tra questi il Pantaleoni, che scrive: «Non vi è alcun pericolo che la donna, la quale non ha bisogno di lavorare in una fabbrica, ci vada per puro gusto. Tra le cose gustose non pare che ci sia anche quella ! Se la donna maritata va alla fabbrica è segno che a casa non c'è abbastanza da mangiare per essa, per i suoi figli, e per il marito, con il solo lavoro del marito, o che al marito non c'è alcun modo pratico di fargli dare quanto basti per la moglie e per i figli, anche se egli guadagni abbastanza».

Il lavoro industriale delle madri rappresenta un pericolo per la salute ed il vigore di tutta la nostra civiltà industriale. La colpisce alle radici, cioè nel ventre della donna. E la colpisce doppiamente, come vedremo.

La donna esplica, nei riguardi della trasmissione ereditaria delle malattie, una funzione correttiva (Orchansky), fino al punto, afferma il Vicarelli, «che è dato osservare come uno stato di sana costituzione e di prospera salute dell'organismo materno possa assai spesso compensare, controbilanciare o, per meglio dire, beneficamente agire sopra un prodotto di concepimento da sole cause paterne in vario modo compromesso».23

La madre operaia non esplica sufficientemente la propria missione eugenetica. Il deficiente sviluppo del suo scheletro, il bacino ristretto, l'impotenza ad allattare per insufficienza funzionale della glandola mammaria lo dimostrano. E lo dimostra il numero degli aborti, dei parti prematuri, dei nati morti, altissimo nei quartieri industriali e in ragione diretta del numero delle donne che si son fatte operaie.

In certe industrie i danni del lavoro sono terribili. Quando in Inghilterra le donne erano ancora occupate alla produzione della biacca, da un'inchiesta in una fabbrica nella quale lavoravano 77 donne risultò che, nel periodo di sorveglianza, si ebbero 21 nati morti, 90 aborti, e 40 lattanti morti per convulsioni prodotte dall'avvelenamento materno.

La madre avrebbe bisogno di molte cure, poichè lo stato di gestazione, di puerperio e di allattamento presentano grande ricettività di malattie.

Durante la gravidanza avrebbe bisogno di intensa alimentazione e di riposo, per compensare alle perdite a favore del feto24 e prepararsi a sopportare senza esaurimenti l'allattamento. Invece si affatica, correndo continuamente pericoli e mettendo in giuoco la vita della creatura. Questi pericoli sono tanti e tali che negli stabilimenti modernamente organizzati, le donne gravide debbono abbandonare il lavoro, anche nei primi mesi, perchè finanziariamente pericolose25, e il surménage pregiudica tanto l'operaia gravida da danneggiare con lei anche il feto, come risulta dalle indagini sui feti nati a termine delle località industriali26.

Ai danni che il lavoro industriale arreca alla gestazione, bisogna aggiungere quelli che reca il mancato allattamento materno.

Un medico francese, Lulaing, ha rilevato che la mortalità infantile è raddoppiata da quando le madri non allattano i bambini. Egli ha visitato 13,953 bambini da famiglie povere. Nei bambini allattati dalle madri la mortalità era del 14 per cento, in quelli dati a balia del 31,29 per cento, in quelli tirati su col «biberon» la percentuale era ancora più alta. Dei 13,952 bambini, 6,409 erano nutriti dalla madre. La causa di questo stato di cose era che le madri sono obbligate a ritornare al lavoro, poco tempo dopo il parto.

Ai danni fisici della madre e dei figli si aggiungono quelli morali. La compagine della famiglia operaia è minata dal servizio militare, dall'emigrazione, dalla detenzione, ecc. dei padri. L'emigrazione ad esempio, è un incentivo all'adulterio e, di conseguenza, all'aborto e all'infanticidio, fenomeni poco frequenti nelle donne maritate delle regioni in cui l'emigrazione è scarsa e prevalentemente interna, o temporanea. Questo dimostrano le statiche relative all'Italia meridionale27, dove l'emigrazione è quasi del tutto transoceanica28. Molte famiglie sono rese incomplete e sono sconvolte dall'assenza del padre. E questo, nella maggior parte dei casi, anche se il padre è a casa.

Le statistiche sulla delinquenza precoce dimostrano chiaramente come i bambini, i ragazzi, i giovanetti trascurati dai genitori finiscano facilmente per darsi alla malavita. Ogni guerra segna un rialzo delle cifre della delinquenza minorile non soltanto per l'assenza del padre, ma anche, e forse solo, per molti casi, perchè cresce il numero delle madri operaie.





22 Nel 1920 il numero delle operaie in Italia, costituiva il 25% di tutta la mano d'opera industriale, nel 1908, il 31%, nel 1912 il 43%. In alcune industrie le donne formano la maggioranza. Nell'industria tessile, ad esempio, nel 1912 su 870.000 occupati vi erano 453.000 donne, cioè più della metà.



23 G. Vicarelli, Lavoro e maternità in «Annali di ostetricia e ginecologia» n. 3, 1614, p. 198.



24 Fu calcolato che dai 18 ai 45 anni una donna di media fecondità debba erogare per le gravidanze e gli allattamenti tanto, quanto basterebbe a triplicare il peso del suo corpo.



25 Dato che, sopravvenendo un incidente, l'operaia si riterrebbe sinistrata e reclamerebbe un risarcimento di danno.



26 Il Vicarelli, ostetrico dell'Università di Torino, ha constatato una diminuizione nel peso e nelle misure dei feti nati a termine nella provincia di Torino.



27 Riprodotte da F. Colotti, Dell'emigrazione italiana, Milano, Hoepli, 1911.



28 Nel 1908 su 395.847 emigranti solo 90.827 partirono con la famiglia; nel 1919 su 494.668 soli 131.169.



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