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CONCLUSIONE | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
La conclusione di questo scritterello non è una collana di soluzioni, che si sfilerebbero ben presto al primo strappo che la coscienza della realtà darebbe loro. La sociologia non ci offre soluzioni assolute, ma ci addita vie più scure del dilettantismo paradossale, e ci mostra una realtà che la letteratura nasconde con gli orpelli e con gli scenari del suo mondo quasi sempre fittizio. Certo è più interessante la Garçonne o Le Compagnon di Victor Margueritte di questo libretto. Ma non bisogna fermarsi alla letteratura. Jean Cristophe del Rolland arriva a conoscere Parigi quando cessa di frequentare salotti, accademie, redazioni di giornali. Quando, cioè, conosce gli uomini e le donne che non hanno grandi nomi, nè conducono vita brillante, ma si pagano la vita col quotidiano lavoro e l'eroismo e la dignità intendono non alla super-uomo o alla super-donna, ma come continuo sforzo e come continua rinuncia per amore della famiglia, per essere onesti, per essere buoni. Coloro che parlano di rivendicazione dei diritti della donna spesso vedono esseri di carne ed ossa nei manichini dei romanzi. Queste garçonnes vivono in un ambiente di lusso. Si liberano da una famiglia che esiste solo nello stato civile. Si emancipano con una professione libera. Sono laureate, sono artiste, non operaie. Se non vogliono figli sono esperte nel neo-malthusianismo. Se ne hanno, si liberano dal peso della maternità dando i figli a balia. Se rimangono incinte da ragazze, possono piantare la famiglia ed affrontare il fariseismo sociale, perchè dispongono di mezzi finanziari, di una professione, o di amicizie utili. Non è ancora scritto il romanzo che abbia per protagonista la garçonne povera.
E questo perchè la garçonne povera è comune. È la ragazza che l'officina od il laboratorio invecchia anzi tempo. È la servetta che abbandona il villaggio per la metropoli. È la giovane donna che, al primo passo verso la sincerità passa per leggera, che, se è madre, vede chiudersi le porte delle case timorate o delle fabbriche moderne. È la giovane donna, che se non trova lavoro, cerca l'appoggio che la porta a vendersi.
Ma la garçonne servetta gravida, respinta dai suoi, cacciata dai padroni, disoccupata, la garçonne che batte a tanti usci e sale a tante scale, la garçonne che vuole vivere lavorando e non può, è troppo comune. Non ha letto fisiologie dell'amore, non ha frequentato corsi neo-malthusiani, non ha assimilato paradossi di sociologi e di filosofi, quindi non può sostenere tesi, non può risolvere brillantemente situazioni critiche, non può conservarsi libera senza affaticarsi ed imbruttire. Come si fa a farne una protagonista di romanzo, oggi in cui le giovanette dei romanzi ad alta tiratura hanno nudità sode e cesellate, discorsi disinvolti e colti, e tante altre qualità che le rendono interessanti?
L'emancipata che ha la via dell'emancipazione asfaltata e l'automobile per giunta, che ha dei cuscini pronti per ogni caduta, che ha da mangiare, da dormire e da vestire quanto e come vuole, non mi interessa.
Quella che m'interessa, è la ragazza che va maestra in un paesucolo di montagna dove si sentirà sola, con la nostalgia della casa e il malessere dei tanti forzati adattamenti, la ragazza che va all'officina a sfiorire e a perdere un po' della sua onestà, se non tutta.
E non mi interessa la zitella che, tramontata l'età degli amanti, ha i gatti da ingrassare con tazze di latte e biscottini, che ha romanzi francesi da leggere o orfani da proteggere, adunanze di società teosofiche e di protezione degli animali o di difesa della morale da frequentare. Mi interessa la zitella che non ha trovato l'uomo o non s'è adattata al maschio, che invecchia senza poter essere certa di morire in casa sua, che lavora fino all'esaurimento perchè il salario, o lo stipendio, non basta.
E la moglie che mi interessa non è quella che si consola delle delusioni datale dal marito con l'amante, ma quella che, volendo esser sincera affronta la vita, col peso dei figli e l'incognita dell'avvenire.
E non è la famiglia ricca ed aristocratica che va a rotoli quella che mi impressiona, ma la famiglia operaia che lascia i bimbi a giocare nella strada, perchè i genitori sono all'officina; che vive in una miseria che rallenta, e talvolta spezza, quei legami affettivi che soltanto possono assicurare una certa tranquillità: che viene spezzata dalla tragedia; che si smembra nell'officina prima, e poi nel carcere, nel manicomio, nell'ospedale, nel postribolo.
Tre aspetti, dunque, della questione femminile mi hanno particolarmente colpito: la donna madre nell'amore; la donna madre mancata; la donna operaia.
La tragedia fisica e morale della donna mi interessa più della commedia della femmina.
Le donne sono disgraziate nell'amore, perchè non capiscono l'uomo e non sono capite da lui.
Lo scultore norvegese Vigeland ha scolpito un gruppo che rappresenta con grande semplicità l'incomprensione dell'anima maschile di quella femminile e viceversa. Un uomo ed una donna sono così vicini da toccarsi con le spalle, ma i loro volti, i loro sguardi sono voltati da due parti opposte.
Ho cercato di far voltare qualche coppia di volti sì che gli sguardi si incrocino, col combattere alcuno dei più diffusi pregiudizi, dei più banali luoghi comuni. Ma non vorrei esser preso per un madrigale vivente. Che molte donne siano false, superficiali, stupide, grette e via di seguito, lo so. Ma più conoscono gli uomini e più capiscono i difetti delle donne, e più i loro pregi mi paiono grandi.
Ho mostrato simpatia per le zitelle. Sì, io penso con dolore alle donne che gli uomini trascurano, correndo dietro alle farfalle incipriate ed alle scimmie svenevoli, preferendo godersi la vita invece di vivere la vita nella sua interezza.
Applaudo a quello che afferma P. Viazzi nel suo libro psicologia dei sessi:
«Generalmente rimangono zitellone di preferenza proprio le ragazze migliori, per le quali un pudore vero esercitò la sua naturale ed intima funzione inibitrice e non si convertì in mezzo di seduzione, o qualche virtù di sincerità tolse il simulare non sentiti turbamenti amorosi generatori di amori in altri, o qualche onesta recezione delle regole del costume non permise il violare le regole stesse ad ogni opportunità e convenienza, o la medesima intensità del sentimento giunse a trascurare le cautele onde all'uomo è data l'illusione della vittoria».
Scrivendo della donna operaia, ho voluto attirare l'attenzione sulla Cenerentola della questione dell'emancipazione femminile.
La donna operaia: ecco il lato del problema che mi pare il più grave!
La donna s'è fatta operaia non per naturale inclinazione, bensì per necessità. È diventata un essere ermafrodito, sul quale pesano le due condanne bibliche: quella dell'uomo e quella della donna. La civiltà industriale dice alla donna: «Tu lavorerai con sudore»; «Tu partorirai con dolore». La madre operaia non è l'angelo della famiglia; il lavoro extra domestico le taglia le ali. La donna viene corrotta, viene minorata, viene uccisa ancora fanciulla dalla fabbrica, dal laboratorio, dal negozio.
L'applicazione della propria potenzialità produttiva di vari rami della vita economica ha contribuito ad emancipare la donna dalla soggezione maschile, a crearle una certa indipendenza economica e morale. Ma per questo non si può dire che l'emancipazione della donna sia effettuata nell'officina, dove la donna è soggetta a tutti i pericoli e ai pesi del lavoro maschile, con grave danno della sua salute fisica e psichica. Scrivendo il capitolo sulla donna operaia ero continuamente tentato di sviluppare la trattazione, sì che il lettore giungesse a concludere col Prato che chi consideri il problema della donna operaia «un poco più profondamente e tenga conto del rendimento integrale, presente e futuro, delle forze produttive disponibili, non può esimersi dal pensare che, anche senza uscire dal puro campo economico, l'assenza della donna dalla casa è spesso, per essa, pel marito e per i figli, una calamità e un danno non compensato dal guadagno che ricava alla fabbrica; che fisiologicamente essa non di rado ne soffre, compromettendo l'integrità fisica delle generazioni future; che moralmente vi subisce per lo più la peggiore depravazione».
Se tale approfondimento fosse stato conciliabile con l'economia di questo scritto, sarebbe, credo, apparso evidente che Bebel sposta la questione, quando osserva che le donne stesse non hanno alcun desiderio di far ritorno alle condizioni antiche patriarcali. Non si tratta di far ritornare la donna a filare la lana e a stare chiusa tutto il giorno in casa. Si tratta di conciliare i suoi bisogni di emancipazione con gli interessi della società, e si tratta, più che altro, di vedere se la donna trova nel lavoro extrafamiliare la propria libertà, il proprio benessere, il proprio miglioramento fisico, la propria elevazione morale, o, non piuttosto, una schiavitù peggiore di quella domestica. Come i borghesi rimpiccioliscono e falsano la questione facendo del problema della donna operaia, una questione di salari, di bilanci, così certi socialisti tengono presente soltanto il problema della emancipazione della famiglia, dai pregiudizi, ecc.
L'emancipazione femminile non può consistere nel fare della donna una femmina, o nel farne un maschio!
Il fine della donna è il matrimonio, quale lo definisce il Nietzsche: «Matrimonio chiamo la volontà concorde in due esseri di creare un terzo superiore a loro. E chiamo matrimonio la venerazione reciproca dei due volenti di questa volontà».
Anche nel popolo vi è uno stok imponente di donne che hanno fallito la loro destinazione: quella di essere madri e donna di casa, ma il celibato non è un fenomeno di fondamentale importanza nei riguardi delle classi povere. La moglie entra nella famiglia lavoratrice come un cespide di guadagno; ma come tale ha ribadita la propria schiavitù domestica.
La tragedia della donna povera è questa: tutti hanno bisogno di lei. Ragazza, i genitori; fidanzata, il fidanzato; sposa, il marito!
E così si prostituisce o muore od imbruttisce prima di conoscere l'amore; si mascolinizza fisicamente e moralmente; si sacrifica e trascura i figli. Non è abbastanza operaia per vivere da sola, non è abbastanza maschia per non amare la famiglia, non è abbastanza femmina per non soffrire come donna. Ragazza, i pericoli della corruzione la circondano, il vuoto della solitudine la opprime, il lavoro è troppo pesante per il suo corpo in formazione e troppo monotono per la sua anima che verrebbe scorrazzare sotto il sole e cantare. Zitella, non sempre il lavoro basta a riempire la sua vita ed assicurarle un certo benessere e il riposo nella vecchiaia. Malata, non può che gravare sulla famiglia o andare allo ospedale. Desiderosa di amore non può darsi che a patto di umiliarsi nella parte di femmina in cerca del maschio, desiderosa di maternità deve affrontare la condanna moralista e la vita appesantita dalla responsabilità materna. Quanti problemi complessi e terribili presenta la questione dell'emancipazione per la donna povera!
Ma se la donna del popolo potesse conquistare la propria indipendenza mediante il lavoro maschile, la emancipazione economica compenserebbe la deformazione fisica e morale? Per la singola donna forse sì, ma per la società no. Neera ammonisce le donne:
«Fare ciò che fa l'uomo equivale a rassomigliarlo, ciò che è un male per l'armonia della natura. Fare ciò che fa l'uomo vuol dire non aver più tempo o non averne abbastanza per compiere ciò che spetta alla donna, ed è un male per l'economia domestica. Fare ciò che fa l'uomo vuol dire rinnegare tutte le virtù e tutti i trionfi del nostro sesso. Questo, lo so, si chiama femminismo; ma è un femminismo in senso inverso, un grande errore».
Io ammonirei gli uomini, ma ci vorrebbe un libro.
Mi basta di aver reso evidente che vi sono tanti aspetti della questione dell'emancipazione femminile quante sono le classi, le categorie delle donne, Aggiungo: quante donne che ci sono e ci saranno.
Non c'è la donna che vuole emanciparsi, ma ci sono delle donne che vogliono emanciparsi. Ed ognuna deve cominciare da se stessa l'opera di liberazione. Ma libertà è vuota formula, pericoloso desiderio, volgare pratica se non si sa quale libertà sia degna di noi, sia utile alla società.
La garçonne è la pupattola che si emancipa nella frivolezza e nella corruzione, cioè distruggendo in sè la femminilità nelle sue forme più alte. Quello che ci vuole è la ragazza che cerca di rivendicare i propri diritti, cercando di acquistare maggiore coscienza dei propri doveri. Questa ragazza ce lo darà l'ordine nuovo, cioè quella società che permetterà alla donna di non essere maschio nel lavoro, nè femmina nell'amore. Per ora non ci rimane che aggiungere agli sforzi della lotta per l'emancipazione sociale, un'assidua opera di propaganda, di educazione.
Togliamo al rapporto sessuale il sapore del mistero, l'attrattiva del frutto proibito, sfrondandolo dei fronzoli moralistici e letterari. Facciamo sì che le ragazze abbandonino i tradizionali quanto artificiosi pudori, arte scaltra di civetteria o fariseo conformismo. I fervori acerbi, le aspirazioni romantiche della fanciulla, della giovinotta non debbono essere rinfocolate da un'Arcadia di sentimentalismi, né debbono essere contaminate da una spregiudicatezza volgare. La ragazza deve crescere conscia del suo destino sessuale, ma questa consapevolezza non può essere ridotta all'istruzione sessuale, igienista, eugenetica ecc., bensì aver luce e calore da discorsi aperti e, al tempo stesso, rispettosi, da letture veriste sì, ma non pornografiche, da esperienze di vita che non costino più dei vantaggi che essa ne può ricavare. Sappia la ragazza, i pericoli del matrimonio, la corruzione maschile, ma non fino ad inaridire la generosità, a uccidere il sogno, ad aver disgusto per l'uomo: il che le varrebbe aver nausea della vita. Si prepari ad essere moglie e madre, ma non voglia, come predicano alcuni, sbizzarrire per rinsavire, fare esperienza della vita fino a berne la feccia, che il piacere diventa insipido, per chi ha conosciuto la voluttà chè l'amore che dice «sempre» si rende difficile, quando s'è gustato, il fascino dell'avventura che rivela o prepara il nuovo. La gelosia retrospettiva è viva nell'uomo. La donna che si è data ad altri non è mai interamente la donna che si è presa noi. La ragazza che fa la giovinotta può incontrare un amante; difficilmente incontra il compagno costante. E la donna aspira a questo. Anche quando non lo dice, anche quando non lo vuole con chiara coscienza.
Sia più libera, la ragazza! Ma libertà è licenza, cioè inferiorità individuale e danno sociale, quando non sia padronanza di sè!
Quando incontra un uomo che le piace, la donna si dia a lui. Sarà onesta, se è sincera nella manifestazione del suo affetto, se sarà certa delle proprie intenzioni, se si sentirà la forza di lasciarlo, quando egli non si mostri degno, o si stanchi, o quando essa sente di non potergli essere fedele. Sarà libera, sarà veramente emancipata, se non si lascierà sedurre dall'eleganza del vestire o dalla grazia della parola, o dalla ricchezza, o da altra cosa che non sia fermezza di carattere, intelligenza, bontà.
Perchè due libertà si accordino, è necessario che creino un legame intimo, un campo di interferenza sentimentale ed intellettuale. Altrimenti la libertà è la tragedia di un amore che muore, mentre l'altro vive, della madre che toglie i figli al padre, dell'uomo che cerca l'amore fuori di casa, della donna che recita la commedia dell'adulterio. Cioè una libertà che fa soffrire, od abbassa. Verrà il giorno nel quale la donna sarà libera. «Il giorno — dice Roberto Bracco — in cui la vita e l'onore saranno la stessa cosa per l'uomo e per la donna; quando la personalità muliebre sarà plasmata e non trarrà più dal suo sesso medesimo nè vantaggi illusori nè gli svantaggi della inferiorità sociale, allora essa avrà anche limitato la cause delle transazioni o delle rivolte funeste; allora la dottrina del piacere, della bellezza e della forza e quella morale e della pietà saranno la stessa cosa... E la donna sarà essenzialmente la madre, continuatrice del mondo, senza essere la schiava».
Non l'attesa sognatrice di questo avvento, ma la volontà di avvicinarlo, mi pare il compito di ogni uomo che non sia così maschio da desiderare che la donna diventi o rimanga femmina. Io ho cercato di assolvere questo compito anche con queste pagine. Possano esse parlare a qualche cuore!
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