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Le parole della figlia dello Starosta di Sohachev colmarono Kmita di gran consolazione, e per tre dì non gli uscirono mai dalla mente. Egli pensava che tutto ciò non poteva essere puro caso, ma bensì un segnale da parte di Dio, ed un presagio, che s'egli si fosse mantenuto costantemente sulla retta via, Olenka gli si sarebbe serbata fedele e gli avrebbe ridonato il suo amore.
Ma, dall'altra parte, Pan Andrea non cessava di soffrire. Egli aveva l'onesta intenzione di agire bene ma il suo proponimento non giungeva forse troppo tardi?
La Repubblica sembrava correre incontro a gran passi alla sua totale distruzione; ed era vano di voler chiudere gli occhi alla terribile verità. Kmita bramava ardentemente di agire, ma non vedeva nessuno disposto ad assecondarlo. Ad ogni momento nuove persone gli passavano dinanzi, ma i loro discorsi e le loro discussioni non facevano che togliergli quel poco di speranza che ancora gli rimaneva.
Kmita non incontrava che gente sfrenata, o corrotta, o folle, o timida, o disperata. Non incontrava nessuno che sperasse nella salvezza della patria.
Intanto la fortuna degli svedesi andava crescendo. Spargevasi la voce che il resto delle truppe s'era ribellato e minacciava i Capitani, volendo passare nel campo svedese e questa voce acquistava sempre maggior consistenza. La notizia che Konyetskpolski colla sua divisione erasi unito a Carlo Gustavo si propagava in tutta la Repubblica come il formidabile rimbombo di un tuono.
Il suo esempio fu poi seguito dallo Starosta d'Yavor e dal principe Demetrio Vishnyevietski, che non fu preservato da tale vergogna neppure da un nome coperto di gloria immortale.
La gente cominciava a diffidare di Lyubomirski, Maresciallo del Regno. Coloro che lo conoscevano bene asserivano che in lui l'ambizione sorpassava l'amor di patria; che pel momento egli stava dalla parte del Re, perchè tutti gli occhi erano rivolti su lui; perchè l'una o l'altra parte si sforzava di guadagnarlo alla propria causa, e perchè si diceva ch'egli teneva fra le sue mani i destini della patria. Ma nel vedere i successi degli Svedesi egli cominciò a titubare, a indugiare; e ad ogni istante lo sfortunato Giovanni Casimiro si convinceva di più, che il Maresciallo poteva salvarlo o perderlo completamente.
Il Re esiliato viveva a Glogov con un manipolo di persone fedeli, che dividevano la sua sorte. Ogni giorno qualcuno lo abbandonava, e passava agli Svedesi. Carlo Gustavo riceveva i disertori a braccia aperte, li rimunerava, li colmava di lusinghe e promesse, e cercava d'attirare quei pochi onesti, che rimanevano al fianco del loro Re. Pareva che la fortuna rimovesse ogni ostacolo dinanzi al Re di Svezia, ed egli vinse la Polonia colle forze polacche: era un vincitore, ma aveva vinto senza combattere.
Si avanzava a gran passi l'inverno.
Al di là di Pyotrkoff, Kmita incontrò di nuovo dei distaccamenti svedesi, che occupavano tutte le strade. Molti di essi, dopo la resa di Cracovia, marciavano su Varsavia, perchè dicevasi che Carlo Gustavo, avendo ricevuto l'omaggio dalle provincie del Settentrione e d'Oriente o firmato le «capitolazioni», non aspettava che la sottomissione del rimanente delle truppe che stavano sotto gli ordini di Potatski e di Lantskoronski; avvenuta questa sottomissione egli si sarebbe recato direttamente in Prussia, e perciò mandava innanzi il suo esercito. La strada non era in verun modo chiusa a Pan Andrea, perchè in generale i nobili non destavano sospetto.
Dopo una notte insonne, agitata, passata in un albergo di Krushyn, Kmita svegliò i suoi uomini, fece loro indossare gli abiti festivi essendo domenica, e uscì insieme a loro. Dopo quella notte Kmita si sentiva stanco di corpo o di spirito. La speranza erasi spenta nel cuor suo come una lampada in cui l'olio è esaurito. Che cosa gli avrebbe portato quel nuovo giorno? Nulla!... gli stessi affanni, le medesime sofferenze, piuttosto ne sarebbe aumentato il peso, non certo diminuito. Egli continuava a cavalcare in silenzio, fissando gli occhi su un punto luminoso nell'orizzonte. I cavalli sbuffavano; gli uomini si misero a cantare con voci rotte dal sonno degli inni sacri.
Intanto la luce si faceva più viva, e quel punto luminoso dell'orizzonte cominciò talmente a risplendere che gli occhi di Kmita ne erano abbagliati. Gli uomini cessarono dal cantare, e tutti guardarono in quella direzione. Alla fine Soroka disse:
— Ma è un miracolo o che cos'è? Quello è il lato d'Occidente e sembra invece che lì si alzi il sole.
In fatti quella luce cresceva a vista d'occhio.
Kmita ed i suoi uomini guardavano con istupore quella luminosa visione, non potendo spiegarsi che cosa fosse. Ad un tratto videro da lontano un contadino che se ne veniva da Krushyn sopra un carro. Come quello si fu avvicinato, Kmita vide che il contadino teneva il cappello in mano e, guardando la luce, recitava le sue preghiere.
— Buon uomo — domandò Pan Andrea, — che cos'è che splende laggiù?
— Gloria alla Santissima Vergine! — esclamò Kmita togliendosi il cappello, ed i suoi uomini fecero altrettanto.
Dopo tanti giorni di sofferenze, di dubbi, e di lotte, Pan Andrea sentì che qualche cosa di meraviglioso succedeva in lui. Avevano appena risonato alle sue orecchie le parole «la chiesa di Yasna Gora» quando ogni confusione si dissipò nel suo spirito come per opera di una mano misteriosa e sovrumana. Egli fu compreso da un misterioso senso di timore e di riverenza, e insieme ad una gioia ineffabile. Da quella chiesa splendente dall'alto fra primi bagliore del sole nascente, pareva sorridergli l'angelo della speranza.
Nelle sue vene principiò a circolare come una nuova vita di virtù, di amore, di gloria, di felicità. Egli respirò a pieni polmoni come uomo infermo che dalla febbre e dall'incoscienza ritorna finalmente alla salute, a sè stesso.
Ma la chiesa diveniva sempre più risplendente e per qualche tempo Kmita non potè distogliere l'occhio da quello splendore. Le faccie degli uomini che lo seguivano erano diventate serie; ognuno era penetrato da un religioso rispetto. Regnava ancora il silenzio dappertutto, quando cominciò a udirsi il suono delle campane.
— Smontate! — comandò Pan Andrea.
Tutti balzarono giù di sella, e inginocchiati sulla strada intonarono le litanie.
Intanto si videro giungere altri carri. I contadini, vedendo gli uomini che pregavano, si unirono a loro, e così il gruppo andò sempre crescendo. Quando la preghiera fu terminata, Pan Andrea s'alzò, e dopo di lui gli uomini; tutti proseguirono a piedi conducendo i cavalli a mano. Kmita camminava lestamente come se avesse le ali. Ad ogni svolta della strada la chiesa scompariva, poi di nuovo si vedeva.
Il convento e le mura che lo circondavano si distinguevano sempre più, e sempre più apparivano imponenti. Alla fine, si vide in distanza la città, ed ai piedi della montagna, le linee formate dalle case e dai casolari, che, comparati colla mole della chiesa e del convento parevano nidi d'uccelli.
Era domenica: quindi, appena levato il sole, la strada formicolava di carriaggi e di gente a piedi che s'incamminava alla chiesa. Le campane, dall'alto del campanile, chiamavano i devoti ai sacri riti. Quel lembo di terra ai piedi di Yasna Gora non rassomigliava in niuna guisa al resto del paese.
La gente agglomerata, formava in distanza una massa nera intorno ai muri del tempio. Sul pendìo del colle, stavano centinaia di carri e di carrozze. Più lungi, a destra, sulla strada maestra conducente alla montagna, scorgevasi tutta una fila di uomini che vendevano medaglie, candele di cera, immagini, scapolari. Una fiumana di gente vagava dappertutto.
Le porte erano spalancate: chi vi entrava, chi ne usciva. Fra tutta quella gente non si vedevano soldati. Certo la sacra maestà del luogo salvaguardava la chiesa e il convento, e d'altra parte ognuno quivi confidava nelle lettere di Carlo Gustavo, con le quali egli ne garantiva la salvezza.