Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO XXXVIII.

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CAPITOLO XXXVIII.

La mattina seguente un insolito movimento si notò nel convento. Le porte erano spalancate e l'entrata ai fedeli fu permessa come al solito. I servizi divini furono celebrati colla solita pompa: ma appena terminati tutti furono invitati ad uscire. Il priore Kordetski, in compagnia di Zamoyski e di Pan Pyotr, esaminò accuratamente le cannoniere e i contrafforti delle mura, esternamente ed internamente. In città cominciò a spargersi, non si sa come, la voce, che nel convento stavano in attesa d'un prossimo assalto. Nuovi ordini affrettati parvero confermare tali voci. Verso sera duecento uomini lavoravano alle riparazioni delle mura.

Dodici pesanti cannoni, mandati durante l'assedio di Cracovia da Pan Varshytski, castellano di Cracovia, furono fissati su nuovi affusti e collocati nei posti designati. Sulle torri e sui bastioni furono appostate sentinelle perchè osservassero attentamente giorno e notte i dintorni; altri uomini furono mandati in perlustrazione nei paesi vicini.

Ai magazzini del convento, che erano già ben forniti, giunsero munizioni e vettovaglie dalla città, da Chenstohova ed altri villaggi appartenenti ai monaci.

La notizia si sparse come un lampo per tutta la regione. Molti non volevano credere che il nemico ardisse assalire Yasna Gora.

Nel pomeriggio una folla di gente d'ogni età e d'ogni sesso circondava le mura del convento. Verso il tramonto il priore Kordetski uscì e chiese loro che cosa volevano.

— Noi vogliamo posare un'ultima volta i nostri occhi sulla nostra Santa Verginegridarono tutti quanti.

Il priore salì sopra una roccia, e disse:

— Le porte dell'inferno non prevarranno contro il potere del Cielo. Calmatevi e consolatevi. Il piede d'un eretico non penetrerà fra queste sacre mura. luteranicalvinisti entreranno nel recinto della fede e della devozione. Accogliete nel vostro cuore la tranquillità e la consolazione. Voi rivedrete la vostra divina Patrona, vedrete nuovi miracoli. Consolatevi, asciugate le vostre lagrime e rafforzatevi nella fede; perchè io vi dico... e non son io che parlo ma è lo spirito di Dio che parla per bocca mia... che gli Svedesi non entreranno fra queste mura; quindi non la sventura dovete aspettare, ma bensì la grazia; le tenebre non vinceranno la luce, come la notte che ora si appresta non impedirà al sole di Dio di sorgere domani.

Dopo di aver pronunciate queste parole il priore benedisse la folla invitando quelli che sapevano maneggiare le armi a venire l'indomani, per difendere il convento in caso di bisogno.

La folla andò man mano diradando, e le tenebre avvolsero la terra. Al mattino seguente tutti si destarono gridando giulivamente:

— Gli Svedesi non sono venuti!

Ciò non ostante non furono abbandonati i preparativi di difesa nel convento. Per ordine del priore vennero tutti coloro fra gli abitanti della città e del contado, che già avevano servito nella fanteria ed erano abituati alla guerra. Essi furono assegnati al comando di Pan Mosinski, che difendeva il bastione dal lato di Levante. Pan Zamloyski fu occupato di giorno a disporre gli uomini nelle opportune località, ad istruirli su ciò che dovevano fare, oppure a tenere consiglio coi padri nel refettorio.

Kmita, colla gioia nel cuore, sorvegliava quei preparativi e fra i cannoni ed i fasci di moschetti si trovava nel suo elemento.

Il priore gli aveva dato l'assoluzione dei suoi peccati, ma gli erano state imposte gravi penitenze; ed ogni giorno il suo dorso sanguinava sotto la terribile flagellazione alla quale aveva aggiunto la pratica dell'obbedienza, penitenza ancora più difficile, perchè Kmita aveva per natura un cuore ribelle e superbo. Finalmente gli era stato imposto di rafforzare la propria conversione con tratti virtuosi; questa penitenza non gli riesciva difficile perchè, per tratti virtuosi egli non intendeva altro che la distruzione degli Svedesi, senza tregua e senza pietà. E appunto ora qual nobile campo gli si offriva! Uccidere Svedesi, non solamente in difesa della patria, non solamente in difesa di quel Re al quale aveva giurato fedeltà, ma in difesa della Regina degli Angioli: tutto ciò era per lui una felicità oltre i suoi meriti.

In tale disposizione d'animo egli percorreva le mura, e con viso raggiante esaminava, ispezionava e vedeva quanto di buono vi si faceva. Coll'occhio dell'esperienza egli conobbe subito da quei preparativi, che essi erano fatti da uomini eminentemente pratici, i quali avrebbero saputo cimentarsi quando si verrebbe all'azione. Rimase meravigliato della calma del priore, pel quale aveva concepito una profonda riverenza; fu stupito della prudenza di Zamoyski, e perfino di Charnyetski, al quale non fece il viso torvo quantunque ne fosse stato offeso. Ma quel cavaliere guardava Pan Andrea in cagnesco incontrandolo sulle mura.

In sulla sera i preparativi erano compiuti, ed il convento era pronto per la difesa. Nulla vi mancava... vettovaglie, polvere, fucili; mancavano soltanto delle mura più forti, e una guarnigione più numerosa.

In quello stesso giorno il vecchio Kyemlich ed i suoi figli vennero da Kmita a chiedergli di essere esonerati dal servizio. Kmita si sentì invadere dalla collera. — Cani! — gridò, — voi lasciate il servizio e non volete difendere Nostra Signora? Ebbene! sia pure! Voi siete stati pagati pei vostri cavalli; ora riceverete subito il resto dei vostri servigi.

Così dicendo egli prese una borsa da una cassetta, e la gettò ai loro piedi, esclamando: — Eccovi i vostri salari! Via dai miei occhi! Voi non siete degni di rimanere qui! Non siete degni di morire della morte che vi attende in questo luogo! Andate, andate!

— Non siamo degni di rimirare coi nostri occhi gli splendori di Yasna Gorareplicò il vecchio Kyemlich chinandosi fino a terra. — Fortezza del Cielo! Stella mattutina! Rifugio dei peccatori: — soggiunse raccogliendo la borsa gettatagli da Pan Kmita.

Andatevene! — ripetè Pan Andrea.

Essi uscirono inchinandosi; la paura faceva palpitare i loro cuori e si chiamarono felici che la cosa fosse terminata così.

La notte che seguì fu scura e piovosa. Era l'otto di novembre: l'inverno si faceva sentire innanzi tempo, e insieme alla pioggia cadevano dei fiocchi di neve. Kmita non dormì; egli stette sulle mura con Charnyetski, col quale si era riconciliato nel frattempo, parlandogli delle sue ultime campagne. Charnyetski parlò delle scaramuccie cogli Svedesi a Pjedbor, a Jarnovtsi, e nei dintorni di Cracovia, di cui menò non poco vanto.

A un tratto Kmita volse la testa e tese attentamente l'orecchio.

— Vengono! — diss'egli.

— Chi viene nel nome di Dio?

Sento la cavalleria.

— È il vento, e lo scroscio della pioggia.

— Per le piaghe di Gesù! Questo non è vento! Sono cavalli! Io ho un orecchio finissimo. È una numerosa cavalleria che si avanza e già sono vicini. È venuto il momento! È venuto!

La voce di Kmita destò le guardie che sonnecchiavano poco lontano.

I monaci, i soldati, i nobili, accorsero sul piazzale.

Si gettarono miccie accese nei barili di pece preparati a bella posta, e che mediante leve furono fatti avanzare verso il parapetto. Una striscia di luce rossastra si estese lungo il ciglio della rupe, e allora la gente di Yasna Gora videro dinanzi a un drappello di trombettieri a cavallo, e dietro ad essi lunghe file d'armati con le bandiere spiegate.

I trombettieri suonarono ancora per qualche tempo, come se volessero esprimere con ciò tutto il potere degli Svedesi e terrorizzare addirittura i monaci.

Alla fine tacquero: uno di essi si staccò dalle file, e agitando una bandiera bianca si avanzò verso le porte.

— Nel nome di Sua Maestàgridò il trombettiere, — il Serenissimo Re degli Svedesi, Goti e Vandali; Gran Principe di Finlandia, Estonia, Carelia, Stettino, e Pomerania; principe di Rugen; Signore di Ingria, Vismark e Bavaria, Conte del Palatinato del Reno, aprite le porte.

Fatelo entrare, — disse Kordetski.

Fu aperta una sola imposta.

L'uomo a cavallo esitò un momento: alla fine scese a terra, entrò, e vedendo un gruppo di monaci chiese:

— Chi di voi è il superiore?

— Sono io, — rispose Kordetski.

L'uomo gli diede una lettera suggellata, e disse:

— Il conte Veyhard aspetta una risposta.

Il priore radunò tosto i monaci ed i nobili nella camera del consiglio per deliberare.

— Avanti! — disse pan Charnyetski a Kmita. — Venite anche voi.

Entrati che furono nella camera del consiglio, il priore ruppe il suggello e lesse:

«— Non è un segreto per voi, reverendi padri, con quale interessamento io ho sempre trattato cotesto santo luogo e la vostra Congregazione. Quindi io bramo che voi rimaniate nella convinzione, che, il mio favore, la mia buona volontà verso di voi han cessato nella presente congiuntura. Io non vengo oggi come un nemico ma come un amico. Ponete il vostro convento sotto la mia protezione senza timore, giacchè i tempi e le presenti circostanze lo esigono. In tal modo voi troverete la calma che desiderate, non meno che la vostra salvezza. Io vi prometto solennemente che la santità del luogo non sarà violata, la vostra proprietà distrutta. Sopporterò io stesso tutte le spese. Considerate pure il sommo profitto che ne trarrete, soddisfacendomi e confidando a me il convento. Tenete conto del mio avvertimento, acciocchè non v'incolga grave disgrazia da parte del terribile Generale Miller, i cui ordini saranno ancora più severi, essendo egli eretico e nemico della vera fede. Se egli viene, voi dovrete cedere alla necessità e ubbidire ai suoi comandi; e soffrirete gravi pene spirituali e materiali per non aver voluto seguire il mio consiglio».

La memoria dei benefici del conte Veybard fece tentennare i monaci. Vi fu qualcuno che credette vedere nel suo consiglio la preservazione da future disfatte e disgrazie. Ma nessuno fiatò, aspettando quello che direbbe Kordetski. Questi rimase alquanto in silenzio, ma le sue labbra si movevano, e la mente era assorta in una fervida preghiera: quindi egli disse:

— Un vero amico vien qui di nottetempo a spaventarci col sinistro suono delle trombe e viene alla testa di migliaia d'armati? Perchè non è egli venuto con sei o sette uomini, se sperava di esser ricevuto come si conviene ad un benefattore? Che cosa significano quelle fiere legioni di soldati, se non una minaccia nel caso di un rifiuto? E perchè stanno essi ora sotto queste mura, strombettando la loro bugia con sinistri e minacciosi suoni? Miei cari fratelli, che ognuno di noi innalzi il cuore a Dio, acciocchè il Santo Spirito c'illumini; e consideriamo bene ciò che la coscienza ci suggerisce per il bene di questo sacro recinto.

Dopo prolungato silenzio sorse la voce di Kmita, che disse: — A Krushyn Lisola gli chiese: Voi v'impadronirete del tesoro dei monaci? — Al che il conte, che ora sta sotto queste mura, rispose: — La Madre di Dio non vorrà domandare i talleri che stanno nelle casse del prioreOggi lo stesso conte Veyhard vi scrive, reverendi padri, ch'egli medesimo sopporterà tutte le spese, ed inoltre accrescerà i vostri mezzi. Considerate la sua sincerità.

— La guerra non è affar nostro, — aggiunse il padre Tomitski: — Sentiamo quello che ne dicono questi cavalieri, che si sono rifugiati sotto il manto della Madre di Dio.

Tutti gli occhi si rivolsero a Pan Zamoyski, il più anziano ed il più alto per dignità ed uffici. Egli si alzò e parlò in questi termini:

— Qui si tratta della vostra sorte, reverendi padri. Comparate la forza del nemico colla resistenza che voi potete opporgli. Qual consiglio possiamo darvi noi, vostri ospiti? Tuttavia, reverendi padri, giacchè domandate che cosa s'ha a fare, risponderò: Finchè non ci obbligano inevitabili circostanze non pensiamo alla resa: perchè è cosa vergognosa e indegna di noi di cercare con una vile sottomissione una pace incerta da un nemico senza fede. Noi ci siamo rifugiati con le nostre mogli ed i nostri figliuoli sotto la protezione della Santissima Vergine, ed abbiamo giurato di vivere con voi, e, se Iddio lo vuole, di morire con voi. E certamente la Santa Madre, che c'inspira nel cuore il desiderio di difenderla contro gli empi e sacrileghi eretici, vorrà secondare i pii sforzi dei suoi servi e sostenere la santa causa della sua difesa alla quale noi ci dedichiamo.

A questo punto Pan Zamoyski tacque. Kmita si slanciò verso il vecchio, e presagli la mano se la portò alle labbra. Tutti i presenti rimasero edificati da quel giovanile ardore, e vi videro un buon presagio. Il desiderio di difendere il convento si fece intenso in tutti i cuori.

— Sì! — esclamò il priore, — difendiamoci, fratelli, perchè gente assediata non ebbe mai sì validi aiuti come noi.

Fu deciso di mandare due frati al conte Veyhard con la risposta che le porte rimarrebbero chiuse e gli assediati si difenderebbero, alla quale azione li autorizzava la promessa del Re.

Ma nello stesso tempo gli inviati dovevano pregare umilmente il conte di desistere dal suo disegno o almeno di differirlo per qualche tempo, finchè i monaci avessero potuto chiedere il permesso del Padre Teofilo Bronyevski, principale dell'Ordine, che si trovava allora in Slesia.

Gli inviati, Padre Benedetto Yarachevski e Martseli Tomiski, uscirono per adempiere la loro missione mentre gli altri rimasero nel refettorio col cuore palpitante.

Era appena trascorsa una mezz'ora, quando i due padri riapparvero davanti al consiglio a testa, con le guancie pallide, e consegnarono a Kordetski una lettera del conte. Kordetski la lesse tosto.

Quand'ebbe finito egli fissò un lungo sguardo sugli astanti, poi disse con voce solenne:

— Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito santo! Nel nome della purissima e Santissima Madre di Dio! alle mura, amati fratelli in Cristo!

— Alle mura! alle mura! fu l'unanime risposta.

Poco dopo una viva fiamma illuminò il convento. Il conte Veyhard aveva dato ordine d'incendiare il paese situato ai piedi del monte. Il fuoco appiccato alle vecchie case divampava terribilmente, ed in breve la città fu trasformata in un braciere immenso. Grida di spavento e pietosi lamenti empirono l'aria. Molti fra i difensori vedevano per la prima volta i sanguinosi orrori della guerra, ed i loro cuori sussultavano per lo spavento e per l'orrore invincibile.

Siccome i cannoni del convento non avevano ancora risposto, i soldati saltarono giù da cavallo e si avvicinarono alla mura, scuotendo spade e moschetti, schernendo e minacciando gli assediati.

Kmita era al fianco di Charnyetski, proprio di fronte alla chiesa, e vedeva chiaramente ogni cosa. In mano teneva un arco che aveva ricevuto in eredità dal padre, il quale lo aveva catturato al celebre Aga a Hotsin. Udite le minacce e le invettive prese di mira uno dei più indemoniati, una specie di gigante, e lo stese a terra morto.

Un secondo uomo corse verso il morto volendo vedere se lo era realmente; ma l'arco fischiò di nuovo ed anche questi cadde sul petto del primo.

Intanto i pezzi da campagna, che il conte Veyhard aveva recati con , aprivano il fuoco. Egli non poteva dare l'assalto, avendo soltanto cavalleria; ma comandò di aprire il fuoco per terrorizzare i preti.

Kordetski comparve al fianco di Charnyetski, e con lui venne Padre Dobrosh, il quale comandava l'artiglieria del convento in tempo di pace ed alla festa sparava salve.

Il priore benedisse i cannoni e li additò al frate, il quale si avvicinò ad uno, il più prossimo, e con miccia accesa, toccò il focone.

Il rimbombo scosse l'aria, il fumo tolse la vista, ma dopo un istante il vento lo spazzava via. Nel punto preso di mira dal frate non rimaneva un sol uomo. Parecchi giacevano al suolo coi loro cavalli; gli altri erano fuggiti.

Le trombe suonarono di nuovo nei ranghi del conte, ma il suono si allontanava. L'incendio continuò finchè tutto fu consumato. Le tenebre avvilupparono i pendii della montagna d'Yasna Gora. Si udirono i nitriti dei cavalli, ma sempre più in distanza, sempre più deboli... Il conte ritornava a Kjepitsi. Kordetski s'inginocchiò sullo spalto.

Maria! Madre di Dio, — diss'egli con voce potente, — fa che colui il quale verrà ad assalirci dopo quest'uomo si ritragga nella stessa guisa... con la vergogna e la rabbia nell'anima.

Mentr'egli così pregava, le nubi si squarciarono sopra il suo capo, e la chiara e limpida luce della luna inargentò le torri, le mura, il priore inginocchiato e i carbonizzati avanzi della città.


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