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Il giorno successivo regnava a Yasna Gora la più perfetta calma; e i monaci ne approfittarono per continuare con maggior diligenza nei preparativi della difesa. Si fecero le ultime riparazioni alle mura e s'introdussero altri mezzi di resistenza più efficaci.
Kordetski si raddoppiava, si triplicava. Attendeva ai divini uffici, sedeva in consiglio, non abbandonava gl'infermi, e negl'intervalli visitava le mura, discorreva coi nobili e coi conterrieri. Il suo volto era diventato pallidissimo per le continue fatiche, ma una calma rassegnazione spirava dal suo viso e dai suoi occhi, e le labbra, moventisi in continua preghiera, annunziavano che l'uomo vegliava, pensava e pregava.
Ma, pur fidando nell'aiuto del Cielo, il priore non trascurava i mezzi terreni di salvezza. Egli mandava lettere in tutte le parti. Scrisse a Wittemberg, comandante in capo a Cracovia, implorando che risparmiasse il sacro luogo; scrisse a Giovanni Casimiro, il quale in Opola avea fatto l'ultimo sforzo per salvare un popolo irriconoscente; poi a Stefano Charnyetski; al conte Veyhard; al colonnello Sadovski, un boemo luterano, che serviva sotto Miller, ma che avendo un'anima nobile, erasi sforzato di dissuadere il fiero generale dall'attaccare il convento.
Il conte Veyhard, irritato dell'ostinata resistenza incontrata il giorno 8 di novembre, fece ogni sforzo per indurre il generale ad un nuovo tentativo contro Chenstohova o Yasna Gora. Sadovski invece dissuadeva il generale, facendogli considerare che la presa della più debole fortezza può costare molto tempo e molto sangue se gli assediati vogliono resistere sino alla morte.
— Ma i monaci non resisteranno, — gli rispose Miller.
— Credo appunto il contrario. Più ricchi essi sono, più ostinatamente difenderanno i loro tesori. Succederà qui quello che accadde in Germania, dove i frati diedero esempio di coraggio e di tenacità ai soldati. Il convento sorge sopra una montagna rocciosa, quasi inaccessibile ai minatori; le sue mura sono state riparate in questi pochi giorni e provvigioni non ne mancano. A tutto ciò aggiungete il fanatismo che anima i loro cuori e...
Miller riconosceva in cuor suo la giustezza delle ragioni di Sadovski, tanto più che egli considerava i monaci in generale, e quelli di Chenstohova in particolare, come stregoni; e il generale svedese aveva più paura degl'incantesimi che dei fucili; tuttavia, bramoso d'irritare e fors'anco di prolungare la disputa, disse:
— Voi parlate come se foste lo stesso priore di Yasna Gora, o come se coloro avessero già cominciato a pagarvi.
Sadovski era un coraggioso soldato e un uomo irritabile, e conoscendo appunto il proprio valore, per ciò stesso più facilmente si sentì offeso.
— Io non dirò più una parola, — rispose alteramente. E così dicendo salutò il suo superiore ed uscì.
Il giorno dopo la nuova spedizione contro Chenstohova veniva deliberata a Vyelunie.
Ciò non si tenne segreto: dimodochè il Padre Yatsek Rudnitski, prevosto del convento di Vyelunie, potè recarsi in tempo a Chenstohova colla notizia. Il povero frate non ammise un solo momento, che i frati di Yasna Gora avessero a difendersi: solo intendeva avvertirli, affinchè potessero pensare a chiedere favorevoli condizioni per la resa. Infatti, la notizia abbattè gli animi dei monaci, ma Kordetski rianimò il loro coraggio. Egli riscaldò quei cuori col calore del suo, e promise miracoli, presentò la morte sotto il più bell'aspetto e riuscì ad infondere in loro la sua fede, sicchè si prepararono alla difesa come solevano fare per le feste della chiesa.
I capi del presidio, Zamoyski e Charnyetski fecero da parte loro gli ultimi preparativi. Arsero tutte le baracche che stavano addossate alle mura del convento, e tutto ciò che poteva offrire un appoggio ai nemici per dare l'assalto. Distrussero anche i fabbricati vicini alla montagna, talchè tutta la fortezza apparve circondata da un anello di fuoco.
Da Vyelunie a Chenstohova il cammino è breve. Il 18 novembre l'assedio doveva incominciare. Ma il generale svedese calcolava ch'esso non dovesse durare più di due giorni, e che la fortezza sarebbe venuta a patti.
Intanto il priore Kordetski, preparò le anime degli uomini. Tutti intervennero ai divini uffici come ad una grande e lieta festa. Il priore stesso celebrò la messa, mentre tutte le campane suonavano, e dopo la messa fece una grande processione sugli spalti.
La processione fece il giro delle mura. Giunto in un dato punto il priore si fermò e benedisse il popolo, i soldati e tutta quell'eminenza che sovrastava al paese.
Eran sonate le due pomeridiane. La processione si trovava ancora sulle mura, quando ad un tratto si vide sollevarsi in lontananza una nube di polvere che si avanzava rapidamente.
Un grido sorse da un capo all'altro della processione.
Poi i cuori cessarono di palpitare e le lingue divennero mute. Ma la voce del priore si elevò in quel momento con forza; egli disse:
— Fratelli! rallegriamoci! L'ora della vittoria e dei miracoli s'avvicina. Noi ci rifugiamo, Madre nostra, sotto la tua santa protezione!
Intanto la nube di polvere si avvicinava sempre più, e già si distinguevano gli uomini armati le cui armi scintillavano ai raggi del sole.
Improvvisamente la cavalleria, che precedeva la fanteria, si avanzò di gran carriera, e giunta ai piedi del monte si divise tosto in piccoli drappelli. Alcuni di questi si sparpagliarono in un batter d'occhio pei villaggi per saccheggiare: altri cominciarono a cavalcare attorno alla fortezza, studiando le località, ed occupando i fabbricati più vicini.
Finalmente giunsero i reggimenti di fanteria e cominciarono a circondare il convento, cercando i punti più adatti per collocare i cannoni.
Il generale Miller mandò ai monaci un parlamentario coll'ordine di arrendersi. Egli aveva già suonata la tromba dinanzi alle porte; ma i difensori risposero senz'altro coi cannoni.
Ora che la gente della città era stata cacciata fuori da tutte le case, e che gli Svedesi le avevano occupate, conveniva distruggere al più presto quei fabbricati, affinchè il nemico, che vi aveva cercato riparo, non facesse danno al convento. Palle infocate cadevano sui rifugi degli Svedesi, facendo rovinare camini, tetti e muri, e colonne di fumo s'innalzarono tosto dai punti dov'erano piombati i proiettili.
L'incendio avvolgeva gli edifici. I reggimenti che avevano preso possesso delle case si diedero a precipitosa fuga, e, incerti della loro posizione, si misero a correre in tutte le direzioni. Cominciò così a spargersi la confusione. Rimossero i cannoni non ancora montati, per salvarli almeno dalla distruzione. Miller era stupito, sbalordito: egli non si era aspettato un simile ricevimento, nè che vi fossero tali tiratori a Yasna Gora.
Intanto scese la notte, ed il generale mandò un trombettiere a chiedere una tregua, che i padri concessero.
Ma alla mattina seguente essi riaprirono il fuoco subitamente; ed i colpi si succedevano l'un dopo l'altro con tal precisione, che ufficiali e soldati ne rimanevano attoniti e quasi intimoriti.
I cannoni del convento cagionarono in quel giorno una tal perdita agli Svedesi, che i più vecchi guerrieri erano confusi, e attribuirono la disgrazia all'essersi troppo imprudentemente accostati alla fortezza.
Ma il giorno successivo, se anche avesse apportato la vittoria, non prometteva gloria agli Svedesi. Che cosa sarebbe tata infatti la conquista di una inconcludente fortezza e d'un convento, per conquistatori di tante città cento volte meglio fortificate?
L'avidità d'un ricco bottino sosteneva il coraggio delle truppe, ma l'evidente spavento col quale gli squadroni polacchi si erano avanzati verso il convento, tremanti all'idea di commettere un sacrilegio, si era comunicato anche agli Svedesi.
In quell'epoca non solo il popolo era superstizioso, ed anche il generale Miller credeva ai sortilegi ed agl'incantesimi. Il vecchio generale non mostrava nessun timore, ma al mattino rimise al principe d'Hesse il comando dei punti più minacciati, si recò con l'artiglieria pesante sul lato settentrionale del convento, verso il villaggio di Chenstohova: colà preparò le trincee durante la notte per poter attaccare il convento alla mattina.
L'alba era appena comparsa quando cominciò il fuoco dell'artiglieria, ma questa volta gli Svedesi furono i primi. Il nemico non pensava ad aprire addirittura una breccia nelle mura; voleva solo terrorizzare gli assediati, coprire di palle la chiesa ed il convento, appiccare il fuoco, smontare i cannoni, ammazzare gente, spargere il panico.
Benchè piovessero le palle, il priore fece un'altra processione intorno alle mura. Un mare di fumo avvolgeva il convento e la chiesa.
A mezzogiorno il combattimento era così accanito, che gli Svedesi s'immaginavano di vedere al posto del convento e della chiesa un cumulo di rovine quando si dileguerebbe il fumo.
Kmita, che stava sugli spalti presso i cannoni puntati contro il villaggio di Chonstohova, da dove veniva il fuoco più micidiale, correva da un cannone all'altro, e respingendo i cannonieri si metteva all'opera egli stesso.
Le sue ciglia si corrugavano, gli occhi fiammeggiavano le sue guance erano accese, e sul suo viso si dipingeva una specie di gioia selvaggia. Il suo occhio d'aquila penetrava attraverso il fumo e la polvere. Le palle fischiavano intorno a lui, egli non badava a nulla. Mirava così bene che gli riescì di smontare uno dei pezzi del nemico. Pyotr Charnyetski stesso era meravigliato del suo tiro così preciso.
Alle tre dopo mezzogiorno un altro cannone svedese taceva, smontato dalla impareggiabile mira di Kmita. Un'ora dopo gli Svedesi rimovevano i rimanenti pezzi dai trinceramenti, vedendo che la posizione era insostenibile.
Kmita trasse un lungo sospiro.
— Riposatevi! — gli disse Charnyetski.
— Ho bisogno di mangiare, — diss'egli. — Soroka dammi qualche cosa.
Il vecchio sergente gli portò un po' di gorailka e qualche pesce fritto. Kmita si fece a mangiare avidamente, alzando ogni tanto gli occhi e guardando le bombe che volavano sopra la sua testa come se vedesse delle cornacchie. Venivano, non più da Chenstohova, ma dal lato opposto.
— Hanno dei meschini cannonieri, puntano troppo alto — disse Pan Andrea senza cessar di mangiare. — Guardate, passano tutte sopra il nostro capo.
Un giovane monaco udì quelle parole. Era un novizio che contava circa diciassette anni e che aveva una paura inesprimibile. Kmita, colla sua imperturbabile calma gli infondeva un poco di coraggio, e udendo le sue parole si rifugiò involontariamente vicino a lui.
— Fratello, voi avete una gran paura, — gli disse Kmita.
— Io sapevo — replicò il giovane monaco tremando, — che la guerra era una brutta cosa, ma non pensavo che fosse così orribile.
— Non tutte le palle uccidono; altrimenti non vi resterebbero più uomini al mondo.
— Io ho molta paura di quelle palle che scoppiano e feriscono così orribilmente.
— Quelle palle sono bombe, ed hanno da una parte un piccolo foro, dal quale passa un fusetto di carta o di legno. Nel fuso c'è della stoppa intrisa di zolfo, che s'incendia all'atto che spara il cannone. Se la bomba cade col fuso contro terra allora il fuoco raggiunge la polvere, e la palla scoppia. Ma l'esplosione avviene egualmente, quando il fuso brucia sino alla fine.
Aveva appena finito di dare al giovane frate queste spiegazioni, che una bomba cadde a breve distanza da loro.
Fortunatamente la bomba era caduta col fuso in su; ma lo zolfo non era spento giacche dal foro usciva del fumo.
— A terra! a terra! — gridarono alcune voci. Ma Kmita in quel momento si precipitò verso il terribile proiettile, con un leggiero movimento della mano prese il fuso, lo tirò fuori, e alzando la mano collo zolfo ardente, gridò:
— Guardate! È come se avessi strappato un dente a un cane! Adesso non ucciderà più neanche una mosca.
Gli astanti rimasero di sasso alla vista di quell'atto che sorpassava il coraggio umano; lo stupore rese muti tutti quanti.
Il giovane frate giunse le mani e guardò Kmita con muta ammirazione. Ma il fatto era stato veduto anche da Kordetski; questi si avvicinò, prese Pan Andrea per la testa, e fece su lui il segno della croce.
— Con uomini come voi Yasna Gora non si arrenderebbe giammai: ma io vi proibisco di esporre al pericolo una vita necessaria. Quando il fuoco sarà finito e il nemico leverà il campo, prendete quella bomba, levatene tutta la polvere, poi portatela a Nostra Signora. Questo regalo sarà più gradito a Lei che non tutte quelle perle e pietre preziose che le avete offerto.
— Padre, — rispose Kmita profondamente commosso... E non potè dire di più perchè la voce gli morì in gola. Le lagrime brillavano nei suoi occhi, ed il priore soggiunse:
— Andate dinanzi a lei con queste lagrime avanti che si asciughino. La sua grazia vi calmerà, vi conforterà, e vi colmerà di onori e di gloria.
Così dicendo lo prese pel braccio e lo condusse nella chiesa. Pan Charnyetski, seguendolo con lo sguardo, disse:
— Ho veduto molti uomini coraggiosi in vita mia, che non calcolavano il pericolo; ma quel Lituano è, o il D..
Qui Charnyetski si chiuse la bocca colla mano per non dire una parola che non conveniva alla santità del luogo.