Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO I.

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PARTE SECONDA

CAPITOLO I.

Secondo il parere de' suoi ufficiali, Miller riprese i negoziati. Fu mandato al convento un nobile polacco, rispettabile per età ed eloquenza. I frati lo ricevettero gentilissimamente, giudicando che soltanto in apparenza egli avrebbe accennato alla resa, ma che in realtà avrebbe accresciuto il loro coraggio, confermando le notizie giunte sino a loro in onta all'assedio, della sollevazione della Grande Polonia; del malcontento fra le truppe svedesi; dei negoziati di Giovanni Casimiro coi Cosacchi i quali parevan disposti di ritornare all'obbedienza; e finalmente della tremenda dichiarazione di Kan dei Tartari di voler marciare in aiuto del Re vinto, e perseguitare col ferro e col fuoco tutti i nemici suoi.

I frati e i nobili si strinsero intorno all'inviato nella camera del consiglio pendendo dalle sue labbra silenziosi ed attenti; per sua bocca pareva parlasse la sincerità in persona, mentre esprimeva il suo dolore per la sventura della patria.

— Ah! in quali tempi di desolazione viviamo, — esclamò con le lagrime agli occhi. — Qualunque aiuto giunge troppo tardi. Purtroppo è necessario sottomettersi al Re degli Svedesi! Per chi in realtà avete voi, reverendi Padri, impugnato le armi? Per chi combattete, senza risparmiare veglie, fatiche, patimenti, sangue? Forse per Giovanni Casimiro? Ma egli ha già rinunziato al nostro regno. Non sapete ch'egli ha già fatto la sua scelta, e che preferendo la ricchezza, le liete feste ed i piacevoli trattenimenti ad una corona di spine, ha già abdicato in favore di Carlo Gustavo? Voi non volete lasciarlo, ma egli ha abbandonato voi: voi non volete rompere la fede giurata, ma egli l'ha rotta; voi siete pronti a morire per lui, ma egli non se ne cura.

Il nostro legittimo Re è ora Carlo Gustavo! Non attirate adunque sul vostro capo la vendetta e la rovina, non gravate la vostra coscienza innanzi a Dio ed alla Santissima Madre sua, alzando la sacrilega mano, non contro gl'invasori, ma contro il vostro legittimo sovrano.

Queste parole furono ascoltate in silenzio, come se la morte aleggiasse su tutti quelli che erano radunati in quella camera. Qual cosa poteva essere più terribile che la notizia della abdicazione di Giovanni Casimiro? Era invero una notizia mostruosamente improbabile; ma quel vecchio nobile la esponeva al cospetto della croce, in presenza della immagine di Maria, e piangendo.

Ma se era vera, una resistenza prolungata diveniva in realtà una follia. Kordetski, il priore, non interruppe il silenzio sepolcrale ma i suoi occhi calmi, profondi, e penetranti, non perdevano di vista per un istante l'inviato.

Costui sentì quello sguardo indagatore e si trovò a disagio. Volle sostenere le apparenze della benignità, ma non potè. Cominciò a guardare con occhi irrequieti gli altri padri per evitare quelli del priore, e dopo una pausa riprese il discorso, dicendo:

— Non vi ostinate a resistere. Il risultato della vostra resistenza sarà la distruzione di questa Santa Chiesa, e (Dio non lo voglia) un crudele trattamento per voi, al quale dovrete sottomettervi. Fratelli miei! Reverendi e amatissimi padri! non attirate sui vostri cuori, sulle vostre coscienze siffatta responsabilità. Questo sacro ritiro non l'avete fabbricato voi, esso dee servire solo per voi! Permettete che fiorisca per molti secoli e sia la benedizione di questa terra.

Così dicendo il traditore aperse le braccia e scoppiò in lagrime. I nobili tacevano, i padri tacevano. Il dubbio si era impossessato di tutti. I loro cuori erano torturati e la disperazione stava per invaderli.

— Io attendo la vostra risposta, padrisoggiunse il venerabile traditore, chinando la testa sul petto. Kordetski a questo punto s'alzò, e con voce in cui non appariva la menoma esitazione, il menomo dubbio, parlò come ispirato da una visione profetica.

— La vostra asserzione che Giovanni Casimiro ci ha abbandonati, che ha abdicato e trasmesso i suoi diritti a Carlo Gustavo, è una calunnia. La speranza è rientrata nel cuore del nostro esule Re; in questo momento egli pensa ad assicurare la salvezza della patria, il proprio trono e ad aiutarci contro l'oppressione.

La maschera cadde in un attimo dal volto del traditore; la malignità e l'inganno vi si lessero chiaramente.

— Da chi aveste queste informazioni? — egli chiese.

— Da chi? — rispose il priore additandogli un gran crocifisso che pendeva da una parete. — Andate , davanti a Cristo, e ripetete quello che ci avete detto.

Il traditore non si mosse e cominciò a tremare.

Kordetski stava dinanzi a lui, grande, imponente, terribile come Mosè.

Andate! ripetete! — disse senza abbassare la mano, e con voce così potente che fece quasi tremare la volta della camera.

Seguì un breve silenzio; dopo di che si udì la voce dell'inviato, dire sommessamente:

— Io me ne lavo le mani.

— Come Pilato! — soggiunse Kordetski.

Il traditore non aggiunse altro. Uscì dalla camera, attraversò correndo il cortile, e quando si trovò fuori delle porte continuò a correre come se qualcuno lo cacciasse dal convento al campo svedese.

Zamoyski corse da Charnyetski e Kmita, che non erano nella sala, per narrar loro ciò che era avvenuto.

Quando Zamoyski tacque, Charnyetski disse:

— Per questo corre tanto. Gli tirerei volentieri una palla!

Ottima idea! — esclamò Kmita; e senz'altro applicò la miccia che teneva in mano al cannone.

Si udì il colpo prima che Zamoyski e Charnyetski s'accorgessero di quello che succedeva. Zamoyski gridò:

— In nome di Dio! che avete fatto? Egli era un inviato.

— Ho fatto maledisse Kmita, — perchè ho fallito il colpo. Egli è in piedi e corre ancora.

Frenatevi, — disse Zamoyski, — essi ingiurierebbero poi i nostri inviati.

Ma Charnyetski era contento in cuor suo, poichè Kmita lo udì mormorare fra i denti:

— Almeno quel traditore non tornerà più.

— Se non verrà quello ne verranno altri; — disse Zamoyski, — e voi, signori, non fate opposizione ai negoziati, perchè quanto più essi tirano in lungo, tanto meglio è per noi. Il soccorso, se Dio lo manderà, avrà tempo di giungere. L'inverno si avvicina e renderà l'assedio sempre più difficile. La dilazione significa perdita pei nemici e profitto per noi.

Zamoyski ritornò poi nella camera del consiglio dove continuava la discussione. Le parole del traditore avevano sgomentato le menti ed i cuori di quegli uomini. Essi non credevano all'abdicazione di Giovanni Casimiro, ma l'inviato aveva mostrato loro l'immenso potere degli Svedesi, che in quei giorni di successo avevano dimenticato.

Posnania, Varsavia, Cracovia, senza contare molti castelli, avevano aperto le loro porte al conquistatore: come potrebbe Yasna Gora difendersi fra un generale diluvi di sconfitte?

L'intera nazione era ormai simile ad una nave sepolta negli abissi del mare, e quel convento emergeva come la cima d'un albero in mezzo ai flutti sconvolti dalla bufera. La maggior parte dei nobili e dei frati, pensava che anch'essi dovrebbero perire travolti dalle onde burrascose, eppure nel momento in cui Zamoyski rientrava nella sala, Kordetski diceva:

Fratelli! implorate la nostra Santa Patrona che ci salvi, come la imploro io. La responsabilità pesa su me più che su voi. Ma io ho la fede, mentre voi sembrate vivere nel dubbio. Ma chi di voi oserà dire che la nostra celeste Regina non può proteggerci e mandarci la vittoria? Dunque supplichiamola notte e giorno, finchè colla nostra fermezza, col sacrificio del corpo e della salute, noi riusciremo ad intenerire il suo cuore.

Padre, — disse un nobile, — non è quistione per noi delle nostre vite. Noi tremiamo pensando agl'insulti cui esponiamo l'immagine sacra, se il nemico prendesse d'assalto il convento.

— E noi non vogliamo prenderci la responsabilitàaggiunse un altro.

L'opposizione andava crescendo e si faceva più audace perchè molti monaci tacevano. Il priore, in luogo di rispondere direttamente, incominciò a pregare.

— O Madre del Tuo unico Figlio! — diss'egli, alzando le mani e gli occhi al cielo. — Se Tu ci hai visitati finchè nella Tua Capitale noi dessimo un esempio agli altri di costanza, di coraggio, di fedeltà verso Te e la Patria e il Re, abbi pietà di coloro che vogliono arrestare la sorgente delle tue grazie ed impedire i tuoi miracoli. Qual uomo si prenderà sulle sue spalle la responsabilità d'impedire i miracoli di Maria Vergine per la salvezza di questo regno e della fede cattolica? — soggiunse rivolgendosi ai frati ed ai nobili.

— Un tal uomo non si troveràdisse Zamoyski.

La preghiera e le parole del priore rianimarono i cuori degli uomini anche più vecchi, ma il seme velenoso sparso da quel traditore inviato dagli Svedesi produsse i suoi frutti.

La notizia dell'abdicazione di Giovanni Casimiro e dell'improbabilità di ricevere dei soccorsi, si propagò fra le donne, i servi ed i soldati, sui quali fece la peggior impressione. Cominciarono a cospirare in segreto, ed un cannoniere tedesco, di sospetta fedeltà, propose che i soldati stessi s'intendessero con gli Svedesi in merito alla resa della fortezza. Molti accolsero la proposta, ma taluni la osteggiarono apertamente ed informarono senz'indugio il priore. Kordetski che sapeva accordare la fede nel divino potere colla più grande avvedutezza umana, soffocò sino dal suo inizio il tradimento che si trainava. Espulse gli autori della congiura, raddoppiò le paghe alla guarnigione, e volle da questa un giuramento di difendere il convento fino all'ultima goccia di sangue.

Nello stesso tempo egli raddoppiò la vigilanza, risoluto a tenere maggiormente d'occhio i soldati mercenari, come pure i nobili e gli stessi suoi monaci. E non trascurò di continuare i negoziati, avendo compreso che Miller desiderava ardentemente di proseguirli. Questo desiderio consolava il priore, perchè ne deduceva che le cose non andavano troppo bene pel nemico se era tanto ansioso di finirla.

Intanto passavano i giorni, in cui i cannoni ed i moschetti non tacevano completamente ma lavoravano assai più le penne. In tal modo l'assedio si prolungava, e l'inverno si faceva sentire sempre più rigido. Sulle sommità dei Carpazi apparivano fosche nubi, presaghe di imminenti bufere. Alla notte gli Svedesi si accoccolavano intorno ai fuochi, preferendo morire colpiti da una palla piuttosto che dal gelo.

I frati, in sulle prime, finsero desiderio di arrendersi. Il padre Dobrosh e il padre Sebastiano Stavitski si recarono da Miller quali inviati. Essi gli diedero grandi speranze di accordo. Appena ebbero parlato in tal senso, il generale aprì le braccia quasi volesse abbracciarli.

Non si trattava più di Chenstohova ma di tutta la patria. La resa di Yasna Gora avrebbe abbattuto l'ultima speranza dei patrioti, e spinta finalmente la Repubblica nelle braccia del Re di Svezia, mentre, al contrario, quella vittoriosa resistenza rinfrancherebbe tutti i cuori e susciterebbe una nuova e terribile guerra contro l'invasore. Miller sapeva ciò, e sentiva che cosa aveva intrapreso e qual terribile responsabilità gli pesava sulle spalle; sentiva, che ora lo attendeva, o il favore del Re col bastone di maresciallo, con onori, con un titolo, oppure la sua rovina. E siccome aveva già cominciato a convincersi che non riuscirebbe ad impadronirsi del convento, ricevette i frati con inauditi onori, come se fossero stati ambasciatori dell'imperatore di Germania o del Sultano. Egli li invitò ad una festa, bevette alla loro salute ed a quella del priore e di Pan Zamoyski, e finalmente fece loro delle condizioni così favorevoli per la resa, che non dubitò punto ch'essi le accetterebbero con premura.

I padri lo ringraziarono umilmente, come si conveniva a monaci; presero il documento e se ne andarono. Miller promise ai suoi l'apertura delle porte per le otto della mattina successiva. Regnò una gioia indescrivibile nel campo degli Svedesi. I soldati, lasciate le trincee, si avvicinarono alle mura e cominciarono a discorrere con gli assediati.

Ma fu annunziato, da parte del convento, che in un affare di tanta importanza il priore doveva consultare tutta la congregazione; i monaci quindi domandarono un giorno di dilazione. Miller acconsentì. Intanto i frati ed i nobili discussero nella camera del consiglio fino a tarda notte.

Quantunque Miller fosse un vecchio guerriero praticissimo di negoziati in tempo di guerra, pure il suo cuore batteva inquieto quando la mattina seguente vide venire ai suoi quartieri due monaci. Non erano gli stessi padri venuti due giorni prima, Padre Bleshynski veniva primo tenendo in mano una lettera suggellata; lo seguiva padre Malahovski, colle mani incrociate sul petto, a testa bassa.

Il generale li ricevette circondato dallo Stato Maggiore e dai colonnelli; e com'ebbe risposto convenientemente all'umile inchino di padre Bleshynski, prese la lettera o cominciò a leggerla.

Ma tutto ad un tratto la sua faccia cangiò terribilmente; un'onda di sangue gli salì alla testa; gli occhi parvero schizzargli fuori dall'orbite, il collo gli s'irrigidì, e una collera terribile gli fece rizzare i capelli sotto la parrucca. Per un momento non potè proferire parola; accennò con la mano la lettera al principe di Hesse, che la scorse rapidamente. Poi, rivoltosi ai colonnelli, disse con calma:

— I monaci dichiarano semplicemente che essi non possono rompere la fede a Giovanni Casimiro prima che il Primate proclami un altro Re: in altri termini, non vogliono riconoscere Carlo Gustavo.

Qui il prince d'Hesse rise, Sadovski fissò con ischerno il generale, e il conte Veyhard si attorcigliò i baffi con rabbia. Un terribile mormorio di dispetto sorse fra i presenti.

Allora Miller, battendo le palmo sui ginocchi, gridò:

Guardie, guardie?

Quattro moschettieri apparvero tosto sulla porta.

Prendete questi uomini sbarbatigridò il generale — e imprigionateli! E voi Pan Sadovski farete annunziare da un trombettiere sotto le mura del convento che se essi sparano un solo colpo di cannone io impiccherò immediatamente questi due monaci.

I due frati furono condotti via fra gli scherni dei soldati. I moschettieri posero loro in testa i propri cappelli, e li condussero a bella posta contro ostacoli. Quando l'uno dei due monaci inciampava o cadeva, i soldati davano in uno scoppio di sconce risa, poi sollevavano il caduto colla canna del moschetto; e fingendo di sostenerlo, lo colpivano nella schiena e alle spalle. Alcuni gettavano loro addosso lo sterco dei cavalli; altri prendevano manate di neve e ne strofinavano loro la testa rasa e ne imbrattavan l'abito. Altri ancora, strappati i cordoni dalle trombe, ne allacciavano un capo al collo dei frati e li tiravano per l'altro capo come se conducessero bestiame alla fiera, gridando parole sconce.

Ma i frati sopportavano tutto in silenzio e con santa rassegnazione.

La minaccia di Miller fu annunciata sotto le mura da un trombettiere come egli aveva ordinato.

I padri si spaventarono; i cannoni tacquero.

Si radunò il consiglio. Non sapevano che cosa decidere. Ma dopo alcune ore il generale stesso mandò un messaggero a chiedere ai monaci che cosa intendevano fare.

Essi risposero che, fino a quando i due padri non fossero liberi, non potevano aver corso i negoziati: imperocchè, come potevano essi credere che il generale osserverebbe le condizioni se a dispetto delle leggi comuni a tutto il mondo, egli imprigionava inviati, il cui severo carattere i barbari stessi rispettavano?

A tale dichiarazione non era facile risponder tosto. Intanto la più terribile incertezza opprimeva gli assediati e abbatteva il coraggio e lo zelo dei difensori.

Gli Svedesi scavarono in fretta nuove trincee, empirono sacchi e canestri di terra, e collocarono altri cannoni. Alcuni soldati mezzo ubbriachi, bestemmiavano orribilmente contro la Madre di Dio e la fede cattolica. Gli assediati, per rispetto della vita dei padri, dovevano ascoltare pazientemente.

La rabbia toglieva il respiro a Kmita. Egli si strappava i capelli e gli abiti, si torceva le mani, ma doveva sottomettersi e frenare la sua collera.

Frattanto gli Svedesi sempre più si avvicinavano.

Inoltre, un nuovo incidente mise alla disperazione gli assediati. Stefano Charnyetski nel ceder Cracovia, aveva ottenuto la condizione di andarsene colle sue truppe e rimanere con esse in Slesia sino alla fine della guerra. Settecento fanti delle sue truppe, sotto il comando del colonnello Wolf stavano vicino al confine, e fidando nei patti stipulati non stavano in guardia. Il conte Veyhard persuase Miller di far prigionieri quegli uomini.

Miller mandò lo stesso conte Veyhard con due mila uomini a cavallo, i quali, varcando il confine di nottetempo, assalirono quelle truppe nel sonno e le fecero prigioniere sino all'ultimo uomo. Miller comandò che si schierassero intorno alle mura, per mostrare ai monaci che quel soccorso ch'essi aspettavano avrebbe servito a lui per conquistare Chenstohova.

La vista di quella brillante guardia del Re, trascinata intorno alle mura, straziava l'anima agli assediati; poichè nessuno dubitava che Miller li forzerebbe a dare la scalata per i primi.

Per conseguenza fra le truppe del chiostro si sparse il panico. Alcuni soldati cominciarono a spezzare le armi, esclamando che non eravi più scampo e che bisognava arrendersi. Anche i cuori dei nobili erano accasciati; alcuni di essi presentaronsi di nuovo a Kordetski, supplicandolo che avesse pietà dei loro figliuoli, del sacro luogo, della immagine venerata e della congregazione.

Il priore pensava anzitutto alla liberazione dei due frati, e trovò infatti il miglior ripiego. Scrisse a Miller che sacrificava volontieri quei fratelli per il bene della chiesa, ma che tutti saprebbero che cosa si poteva aspettarsi da lui e qual conto si poteva fare delle sue promesse.

Miller non credette subito alle parole di Kordetski, ma sperò che l'assedio si avvicinasse alla fine. Egli rimandò quindi uno dei frati, impegnandolo mediante giuramento a dichiarare l'inutilità della resistenza. Il monaco, infatti, ripetè fedelmente tutto, ma i suoi occhi parlavano un linguaggio diverso. Infine disse:

— Io apprezzo meno la mia vita che il bene della congregazione. Aspetto le deliberazioni del consiglio, e qualunque cosa voi deciderete, io riferirò fedelmente dinanzi al nemico.

«I monaci sono ansiosi delle trattative, ma non possono fidarsi d'un generale che imprigiona gl'inviati» tale fu la risposta che portò al generale. Il successivo venne al chiostro l'altro frate, ma ne ritornò coll'analoga risposta.

Dopo ciò, ambedue vennero condannati a morte. La sentenza fu letta ai due padri in presenza dello Stato Maggiore e dei più distinti ufficiali.

Nello stesso tempo i soldati, approfittando della tregua, si spinsero fin sotto le mura, non cessando di deridere, di insultare, e di minacciare gli assediati. A frotte si arrampicavano su per la montagna come se volessero dare l'assalto.

In quel momento Kmita non fu in grado di contenersi e tirò una cannonata che buttò giù a ruzzoloni tutti quelli che erano a tiro. Fu come una parola d'ordine; poichè ad un tratto, senza previo ordine, anzi, a dispetto degli ordini, tutti i cannoni furono in azione: tutti i moschetti spararono.

Gli Svedesi, esposti al fuoco da ogni lato, fuggivano con grida e lamenti, molti rimanevano morti per la strada.

Charnyetski si precipitò verso Kmita, e gli disse:

Sapete che per ciò la ricompensa è una palla in testa?

— Lo so: per me fa lo stesso. Lasciatemi...

Intanto nacque una grande confusione nel campo svedese: ma era tanto evidente che erano stati essi i primi a violare la tregua, che Miller istesso riconobbe in cuor suo che gli assediati avevano ragione.

E quel ch'è più, Kmita non sospettò nemmeno che coi suoi tiri aveva forse salvato la vita ai padri; Miller, si convinse che i frati, erano realmente pronti a sagrificare i loro due fratelli per il bene della chiesa e del convento, quindi pensò bene di sospendere l'esecuzione e di rimandare i due monaci per non esporsi alla terribile vendetta degli assediati.

Kordetski pianse quando li vide: tutti corsero ad abbracciarli, e stupirono all'udire dalla loro bocca, che dovevasi appunto a quelle cannonate se essi erano salvi. Il priore, che prima era andato in collera, chiamò subito Kmita, e gli disse:

— Io ero in collera perchè pensavo che voi aveste cagionato la rovina dei due padri: ma Nostra Signora per certo vi ha inspirato. Quest'è un segno del suo favore: rallegratevene.

Carissimo Padre, non vi saranno più negoziati, nevvero? — domandò Kmita, baciandogli la mano.

Ma non aveva ancora finito di parlare, che si udì la tromba alle porte, e un nuovo inviato di Miller entrò nel convento.

Costui era Pan Kuklinovski, colonnello dello squadrone di volontari aggregato agli Svedesi. I più gran malandrini, senza onore fede, servivano in quello squadrone. Questa banda, composta di gente sfuggita Dio sa come al capestro, era qualche cosa di simile all'antica banda di Kmita, colla differenza, che gli uomini di Kmita si battevano come leoni, mentre questi erano piuttosto dati a saccheggiare od a violentare nobili dame.

Kuklinovski nutriva un odio mortale contro i frati di Yasna Gora, e perciò appunto chiese di essere inviato come ambasciatore nel convento, dove si proponeva di spiare attentamente ogni cosa e di seminare zizzania fra i difensori. Siccome era da lungo tempo noto a Charnyetski, si accostò alla porta guardata da lui, ma Charnyetski in quel momento dormiva, ed in vece sua trovò Kmita, che lo condusse nella camera del consiglio.

Kuklinovski squadrò Pan Andrea e riconobbe in lui un vero soldato. — Non m'immaginavo che i frati avessero uomini come voi al loro serviziodiss'egli. — Qual'è il vostro grado, in grazia?

Kmita sentiva fremere di sdegno l'anima sua alla vista dei Polacchi che servivano gli Svedesi; tuttavia rispose freddamente e con calma.

— Io sono Babinich, dapprima colonnello nell'esercito di Lituania, ed ora volontario al servizio di Nostra Signora.

— Ed io sono Kuklinovski, puro colonnello, del quale dovete aver udito parlare; giacchè durante più d'una guerra gli uomini pronunciarono frequentemente il mio nome, e non solo qui nella Repubblica ma anche in terre straniere.

— M'inchino a voi, — replicò Kmita. — Ho, infatti, sentito parlare di voi.

— In Lituania vi sono famosi soldati, — soggiunse Kuklinovski. — Conoscete certo Kmita?

La domanda giunse così inaspettata che Pan Andrea rimase come inchiodato al suolo.

Perchè mi chiedete conto di lui? — diss'egli dopo un istante.

Perchè io lo amo sebbene non lo conosca; perchè fra noi vi è una grande affinità ed io credo che siamo i soli veri soldati che esistono nella Repubblica. Lo conoscete personalmente?

— Che il diavolo ti porti! — pensò Kmita. Ma ricordandosi del carattere d'inviato che rivestiva in quel momento il suo interlocutore, rispose: — Io non l'ho conosciuto personalmente. Ma ora entrate perchè il consiglio vi aspetta. Così dicendo accennò all'inviato la porta, dalla quale usciva un frate per riceverlo. Kuklinovski si voltò verso Kmita, dicendogli: — Avrei piacere se, al mio ritorno, voi, e non altri, mi riconducesse.

— Vi aspetterò qui, — rispose Kmita, che, rimasto solo, cominciò a passeggiare innanzi e indietro con passo concitato, fremente di collera perchè quel mascalzone, quel traditore lo considerava come un suo camerata.

Il consiglio durò a lungo. Intanto si era fatto notte e Kmita aspettava sempre.

Finalmente Kuklinovski comparve. Pan Andrea non poteva vedere la faccia del colonnello, ma sentendolo respirare affannosamente ne arguì che la sua missione era fallita. Camminarono per alcun tempo in silenzio, ma Kmita, che voleva sapere qualche cosa, gli disse alfine, fingendo una certa simpatia:

— Per certo, voi ritornate senza aver ottenuto nessun risultato. I frati sono caparbi; e sia detto fra noi, fanno male, perchè non potremo difenderci da soli in eterno.

Kuklinovski si fermò e lo tirò per la manica. — Voi pensate dunque che fanno male? Voi avete buon senso. Questi monaci hanno voglia di esser fatti a pezzi.

— Per me non è questione dei frati, — disse Kmita, — ma di questo luogo, che è luogo santo. Più si tarda ad arrendersi, e più severe saranno le condizioni, ammenochè sia vera la voce che qua e gli Svedesi sono battuti, e che il Khan dei Tartari viene in nostro aiuto, nel qual caso Miller dovrà ritirarsi.

— Si parla infatti del Khan dei Tartari, ma Miller non si ritirerà: fra un paio di giorni arriverà l'artiglieria pesante e noi scoveremo queste volpi dalla loro tana,

— Eccoci giunti alla porta! — disse Kmita. — Qui devo lasciarvi.

Aspettate un momento, devo dirvi ancora due parole, — soggiunse Kuklinovski. — Voi mi sembrate avveduto e previdente, e siete senza dubbio un vero soldato. Come mai vi siete cacciato qui fra i frati? Stareste molto meglio in nostra compagnia. Il generale Miller vi riceverà come si conviene, ve lo garantisco: voi mi avete toccato il cuore e vi parlo nel vostro interesse. Se vi fa ostacolo un bricciolo di virtù, buttatela lontano. Molti uomini onesti stanno con noi. Chi prende le parti del nostro misero Casimiro? Nessuno, eccettuato Sapyeha, che sta sottomettendo Radzivill.

Queste ultime parole eccitarono la curiosità di Kmita.

Sapyeha sta sottomettendo Radzivill? — egli esclamò. — È possibile?

— Sì. Egli lo ha combattuto strenuamente nella provincia di Podlyasie, ed ora lo assedia in Tykotsin. Ma noi non accorriamo in suo soccorso.

Perchè?

Perchè il Re di Svezia desidera che si distruggano reciprocamente. Radzivill non fu mai leale. Egli non pensò mai ad altri che a se stesso.

— Dunque gli Svedesi non lo soccorreranno?

— Chi dovrebbe muovere in suo aiuto? Il Re è in Prussia, perchè colà ferve la gran quistione. L'Elettore si è barcamenato finora ma adesso deve decidersi. La Grande Polonia è in guerra; Wittemberg è necessario a Cracovia. Donglas ha da fare altrove, sicchè tutti hanno lasciato Radzivill a cavarsela da . Se lo divori pure Sapyeha. Questi ha fatto progressi, ma verrà pure la sua volta. Il nostro Re gli romperà le corna. Per ora nessun potere gli sta di fronte, giacchè tutta la Lituania milita al suo fianco.

— Ma Jmud?

Pontus de la Gardie lo tiene fra i suoi artigli.

— Come mai Radzivill è caduto, egli, il cui potere uguagliava quello dei Re?

— Il suo potere dilegua come neve al sole. Ma basta di lui. Che ne dite della mia proposta? Se non volete venire subito pensateci fino a domani, fino a dopodomani, ma decidetevi prima che giunga la grossa artiglieria.

— Voi attirate gli altri dalla parte degli Svedesi perchè siete un inviato degli Svedesi, — disse Kmita. — ma chi sa che cosa pensate in cuor vostro? Vi sono di quelli che servono gli Svedesi, ma che in fondo in fondo li odiano.

Parola di cavaliere! — rispose Kuklinovski, — che io parlo sinceramente, e non per adempiere alle mie funzioni d'inviato.

— Voi mi fate la proposta di seguirvi per conto vostro?

— Sì.

— E posso io rispondervi nello stesso modo?

— Sì.

— Allora ascoltatemi, Pan Kuklinovski. — Qui Kmita si chinò, e guardando negli occhi il marrano, soggiunse — Voi siete un furfante, un traditore, una canaglia. Ne avete abbastanza o volete che vi sputi in faccia?

Kuklinovski era così stupefatto, così stordito, che per un minuto rimase estatico. Ma, riavendosi, sguainò la sciabola e fece per precipitarsi su Kmita. Questi lo afferrò con la sua mano di ferro, gli torse il braccio, gli strappò di mano la sciabola, lo fece girare come un guindolo, e dandogli un potentissimo calcio, esclamò:

— Questo lo per conto mio al traditore, non all'inviato.

Kuklinovski ruzzolò giù dal pendìo come una pietra. Pan Andrea rientrò pacificamente e chiuse la porta.

Aveva fatto appena pochi passi, quando si vide venire incontro il priore, che gli chiese:

— Che cosa faceste con Kuklinovski tanto tempo?

— Sono entrato in confidenza con lui — rispose Kmita.

— E che cosa ha detto?

— Ha detto che è vero quello che si dice del Khan dei Tartari.

— Sia lodato Iddio!

— Ha detto che la Grande Polonia si muove.

— Sia lodato Iddio!

— Che i soldati sono sempre più malcontenti di rimanere cogli Svedesi; che in Podlyasie il Voivoda di Vityebsk ha battuto il traditore Radzivill; che l'intiera Lituania è dalla sua parte, salvo Jmud, di cui Pontus de la Gardie s'è impadronito.

— Sia lodato Iddio! E poi che disse?

— Ha tentato di persuadermi a passare dalla parte degli Svedesi.

— Io me lo aspettava, — soggiunse il priore; — è un uomo perverso. E voi che cosa avete risposto?

— L'ho mandato giù pel pendìo a ruzzoloni.

Il frate serbò per alcuni istanti il silenzio, indi disse:

— Voi agiste onestamente, ma temo che abbiate guadagnato un altro nemico. Colui è un uomo terribile.

— Uno più, uno meno! — disse Kmita. Poi, chinatosi all'orecchio del frate, soggiunse: — Il principe Bogoslavio... quello sì è un nemico terribile.


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