IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Finalmente sì fece vivo il terribile Wittemherg. Un rinomato ufficiale recò al convento una sua severa lettera, nella quale imponeva ai frati di cedere la fortezza a Miller.
«In caso contrario — scriveva Wittemberg — se voi non smettete ogni resistenza e non vi arrendete al detto generale, potete star sicuri che vi aspetta una punizione la quale servirà d'esempio agli altri. E delle vostre sofferenze non avrete da incolparne che voi stessi.»
I padri, ricevuta questa lettera, risolsero, come al solito, di procrastinare, adducendo ogni giorno nuove difficoltà. Passarono quindi altri giorni, in cui si alternarono cannonate e trattative.
Miller dichiarò ch'egli voleva solo introdurre una guarnigione in Yasna Gora per assicurare il convento contro le bande dei malandrini. I padri risposero, che, giacchè la loro guarnigione appariva sufficiente contro così potente duce, tanto più sarebbe bastata contro quelle bande. Essi quindi supplicavano Miller, per tutto ciò che v'era di sacro, per il rispetto che il popolo aveva pel luogo, per Iddio e per Maria Vergine che se ne andasse a Vyelunie, o in qualunque altro luogo gli piacesse. Ma la pazienza degli Svedesi era esausta.
In sulle prime Miller non poteva capacitarsi perchè, mentre tutto il paese s'era arreso, questa sola piazza resisteva così disperatamente.
Ma coll'andare del tempo, il generale comprese, benchè il suo cervello fosse alquanto ottuso, quali erano gl'intendimenti di Kordetski. Quel frate umile e modesto, sapeva quello che faceva e conosceva la sua missione; egli s'era eretto come un profeta ad illuminare i popoli coll'esempio, e con potente voce gridava a tutto il paese: Sursum corda!
Dopo tale scoperta il vecchio guerriero provò un vero sgomento. Tutto ad un tratto quel convento di Chenstohova gli parve una potente fortezza difesa da un Titano. Il dubbio cominciò ad insinuarsi nel suo cuore. Al pensare che la colpa dell'insuccesso si riverserebbe su lui, si fece a cercare il responsabile; e la sua collera pesò anzitutto sul conte Veyhard. Sorsero contese e recriminazioni nel campo, e la dissensione infiammò i cuori l'un contro l'altro.
Miller si confortò col pensiero che le mura del convento non reggerebbero contro i grossi cannoni d'assedio.
— Se quel nido di superstizioni e d'incantesimi andrà in rovina, le cose muteranno aspetto, ed il paese tosto si quieterà, — disse fra sè.
Mentre si attendevano i grossi cannoni, egli comandò che si sparassero i piccoli. Ma invano le palle infocate cadevano sui tetti; quando il fumo si dileguava il convento appariva grandioso come sempre, con le sue torri che si innalzavano fieramente verso la volta azzurra del cielo.
Inoltre gli squadroni polacchi, eccettuato il reggimento di Kuklinovski, si rifiutavano sempre più a prender parte all'assedio e si mostravano ogni giorno più ostili. Miller minacciò il colonnello Zbrojek della corte marziale; ma questi gli rispose in presenza di tutti gli ufficiali
Gli ufficiali degli squadroni polacchi vagavano pel campo svedese cercando contese cogli ufficiali. Miller emanò severi ordini contro i duelli, e finalmente vietò ai Polacchi l'entrata nel campo. Da ciò ne venne che, alla fine, i due campi si trovarono l'uno di fronte all'altro.
Una mattina sorse un panico terribile nella trincea verso ponente, perchè i soldati affermavano di aver veduto distintamente una donna che indossava un abito celeste, in atto di difendere la chiesa ed il convento. Invano Miller accorse e spiegò loro che la nebbia ed il fumo li avevano mistificati, ed invano li minacciò dei più severi castighi. In sulle prime nessuno lo volle ubbidire specialmente perchè il generale stesso non poteva nascondere il suo evidente stupore.
Subito dopo si sparse fra le truppe l'idea, che nessuno di coloro che prendevano parte all'assedio sarebbe morto di morte naturale. Molti fra gli ufficiali dividevano quella credenza, e Miller stesso non era scevro di paura; per il che egli fece venire dei ministri luterani ed impose loro di scongiurare l'incanto. E costoro giravano pel campo cantando salmi: ma la paura erasi talmente diffusa, ch'essi udirono dalle bocche dei soldati: «È vano ogni vostro potere! Ogni vostro sforzo è vano!»
Finalmente Miller si decise di inviare Pan Sladkovski, ciambellano di Rava, agli assediati.
— Sia lodato Gesù Cristo! — questi disse presentandosi al consiglio.
— Per tutti i secoli! — risposero i monaci.
E Kordetski aggiunse tosto: — Benedetto sia colui che lo serve.
— Io lo servo — rispose Sladkovski — e che io lo serva più fedelmente più ch'io non serva Miller, lo dimostrerò tosto. Miller mi manda a voi per persuadervi di arrendervi. Ma io ho accettato l'ufficio per dirvi: Difendetevi, non cedete, perchè gli Svedesi si trovano a mal partito.
I monaci ed i laici rimasero attoniti. Pan Zamoyski esclamò tosto: — Per quanto è vero che amo Dio questi è un onest'uomo! — e slanciandosi verso di lui prese a stringergli forte la mano.
— Che io non sono un ribaldo ve lo dimostrerò immediatamente, — soggiunse Pan Sladkovski. — Venni qui per darvi buone notizie. Ringraziate Iddio e Nostra Signora che vi ha scelti quali istrumenti per cangiare il cuore degli uomini. La patria, animata dal vostro esempio ed incoraggiata dalla vostra valorosa difesa, incomincia a scuotere il giogo degli Svedesi. Nella Grande Polonia ed in Mazovia è scoppiata la rivolta. In alcuni luoghi hanno inflitto già terribili punizioni al nemico. E tutto ciò, di chi è opera? È opera vostra.
— È un angelo che parla! — esclamarono i monaci ed i nobili, alzando le mani al cielo.
— Non un angelo, ma Sladkovski per servirvi. Ma ascoltate ancora. Il Khan, memore delle gentilezze usategli dal fratello del nostro legittimo Re Giovanni Casimiro, è in marcia per venire in suo aiuto, ed ha già oltrepassato i confini della Repubblica. I Cosacchi si opposero, ed egli li ha fatti a pezzi, ed ora egli si avanza con un'orda di undici mila uomini verso Leopoli ed Hmelnitski, nolens volens, viene con lui.
— Sia lode a lui! — ripetevano tutti come sopraffatti dalla gioia.
Ma Pan Sladkovski, agitando le mani, gridò ancor più forte:
— Pan Stefano Charnyetski, cui gli Svedesi violarono la fede, rimase libero. Giovanni Casimiro raccoglie truppe e può ritornare da un momento all'altro in patria. I Capitani generali Pototski e Lantskoronski e tutte le loro truppe, non aspettano che l'arrivo del Re per disertare gli Svedesi e sguainare le spade contro essi. Intanto si stabiliscono accordi con Sapyeha e col Khan. Gli Svedesi sono terrorizzati.
È impossibile descrivere quello che provarono in cuor loro i monaci ed i nobili. Alcuni piangevano, altri cadevano in ginocchio, altri ancora ripetevano: — Non può essere! Il che vedendo, Sladkovski si appressò al gran Crocifisso che pendeva dalla parete, e disse:
— Io giuro qui davanti a Cristo, che quanto io dissi è la verità. E, se Dio mi dà vita, e se mi riesce fuggire da Miller, mi recherò direttamente in Slesia dal nostro Re, e, cadendo ai suoi piedi, gli dirò:
— Maestà! salvate Chenstohova ed i vostri più fedeli servi! Ma, amatissimi padri, state saldi perchè la salvezza di tutta la Repubblica, dipende da voi.
Qui la voce di Sladkovski tremò, e le lagrime gli corsero agli occhi; ma continuò: — Avrete ancora dinanzi a voi dei giorni tristi, dovrete sostenere terribili assalti ma saranno gli ultimi sforzi.
Nessuno parlò, ma il priore si accostò a Sladkovski e gli stese le braccia. Sladkovski vi si precipitò ed essi s'abbracciarono; altri, seguendo il loro esempio, cominciarono a cadere nelle braccia l'uno dell'altro, a stringersi, a baciarsi, a congratularsi, come se gli Svedesi si fossero già ritirati. Finalmente il priore disse:
— Rechiamoci nella cappella, fratelli miei.
Egli andò innanzi e gli altri lo seguirono. Tutte le candele furono accese, e furono rimosse le cortine che celavano la miracolosa immagine. Kordetski s'inginocchiò, tutti gli altri seguirono il suo esempio, e fervide preci di ringraziamento s'innalzarono alla Santissima Madre di Dio.
Era notte avanzata quando i frati ed i nobili andarono a prendere ognuno il proprio posto sulle mura: ma Kordetski rimase tutta la notte in chiesa a pregare. Tutti temevano ch'egli si ammalasse, ma alla mattina apparve sui bastioni allegro e sano; e passando fra i soldati, ripeteva:
— Figliuoli, Nostra Signora mostrerà un'altra volta che ella è più potente dei cannoni d'assedio; presto verrà la fine delle vostre pene.
Venne il giorno dell'Immacolata Concezione. Alcune decine d'ufficiali e soldati degli squadroni polacchi alleati richiesero al generale Miller il permesso di recarsi nel convento per assistere ai servizi divini. Forse Miller pensò che essi farebbero amicizia colla guarnigione e spargerebbero l'allarme fra i difensori: forse non volle irritarli con un rifiuto.
Dopo i divini uffici il fuoco fu ripreso da ambe le parti. Le intere giornate passavano in un inutile cannoneggiamento. Gli Svedesi lanciavano sul tetto del convento corde intrise nella pece, le quali traversavano lo spazio come serpenti di fuoco; ma le guardie, maestrevolmente esercitate, vincevano il pericolo in tempo. Sopraggiunse una notte così profondamente oscura, a dispetto dei fuochi, che gli assediati non potevano vedere assolutamente nulla.
Intanto un insolito movimento si fece udire fra gli Svedesi: cigolìo di ruote, voci d'uomini, nitriti di cavalli ed altri rumori. I soldati sulle mura ne indovinarono facilmente la causa.
— Son giunti i cannoni, — disse qualcuno.
Gli ufficiali trattavano di fare operare una sortita, ma Zamoyski vi si oppose, sostenendo, e con ragione, che in tale importantissimo affare il nemico erasi certamente assicurato a sufficienza, e teneva pronto un corpo di fanteria per qualunque evento. Essi risolsero semplicemente di far fuoco verso il nord e il sud, donde giungeva il maggiore frastuono. Ma era impossibile giudicare il risultato dei tiri in tanta oscurità.
Spuntò alfine il giorno, e i suoi primi raggi misero in evidenza i lavori degli Svedesi. Al nord e al sud della fortezza vi erano trincee, sulle quali si muovevano alcune migliaia d'uomini. Queste trincee giungevano sì in alto che agli assediati apparivano a livello delle mura. Nelle aperture si scorgevano grandi bocche di fuoco.
La Messa del mattino non era ancora finita nella chiesa, quando un insolito rombo scosse l'aria; i vetri delle finestre tintinnarono con grande strepito; molti di essi caddero infranti a terra.
I grandi cannoni d'assedio avevano fatto sentire la loro voce formidabile.
Cominciò un fuoco terribile, quale gli assediati non avevan per anco sperimentato. Finita la messa, tutti si precipitarono sulle mura e sui tetti. I precedenti cannoneggiamenti parevano, in confronto a questo, un giuoco.
I pezzi piccoli univano i loro colpi ai pezzi d'assedio. Le bombe e le corde ardenti volavano per l'aria. Palle da ventisei abbattevano i merli, colpivano i muri dei fabbricati, talvolta rimanendovi conficcate, tal altra forandoli, e spesso facendone saltare bricchi e calce. Le mura che circondavano il convento cominciavano a crollare qua e là, e colpiti incessantemente, minacciavano di cadere. Gli edifici erano in fiamme.
La chiesa tremava, e a qualche altare le candele cadevano dai candelabri.
L'immensa quantità d'acqua versata sull'incendio incipiente sulle mura cadeva sulle bombe accese, formando colla polvere colonne così dense di fumo e vapori, che non si vedeva luce attraverso di esse. Già gravissimo era il danno, tanto alle mura quanto agli edifizi. Il grido di: Fuoco! Fuoco! s'udiva spesso fra il rombo dei cannoni e il fischio delle palle da moschetto. Ma non solo le palle, bensì anche le scheggie delle granate cadevano da per tutto come una grandinata.
Ben presto si udirono lamenti di feriti. Per un caso strano caddero tre giovani di nome Giovanni. Ciò empì di terrore gli altri difensori che portavano lo stesso nome ma in generale la difesa era degna dell'assalto. Perfino le donne, i fanciulli ed i vecchi accorsero alle mura. I soldati si mantenevano imperterriti al loro posto. Alcuni afferrando le ruote, fecero scorrere i cannoni nei punti più esposti: altri empirono le breccie con pietre, travi e terra.
Le donne, coi capelli sciolti, davano raro esempio di coraggio; molte di esse si vedevano correre con secchie d'acqua dietro alle bombe pronto a scoppiare. L'ardore cresceva ad ogni momento, come se l'odor della polvere, il fumo, quell'incessante tuonare, e quella tempesta di fuoco e di ferro avesse la proprietà di aumentarlo. Tutti agivano senza comando, perchè la parola moriva fra quell'immane frastuono, e si udivano soltanto le preghiere cantate nella cappella.
Verso mezzogiorno il fuoco cessò. Ma dinanzi alle porte risuonò la tromba, e il trombettiere mandato da Miller, avvicinatosi, domandò se i padri ne avevano abbastanza, e se volevano arrendersi. Kordetski rispose che vi avrebbero pensato fino alla mattina. Appena pervenne la risposta a Miller, l'attacco ricominciò, ed il fuoco dell'artiglieria fu raddoppiato.
Di quando in quando, drappelli di fanteria si spingevano innanzi sotto il fuoco verso la montagna come per tentare la scalata: ma decimati dal cannone e dai moschetti, si ritiravano ogni volta precipitosamente e in disordine dietro le loro trincee. Come l'onda del mare copre la spiaggia, e nel ritirarsi vi lascia erbe, frutti di mare, e frammenti d'ogni sorta, così ciascuna di quelle ondate di Svedesi, nel ritirarsi, lasciava cadaveri sulla china.
Un improvviso incidente sopraggiunse a interrompere l'assalto.
Era già quasi notte, quando un cannoniere svedese, nell'atto di dare la miccia ad un grosso cannone, fu colpito in pieno petto da una palla venuta dal convento. Il cannoniere venne slanciato indietro di un dieci passi e andò a cadere, con la miccia accesa che teneva in mano, sopra una cassetta di polvere. Al momento si udì una terribile detonazione, e tutta la trincea fu avvolta in una nuvola di fumo. Come questo si fu dissipato, si trovò che cinque cannonieri avevano perduta la vita. I soldati furono invasi da un panico terribile, e per qualche tempo si dovette cessare il fuoco.
Il dì successivo era domenica ed i cannoni tacquero. Il cannone più formidabile era una colubrina, la quale aveva danneggiato le mura a tal segno, che gli assediati prevedevano che se il fuoco avesse a continuare altri due giorni una gran parte sarebbe crollata.
Una breccia, fatta da così enorme cannone, non si sarebbe certo potuta riparare con travi e terra. Il priore antivedeva con occhio addoloratissimo la rovina inevitabile.
Al lunedì venne riaperto il fuoco.
Il muro del bastione settentrionale era talmente danneggiato, che le riparazioni furono fatte di nottetempo in vista d'un probabile assalto.
Il giorno seguente sorse una nebbia così fitta che i padri l'attribuirono all'influenza degli spiriti maligni. Alla sera, mentre il priore faceva la solita ronda, Charnyetski gli disse sottovoce:
— Reverendo padre! Le mura non reggeranno ventiquattr'ore.
— La nostra speranza è in Dio e in Nostra Signora, — rispose il priore.
— È vero! ma se facessimo una sortita? Si potrebbe forse inchiodare quel terribile cannone.
In quel momento apparve Kmita.
— Buona sera, reverendo padre! — diss'egli. — Di che cosa parlate?
— Pan Charnyetski consiglia una sortita, — rispose Kordetski.
— Una sortita è inutile, — replicò Kmita, — Andiamo nel refettorio, colà vi spiegherò i miei progetti.
— Venite nella mia cella, — replicò il priore.
Un momento dopo essi stavano seduti nella cella di Kordetski.
— Una sortita è inutile, — ripetè Kmita. — Un uomo solo deve fare il colpo. Bisogna far scoppiare il cannone. A tal uopo basta mettere una scatola di polvere nella bocca del cannone, con una miccia pendente ad un filo da accendere. Quando la polvere esplode il cannone scoppierà.
— Oh figlio mio che cosa dite? — esclamò Kordetski supponendo che Kmita perdesse la testa. — La vostra idea è ineffettuabile sotto ogni rapporto. Anzitutto chi vorrà accingersi a tale impresa?
— Un povero diavolo di mia conoscenza, — rispose Kmita; — si chiama Babinich.
— Voi! — esclamarono il frate e Charnyetski ad un tempo.
— Sì, padre, io.
— È un eroe, — gridò Charnyetski mentre il priore contemplava Kmita in silenzio, reso muto dallo stupore.
— Ma questo è lo stesso che andare incontro alla morte, — diss'egli finalmente. — Pan Charnyetski non siete anche voi del mio avviso?
— Audaces fortuna juvat, — rispose l'interpellato.
— Mi sono trovato in circostanze ben più critiche di questa, — disse Kmita; — e non mi è mai accaduto nulla di male. Molto meno può accadermene ora che combatto per difendere una causa santa. Vado subito a fare i preparativi necessari. Mi travestirò in modo tale da assomigliare ad un soldato svedese. La folta nebbia impedirà al nemico di vedermi e se anche mi vedessero non potranno riconoscermi.
Due ore dopo, nel cuor della notte, egli bussava di nuovo alla cella del priore: questi e Pan Charnyetski lo attendevano.
Essi stentarono a riconoscerlo, tanto bene si era camuffato. Aveva proprio l'apparenza d'un ufficiale svedese.
— Amatissimo padre, — diss'egli, — beneditemi e pregate per me. Mercè le vostre preghiere sono tanto sicuro di ritornare che non sono nemmeno commosso come dovrei esserlo in questo momento. Accompagnatemi, ve ne prego sino alla porta.
Ma non era destinato che Pan Andrea dovesse andare in quella notte, perchè appunto quando giunsero alla porta le tenebre cominciavano a diradarsi e si udì un grande movimento nel campo nemico.
Quando sorse il giorno gli assediati si avvidero che il terribile cannone era stato collocato dal lato opposto, cioè verso il bastione esposto a mezzogiorno, che era il punto più debole delle mura.
Le notti successive furono serene e gli Svedesi continuarono a bombardare il convento. Lo scoraggiamento invase tutti gli animi; i nobili cominciavano a parlare di arrendersi.
Il priore ebbe d'uopo di tutta la sua energia per tener fronte alla crescente opposizione.
Kmita, fin dal momento in cui aveva concepito il disegno di far scoppiare il gran cannone non si era fatto più vedere da nessuno. Tutte le sere contemplava il cielo come avrebbe fatto un astrologo. Ma la luna che splendeva sullo strato di neve, minacciava di mandare a vuoto il suo progetto.
Tutto ad un tratto scese la nebbia; l'orizzonte si coprì di fosche nubi, e la notte si fece tanto oscura che l'occhio non poteva assolutamente distinguere nulla. Pan Andrea indossò subito il suo travestimento, e non era ancora sonata la mezzanotte quando comparve dinanzi al priore ed a Charnyetski per congedarsi da loro. Essi lo abbracciarono affettuosamente e Kordevski lo benedisse ripetutamente con le lagrime agli occhi.
Mentre ritornavano indietro, taciturni e preoccupati, li raggiunse Pan Zamoyski.
— Che cosa c'è di nuovo? — chiese il vecchio nobile.
— Babinich è andato nel campo svedese per far scoppiare il grosso cannone.
— Che dite mai? Ciò è impossibile, — esclamò Zamoyski stringendosi il capo con le mani in atto di stupore e di sgomento. — Chi lo ha lasciato andare?... Questa è una impresa insensata, — egli soggiunse.
— Io — rispose Kordetski. — Con l'aiuto di Dio tutto è possibile.
— Preghiamo per lui, — disse il priore.
Tutti e tre s'inginocchiarono e cominciarono a pregare. Passò un quarto d'ora, una mezz'ora, un'ora... lunga come l'eternità.
Tutto ad un tratto ecco innalzarsi una gigantesca colonna di fuoco, ed un rombo, quale non erasi mai udito, scosse l'aria come se Dio avesse scaraventato tutti i fulmini del cielo sulla terra; le mura, la chiesa, il convento tremarono.
— È riescito! il cannone è scoppiato! — gridò Charnyetski. Kordetski sollevò le mani al cielo esclamando:
— Madre nostra Santissima, restituitecelo salvo!
Un gran rumore nacque sulle mura. La guarnigione, non sapendo che cosa fosse avvenuto, corse alle armi. I frati si precipitarono fuori delle celle. Anche le donne accorsero. Tutti chiedevano:
— Babinich ha fatto scoppiare il terribile cannone! — gridò Charnyetski.
Nello stesso tempo un gran trambusto regnava nel campo svedese. Alla luce dei fuochi si vedevano masse di soldati correre disordinatamente in varie direzioni: le trombe suonavano, i tamburi rullavano incessantemente, e alle mura giungevano grida d'allarme e di spavento.
Kordetski rimaneva inginocchiato e pregava. Finalmente le tenebre cominciarono a diradarsi. Ma Babinich non ritornò a Yasna Gora.