Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO III.

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CAPITOLO III.

Che cosa era avvenuto di Pan Andrea? e in qual modo aveva potuto effettuare il suo arrischiato disegno?

Lasciato il convento, avanzò per qualche tempo con passo circospetto. Compiuta la discesa si fermò ed ascoltò.

Tutto taceva all'intorno, ed il silenzio era così profondo che si sentiva scricchiolare la neve setto i suoi piedi.

Andava innanzi guardingo da circa un'ora, quando udì un leggiero rumore davanti a .

Veglianopensò. — La sortita li ha resi prudenti.

Da quel momento raddoppiò di precauzione. Era lieto di non aver deviato, in onta che le tenebre fossero tanto fitte da non permettergli di vedere ad un passo di distanza.

Kmita non era soltanto coraggioso ma anche audace. L'idea di far scoppiare il cannone lo colmava di gioia... non solo come un atto eroico, ma specialmente perchè avrebbe arrecato un danno terribile agli Svedesi. Egli si figurava come Miller si sarebbe meravigliato e con qual rabbia impotente avrebbe guardato le mura del convento, ed a tale pensiero lo assaliva una gran voglia di ridere. Poi pensò:

— Ah! se mi vedesse Olenka in questo momento! come il suo cuore gioirebbe! Ma forse ella pensa che io stia servendo gli Svedesi. Li sto servendo, e per bene! Che avverrà quand'ella sarà informata di tutti i pericoli a cui mi espongo! Che cosa penserà? Certamente penserà: «Egli è un turbine, ma quando occorre che alcuno faccia una cosa che nessun altri possa o ardisca fare, si può contare su lui.»

Malgrado i mille pensieri che gli turbinavano nel cervello, non dimenticò dove era, dove andava, e quello che voleva fare.

Ad un tratto udì, poco lungi da , il rumore di passi misurati, e subito dopo una voce gridò?

— Chi va ?

Pan Andrea stette immobile come una statua.

— Noi — risposero altre voci.

— La parola d'ordine?

Upsala.

— Il contrassegno?

— La corona.

Kmita comprese allora che si faceva in quel momento il cambio delle sentinelle.

— Ve le darò io Upsala e la corona! — disse fra .

E gongolò per la contentezza, poichè quella circostanza era favorevolissima per lui, essendochè poteva passar la linea delle sentinelle proprio nel momento del cambio, mentre il rumore dei passi dei soldati si confondeva con quello dei suoi.

Infatti, passò senza il menomo incidente, seguendo arditamente i soldati giunse alla trincea e si nascose nel fossato.

Intanto gli oggetti cominciarono ad appare più distintamente. Kmita ringraziò Iddio, perchè colla oscurità di prima non avrebbe potuto trovare il cannone che cercava.

Avanzandosi pian piano nel fossato, egli scoprì alla fine il gigantesco cannone. Si fermò e cominciò ad ascoltare. Dalle trincee un rumore raggiungeva il suo orecchio; evidentemente la fanteria stava pronta vicino ai cannoni. Ma l'altezza delle trincee lo nascondeva, e se anche avessero udito qualche rumore fatto da lui non potevano vederlo. Ora egli non aveva altro da fare che salire fino alla bocca del cannone che stava sopra la sua testa.

Fortunatamente le sponde del fossato non erano troppo scoscese, ed i terrapieni, fatti di fresco, non erano gelati.

Egli si arrampicò su, e gli riescì di far entrare il tubo con la polvere, che aveva preparato e portato con , nella bocca del cannone, senza fare il minimo strepito.

Poi scivolò di nuovo giù tenendo in mano la miccia fissata all'altra estremità del tubo contenente la polvere. Ma ora veniva la cosa più difficile. Bisognava battere l'acciarino per accendere la miccia.

Kmita sostò un momento e poi fregò leggermente la silice contro un pezzetto d'acciaio. Ma proprio in quel momento, di sopra al suo capo, udì una voce, che faceva in tedesco questa domanda:

— Chi c'è giù nel fossato?

— Sono io, Hans9rispose Kmita senza esitare; — i diavoli hanno portato la mia bacchetta nel fossato, e sto facendo fuoco per trovarla.

In quel momento la miccia si era accesa e per Kmita era tempo di sparire.

Egli si diede a correre nel fossato con tutta la velocità di cui era capace. Tutto ad un tratto inciampò in una pietra e cadde. In questo momento un terribile rombo tuonò nell'aria, la terra tremò; pezzi di legno, di ferro, pietre, zolle di ghiaccio e di terra volavano per l'aria con orribile fracasso; pareva il finimondo.

Dopo questa si udirono altre detonazioni, prodotte dalle scatole di polvere che stavano vicino al cannone.

Ma Kmita non udì nulla perchè giaceva come morto nel fossato. Non udì nulla nemmeno quando, dopo qualche tempo di profondo silenzio, risonarono i lamenti dei feriti e le grida d'allarme e d'aiuto.

Il generale svedese intuì che il gran cannone era stato fatto scoppiare a bella posta. Furono ordinate immediate ricerche, ed allo spuntare del giorno si trovò Kmita che giaceva svenuto nel fossato.

Appariva chiaro che era semplicemente stordito dall'esplosione. Aveva perduto ogni sensitività nelle mani e nei piedi pel freddo. Fu curato colla massima premura e ben presto riacquistò il completo uso dei sensi.

Egli fu quindi tradotto dinanzi a Miller, che era circondato dal principe Hesse, dal conte Veyhard, da Sadovski, e dai più notevoli ufficiali svedesi e polacchi, come Zbrojek, Kalinski e Kuklinovski. Quest'ultimo, alla vista di Kmita, divenne livido e, senz'aspettare la domanda del generale, egli esclamò:

Conosco costui. Egli viene da Chenstohova. Si chiama Babinich.

Kmita non parlò; era pallido ed estenuato, ma la sua faccia appariva ardita e il suo portamento era calmo:

— Voi faceste scoppiare il cannone? — gli domandò Miller.

— Sì.

A tale franca risposta gli ufficiali si guardarono l'un l'altro attoniti. Seguì un minuto di silenzio. Indi Miller chiese di nuovo:

— Voi vi chiamate Babinich?

Pan Andrea pensò che dopo quel che aveva fatto non era più il caso di celare il proprio nome. Era ora che la gente dimenticasse gli errori da lui commessi, e che la sua devozione alla patria fosse nota a tutti.

— Il mio nome non è Babinich, — diss'egli con un certo orgoglio; — il mio nome è Andrea Kmita; io fui colonnello del mio squadrone nel contingente lituano.

Non appena Kuklinovski ebbe udito ciò, scattò come un ossesso, spalancò gli occhi, aprì la bocca e si mise a tastarsi i fianchi. Finalmente gridò:

Generale, vi prego di ascoltarmi tosto senza indugio.

Sorse un gran rumore fra gli ufficiali polacchi, mentre gli Svedesi li contemplavano con meraviglia, giacchè per loro quel nome di Kmita non aveva alcun significato. Mentre chiedevano spiegazioni agli ufficiali polacchi, Kuklinovski si era avvicinato a Miller e stava confabulando con lui presso la finestra, informandolo esattamente di tutte le gesta compiute dal giovane colonnello.

Perchè venite a cantarmi le sue lodi? — domandò Miller. — Ch'egli è pericoloso, lo conosco abbastanza dal fatto da lui compiuto.

— Che cosa pensa di fare Vostra Grazia, di lui?

Darei ordine d'impiccarlo; ma essendo anch'io soldato so valutare l'ardire ed il coraggio. D'altronde egli è di nobile lignaggio. Ordinerò quindi che sia fucilato, e oggi stesso.

Valoroso generale, non intendo darvi suggerimenti, ma mi permetto di dirvi che se voi fate fucilare quest'uomo gli squadroni di Zbrojek e di Kalinski si ritireranno oggi stesso e andranno da Giovanni Casimiro.

— Se ciò è vero, li farò tagliare a pezzi prima che vadano! — gridò Miller.

Valoroso generale, il far tagliare a pezzi due squadroni non è cosa che possa rimanere celata. Tutte le truppe polacche lascieranno Carlo Gustavo; sapete, che già la loro fedeltà tentenna.

— Per mille diavoli! — esclamò Miller; — che cosa volete Kuklinovski? che io lasci vivere costui. Ciò non può essere.

— Io voglio — rispose Kuklinovski, — che lo cediate a me.

— Che cosa volete farne?

— Voglio scorticarlo vivo.

— Voi non lo conoscevate neppure, non sapevate il suo vero nome. Che cos'avete contro di lui?

— Io l'ho conosciuto la prima volta nella fortezza, dove sono andato due volte come inviato.

— Avete dei motivi per vendicarvi di lui?

— Sì: egli m'insultò come mai nessuno osò farlo.

Miller si pose a riflettere. Tutto ad un tratto un sospetto gli balenò alla mente.

Kuklinovskidiss'egli, — vorreste forse salvarlo?

Kuklinovski ebbe un sorriso calmo ma così terribile, che Miller non dubitò più.

— L'unica ricompensa che chiedo per i miei servigi — egli rispose, — è che voi mi doniate quell'uomo.

Prendetevelo, — replicò il generale.

E riavvicinandosi al gruppo degli altri ufficiali Miller disse:

— In vista dei servigi resi da Pan Kuklinovski io lascio il prigioniero a sua disposizione.

Al momento nessuno fiatò; poi, Pan Zbrojek, postasi una mano al fianco, domandò in tono sprezzante:

— E che cosa intende farne, Pan Kuklinovski, del prigioniero?

Kuklinovski s'inchinò, le sue labbra si aprirono ad un sinistro sorriso.

— Chiunque non è contento di ciò che io voglio fare del prigioniero sa dove trovarmi, — diss'egli battendo fieramente la mano sulla sua sciabola. Detto ciò s'avvicinò a Kmita, e soggiunse in tono imperioso: — Seguitemi!

Gli ufficiali rimasero nella stanza. Kuklinovski montò a cavallo ed ordinò a tre soldati che aveva con di condurre Kmita legato con una corda al collo; e così sì diressero verso Lgota, dove era acquartierato il suo reggimento.

Cammin facendo Kmita pregò ardentemente. Vedeva che la morte si avvicinava e si raccomandava a Dio con tutta l'anima.

Si fermarono davanti ad un granaio mezzo rovinato, nell'aperta campagna, a poca distanza dal reggimento. Il colonnello ordinò di condurre Kmita nel granaio.

Corri al campo, e portami delle corde ed una secchia di catrame bollente, — disse ad un soldato.

Il soldato partì al galoppo e ritornò tosto con gli oggetti richiesti.

Spogliatelo, — ordinò Kuklinovski, — legatelo mani e piedi per di dietro poi appendetelo ad una trave.

Ribaldo! — esclamò Kmita.

Ora, ora discorreremo: abbiamo tempo, — gli rispose Kuklinovski con un sorriso infernale.

I tre soldati lo collocarono colla faccia contro terra, gli legarono mani e piedi con una corda, quindi gli fecero passare ancora la corda attorno alla vita. — Ora alzatelo.

In un momento l'ordine fu eseguito.

Lasciatelo!

La corda scricchiolò e Pan Andrea rimase appeso fra il soffitto ed il pavimento. Kuklinovski intrise della stoppa nel catrame bollente, si appressò a Kmita, e disse:

— Ebbene, Kmita, non ti dissi che vi sono due colonnelli nella Repubblica, io, e tu? Pan Kmita è un famoso colonnello, ma è caduto nelle mani di Kuklinovski che vuole arrostirgli i fianchi.

Assassino! — ripetè Kmita mentre il malandrino gli toccava i fianchi con la canape ardente. Ma proprio in quel momento si udì lo scalpitare d'un cavallo davanti al granaio. La porta si aprì e comparve un soldato. — Il generale Miller vuol parlare con Vostra Grazia all'istante, — disse il nuovo arrivato.

Vado subito — rispose Kuklinovski. Poi, rivoltosi a Kmita, soggiunse in tono di scherno: — Ritornerò tosto, amico, e faremo un altro discorsetto insieme.

— Che cosa s'ha a farne del prigioniero? — domandò un soldato.

Lasciatelo com'è. Io ritornerò tosto. Venga uno di voi con me.

Il colonnello uscì seguito da un soldato, e tre ne rimasero nel granaio: ma tosto ne entrarono tre altri.

— Voi potete andar a dormire, — disse quello che aveva portato l'ordine di Miller. — Il colonnello ha lasciato la guardia a noi.

— Noi preferiamo rimanere per assistere allo spettacolo perchè un tal...

D'improvviso egli si fermò. Dalla sua gola uscì un grido strano come quello d'un gallo strozzato. Stese le braccia e stramazzò come fulminato.

Nello stesso momento due dei nuovi arrivati si precipitarono sui due rimanenti soldati. Successe una terribile ma breve lotta, illuminata dal catrame che ardeva. Di a un momento due corpi giacevano sulla paglia. Si udirono per poco ancora gli aneliti dei morenti; poi si fece sentire di nuovo quella voce, che da principio era parsa nota a Kmita.

— Vostra Grazia, son io, Kyemlich, con i miei figli. Andiamo dunque, furfanti; liberate il colonnello, presto, presto! E prima che Kmita fosse in grado di comprendere che cos'era avvenuto intorno a lui, Cosimo e Damiano tagliarono le corde e Kmita fu in piedi. In sulle prime barcollò; le sue labbra irrigidite poterono a stento profferire le parole:

— Siete voi?

— Sono io! — rispose il terribile vecchio. — Vestitevi presto, colonnello. Andiamo. E cominciò a dare gli abiti a Kmita.

— I cavalli stanno alla portasoggiunse. Da questo lato la strada è aperta. Vi sono guardie; non si può rimanere qui; ma quanto a passare si passerà. Noi conosciamo la parola d'ordine.

Aspettate un momentorispose Kmita vestendosi. — Mi brucia un poco il fianco... ma non è nulla... Ora sto bene. — E nel dire così sedette sopra un cassone.

Colonnello, bisogna affrettarsi. I cavalli aspettano, ripetè il vecchio Kyemlich. Ma in Pan Andrea risorgeva il Kmita di altri tempi.

— Oh! impossibile! — gridò ad un tratto. — Adesso aspetto io il traditore.

I Kyemlich si guardarono stupefatti, ma essendo abituati ad obbedirgli non ripeterono parola.

— Lo chiamò davvero Miller? — egli chiese.

— No, — rispose il vecchio. — Ho inventato io questo pretesto per agire più sicuramente.

Va bene. Egli ritornerà, solo o in compagnia. Se v'ha qualcuno con lui, piombate addosso a quello e lasciate il colonnello a me. Poi saliremo a cavallo. Qualcuno di voi ha pistole?

— Io, — disse Cosimo.

Dàlle a me. Sono cariche?

— Sì.

— Sta bene. S'egli ritorna solo, appena egli entra saltategli addosso e turategli la bocca.

— Sarete obbedito, — disse il vecchio.

Mentre pronunciava queste parole, lo scalpitìo di un cavallo risuonò a breve distanza dal granaio. Kmita balzò in piedi e si nascose nell'ombra vicino al muro. Cosimo e Damiano presero posto dietro la porta, come due gatti in agguato del topo.

— È solo, — disse il vecchio.

— Solo; — ripeterono Cosimo e Damiano.

Lo scalpitìo s'avvicinò e s'arrestò davanti alla porta.

— Oh! venite qualcuno a tenere il cavallo!

Il vecchio Kyemlich uscì. Kuklinovski gli disse che era un imbecille perchè Miller dormiva e la guardia non lo aveva lasciato entrare. Ma non concepì alcun sospetto, credendo che il vecchio avesse capito male.

La porta stridette sui suoi cardini, e Kuklinovski entrò nel granaio: ma prima che avesse fatto un passo, due mani di ferro lo afferrarono alla gola e soffocarono le sue grida di terrore. Cosimo e Damiano, coll'abilità di matricolati assassini, lo gettarono a terra, gli posero le ginocchia sul petto, e tanto calcarono che le costole scricchiolarono, e in un batter d'occhio lo imbavagliarono.

Kmita si avanzò, e tenendo in mano la stoppa incatramata e accesa l'avvicinò agli occhi del malcapitato, dicendogli:

Pan Kuklinovski! Adesso ho io qualche cosa da dirvi, Pan Kuklinovski.

La faccia di Kuklinovski era livida, gli occhi gli uscivano dallo orbite, ed in essi si leggeva tanto stupore quanto terrore.

Spogliatelo e appendetelo alla trave! — comandò Kmita.

Cosimo e Damiano lo spogliarono con tanto furore che pareva volessero strappargli assieme agli abiti anche la pelle.

Dopo un quarto d'ora Kuklinovski pendeva al medesimo posto e nella stessa posizione nella quale Kmita si trovava poco prima. Questi gli si avvicinò ed applicò al fianco del disgraziato la stoppa ardente, dicendogli: — Furfante, tu volevi far arrostire me, ora io arrostisco te. — Ed infatti lo arrostiva, perchè l'odore di carne bruciata cominciò a spandersi pel granaio.

Kuklinovski si contorceva orribilmente. I suoi occhi, che non si staccavano da Kmita, esprimevano la suprema sofferenza, e la muta preghiera; dalla sua bocca imbavagliata uscivano rauchi, inauditi lamenti. Ma il cuore di Kmita, indurito dalla guerra, non sentiva pietà, e tanto meno pei traditori.

— Ti lascio la vita, — gli disse finalmente — perchè tu mediti alquanto su Kmita. Starai fino a domattina, e prega Dio che qualcuno ti trovi prima che tu sia gelato.

Quindi, rivoltosi a Cosimo e Damiano: — A cavallo! — gridò, ed uscì dal granaio.

Mezz'ora dopo, intorno ai quattro cavalieri giacevano pacifiche colline, campi vuoti e silenziosi. La fresca brezza, non satura di fumo e di polvere, ristorava i loro polmoni. Kmita cavalcava alla testa, i Kyemlich dietro.

Di quando in quando un lamento usciva dalla bocca di Pan Andrea per il dolore che gli cagionava la bruciatura al fianco. Ma nello stesso tempo, sentendosi libero, provava una tale gioia, che al confronto di questa quel dolore era cosa da nulla.

Intanto un dialogo fra il padre ed i figlioli, cominciato tranquillamente, era degenerato in una disputa a proposito del denaro e degli anelli tolti a Kuklinovski.

Kmita trattenne il suo cavallo e disse: — Venite qua!

La disputa cessò immediatamente. I Kyemlich si posero al suo fianco.

Conoscete la strada per il confine della Slesia? — domandò Pan Andrea.

— Sì, la conosciamorispose il vecchio.

— Non vi sono Svedesi sulla strada?

— No, perchè sono tutti a Chenstohova.

— Dunque voi servivate nel reggimento di Kuklinovski, — soggiunse Kmita.

— Sì, perchè pensammo, che essendo vicini potevamo servire i frati e Vostra Grazia nello stesso tempo; e così infatti è avvenuto, noi non abbiamo servito contro il convento... Dio ce ne guardi! Non abbiamo preso paga; e ci accontentavamo di quello che potevamo trovare sugli Svedesi.

— Come, sugli Svedesi?

Perchè noi volevamo servire Nostra Signora fuori delle mura; quindi noi giravamo per il campo alla notte, o di giorno, come Dio ci permetteva, e quando qualcheduno degli Svedesi si trovava solo, allora noi... cioè... O Refugium peccatorum!... noi...

— Lo ammazzavamo! — terminarono Cosimo e Damiano.

Kuklinovski aveva in voi dei buoni soldati, — disse Pan Andrea. — Ma egli era al fatto delle vostre gesta?

Riceveva una tassa, cioè, esigeva un tallero al giorno da ciascuno di noi. Diversamente, aveva minacciato che ci avrebbe denunziati. E noi abbiamo serbato fede a Vostra Grazia, perchè con voi non è così il servizio. Vostra Grazia è generoso.

— Io vi ricompenserò largamente pel servizio che mi avete reso, — disse Kmita.

Il rombo del cannone in distanza interruppe il discorso. Evidentemente gli Svedesi avevano incominciato il fuoco allo spuntare del giorno. Kmita fermò il cavallo, ed agitando il pugno in atto di minaccia e di scherno nella direzione del campo nemico, disse:

Fuoco, fuoco e fuoco? Ma il vostro formidabile cannone non sparerà più.





9  Abbreviazione di Giovanni.



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