Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO V.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO V.

I cavalli portavano rapidamente Kmita ed i Kyemlich verso il confine della Slesia. Essi avanzavano con precauzione per evitare l'incontro di qualche drappello svedese, poichè, sebbene i Kyemlich avessero dei lascia passare rilasciati loro da Kuklinovski e firmati da Miller, pure, anche in tal caso i soldati venivano comunemente fermati e sottoposti ad un interrogatorio, che poteva avere cattivo conseguenze per Pan Andrea ed i suoi compagni. Essi perciò cavalcavano di buon trotto, in modo da poter varcare al più presto la frontiera ed internarsi nei domini dell'Imperatore.

Cammin facendo il vecchio narrava a Pan Andrea quello che si diceva nella Repubblica, e Pan Andrea, che era rimasto confinato sì lungo tempo nel convento, dimenticava perfino il dolore della bruciatura nell'udire delle notizie tanto sfavorevoli agli Svedesi, le quali facevano presentire la prossima fine della loro dominazione in Polonia.

— Il primo ad insorgere nell'esercito contro gli Svedesi fu Pan Voynillovich, — disse il vecchio Kyemlich fra altro. — Egli si recò fra i monti al di di Cracovia, distrusse una divisione svedese e liberò i montanari dalla loro oppressione. I montanari furono i primi a sollevarsi; ma siccome sono contadini ignoranti, il generale Douglas li disperse facilmente: ma della gente mandata ad inseguirli nelle montagne, neanche un uomo è ritornato. Pan Voynillovich ha aiutato quei contadini, ed ora egli è andato a raggiungere con le sue truppe il maresciallo di Lyubovlya. Si dice generalmente che avanti la primavera non vi sarà più un soldato svedese nella Repubblica.

Dio lo voglia! — esclamò Kmita. — Ma gli Svedesi hanno ancora molti aderenti fra i magnati e i nobili.

Prendono le loro parti soltanto quelli che vi sono costretti; ma anch'essi non aspettano che un'opportunità per liberarsi. Il principe Voivoda di Vilna è l'unico che si è legato a loro sinceramente, e da ciò gliene è derivato gran danno.

— Che ne è di Radzivill? — chiese Kmita con enfasi. — Si trova ancora a Kyedani?

— Non so veramente che ne sia di lui, — rispose il vecchio. — Alcuni asseriscono che sia morto; altri che si difende ancora contro Sapyeha. È probabile che stiano battendosi a Podlyasye, e che Pan Sapyeha abbia il sopravvento perchè gli Svedesi non hanno potuto aiutare il . Pare che sia assediato a Tykotsin da Sapyeha.

— Sia lode à Dio! Gli onesti schiacciano i traditori, — disse Pan Andrea. — E che cosa n'è avvenuto del principe Bogoslavio?

— Non ho udito dir nulla di lui, — rispose Kyemlich. — Forse egli è a Tykotsin, forse coll'Elettore. Ora ferve la guerra colà, e il re di Svezia è andato in Prussia. Noi aspettiamo il nostro legittimo Re, e non appena egli avrà varcato i confini del Regno, rivolgeremo immediatamente le nostre armi contro gli Svedesi.

— Ma il principe Voivoda di Vilna è davvero assediato a Tykotsin? — domandò di nuovo Kmita, come se questa fosse la cosa che gli premeva di sapere più d'ogni altra.

— Così almeno si afferma, — rispose il vecchio Kyemlich.

— E chi si trova con lui a Tykotsin?

— A Tykotsin vi è una guarnigione svedese. Ma col principe è rimasto soltanto qualcuno dei suoi più fedeli aderenti, tutti gli altri lo hanno abbandonato.

Kmita provò in cuor suo un'immensa soddisfazione. Egli aveva temuto la vendetta del terribile magnate su Olenka, e quantunque gli paresse d'aver prevenuta quella vendetta colle proprie minaccie, pure era tormentato dal pensiero, che sarebbe stato meglio per Olenka e tutti i Billevich di vivere in una spelonca di leoni che non a Kyedani. Ora che egli era destituito d'ogni potere non poteva più pensare alla vendetta: la sua mano aveva finito di pesare sui suoi nemici.

Proseguirono il cammino in silenzio. I cavalli stanchi, rallentarono a poco a poco il trotto.

Il movimento monotono concilia il sonno a Pan Andrea, ed egli si addormenta, barcollando sulla sella. A giorno fatto si desta e volge intorno a gli sguardi con meraviglia, perchè non sa se tutto ciò che gli è accaduto in quella notte sia sogno o realtà: alla fine domandò:

Dove siamo?

— In Slesia, — gli risponde Kyemlich.

Dove si trova il nostro Re?

— A Glogov.

— Vi andremo subito per gettarci ai suoi piedi ed offrirgli i nostri servigi, — soggiunse Kmita. — Ma ascoltami, vecchio mio.

— Vi ascolto.

al Re ad alcun altro alla Corte dovete dire chi sono. Io mi chiamo Babinich e vengo da Chenstohova, ecco tutto.

— Ma possiamo parlare di quanto avete fatto a Chenstohova....

— Chi mostrerà che tutto ciò è vero, finchè l'assedio non sia tolto? Verrà il giorno in cui la verità verrà a galla, ma prima è necessario che il Re stesso sia convinto della mia fedeltà.

— Faremo tutto ciò che voi comandate, rispose il vecchio.

Tacquero di nuovo e Kmita s'immerse nei suoi pensieri. Intanto s'era fatto pieno giorno. Il vecchio Kyemlich cominciò a cantare il mattutino, e Cosimo e Damiano lo accompagnarono colle loro voci stentoree. La strada era cattiva ed il freddo pungente. I viaggiatori venivano inoltre fermati sovente da gente che chiedeva loro notizie di Chenstohova. Kmita rispose che la fortezza resisteva ancora e che non avrebbe capitolato. Ogni tanto incontravano dei nobili, che avendone abbastanza degli Svedesi, si recavano, come Kmita, ad offrire i loro servigi al Re di Polonia. Grossi e piccoli drappelli di soldati muovevano verso il confine. Le liete notizie venute dalla Repubblica avevano rialzato le speranze di questi «esuli» e molti di essi s'apprestavano a rimpatriare in armi. In tutta la Slesia e particolarmente nelle provincie di Ratibor e Opol, era un fermento generale; da ogni parte s'incrociavano messaggeri con lettere del Re e per il Re, non che per Charnyetski, per il Primate, per Pan Korytsinski il cancelliere, per Pan Varstuytski castellano di Cracovia e primo senatore della Repubblica, il quale non aveva mai abbandonato Giovanni Casimiro.

Si era alla vigilia d'una guerra generale, che in parecchi punti era già scoppiata. Gli Svedesi reprimevano questi moti locali, ora colle armi, ora con esecuzioni capitali, ma l'incendio soffocato appena da una parte tosto divampava dall'altra. Una terribile bufera minacciava gl'invasori scandinavi.

Nessuna conquista aveva mai costato minor fatica e meno sangue. Gli stessi Svedesi erano rimasti stupefatti della facilità con cui avevano occupata la potente Repubblica. Ciò che il conte Veyhard aveva detto un giorno all'inviato imperiale, Lisola, lo ripeteva lo stesso Imperatore; lo ripetevano tutti i generali svedesi.

Ma essi dimenticavano che questo popolo senza virilità, senz'ordine, senza patriotismo, aveva ancora un sentimento molto forte e potente, cioè la fede religiosa, e che questo sentimento doveva farlo risorgere.

Perciò il rombo del cannone che batteva le mura di Yasna Gora commosse i cuori di tutti, ed un grido di riverente ammirazione ed in pari tempo d'immenso sdegno echeggiò dai Carpazi al Baltico. Rianimata dall'eroismo dei frati, la nazione si riscosse dal letargo.

E tutti i generali svedesi, da Arwid Wittemberg ai comandanti dei singoli castelli, mandavano a Carlo Gustavo in Prussia notizie sconfortanti.

Intanto per tutta la Repubblica si divulgava il manifesto di Giovanni Casimiro al suo popolo. I nobili si battevano il petto ascoltando le sublimi parole del loro Re, il quale li eccitava a farsi animo, a riaprire il cuore alla speranza, e ad affrettare la liberazione della Repubblica sollevandosi contro gli Svedesi.

Il manifesto fu letto nello stesso campo di Carlo Gustavo, nei castelli in cui stazionavano guarnigioni svedesi, in tutti i luoghi dove si trovavano squadroni polacchi. I nobili giurarono sulla croce e sulle immagini della Vergine di fare quanto chiedeva il loro Re. E per adempiere subito alla loro promessa, montavano a cavallo senza indugio e movevano contro il nemico.

La rivolta si estendeva in Lituania, in Mazovia, nella Grande e Piccola Polonia, ed accadeva sovente che i Polacchi piombavano inaspettatamente su qualche distaccamento svedese facendolo a pezzi.

Essi preferivano travestirsi da Tartari, il cui solo nome empiva gli Svedesi di terrore, poichè fra essi narravansi meravigliosi fatti riguardanti la ferocia di quei figli delle steppe della Crimea, contro i quali gli Scandinavi non avevano mai combattuto sino allora. Si sapeva che il Khan, alla testa d'un'orda di undicimila uomini era in marcia per soccorrere Giovanni Casimiro, e la sola idea di dover affrontare quei barbari incuteva un grande spavento agli Svedesi.

Ma più terribili della ribellione dei nobili erano per l'invasore i moti dei contadini. L'eccitazione fra il popolo era incominciata fin dal primo giorno dell'assedio di Chenstohova o Yasna Gora, e i contadini, fino allora silenziosi e tranquilli, cominciarono qua e a opporre resistenza, ad armarsi di falci ed altri istrumenti agricoli e ad accorrere in aiuto dei nobili.

Il Re di Svezia inviò ai capitani, ai magnati, ai nobili, lettere gentilissime, piene di promesse e d'incoraggiamenti, onde gli si serbassero fedeli.

Ma nello stesso tempo comandava ai suoi generali e comandanti che distruggessero col ferro e col fuoco tutti coloro che si ribellavano e specialmente di fare a pezzi lo bande di contadini. Incominciò così un periodo di ferreo governo militare. Gli Svedesi deposero la maschera dell'amicizia e la più tirannica oppressione venne sostituita apertamente alla precedente finzione di benevolenza. I nobili fatti prigionieri venivano fucilati, ai contadini catturati veniva tagliata la mano destra, dopo di che si rimandavano alle loro case.

Nella Grande Polonia che, com'era stata la prima ad arrendersi fu la prima ad insorgere, il comandante Stein ordinò che si tagliasse la mano destra a più di trecento contadini in un giorno solo. Nelle città furono erette forche permanenti, alle quali ogni giorno pendevano nuove vittime.

Pontus de la Gardie fece altrettanto in Lituania e in Jmud.

Ma il fuoco soffocato col sangue, anzichè spegnersi divampò incessantemente; e così ebbe principio una guerra, in cui non si trattava più soltanto di valore e di vittorie ma della vita e della morte. La crudeltà inviperì l'odio e s'incominciò, non a combattere, ma a sterminarsi gli uni gli altri senza pietà.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License