Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO VI.

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CAPITOLO VI.

Incominciava appunto questa guerra di sterminio quando Kmita e i tre Kyemlich giunsero a Glogov. Arrivarono a notte fatta. La città era gremita di truppe, di nobili, di servi del Re e di magnati. Gli alberghi erano così pieni che il vecchio Kyemlich potè a stento trovare alloggio per il suo colonnello fuori della città in casa d'un cordaio.

Pan Andrea passò tutto il primo giorno fra incessanti spasimi prodotti dalla piaga che aveva al fianco.

La notte successiva gli apportò sollievo, e alla mattina si vestì e si recò alla chiesa parrocchiale a ringraziare Iddio per il suo miracoloso salvamento.

Kmita inoltrò fino al centro della chiesa. Il prete celebrava la messa all'altare maggiore. Nei banchi stavano inginocchiate alcune persone colla faccia nascosta fra le mani, ma oltre a queste, Pan Andrea vide un uomo giacente a terra sopra un tappeto con le braccia distese in forma di croce. Al suo fianco stavano inginocchiati due giovanetti dal viso rubicondo, fanciullesco e quasi angelico.

I sospiri ed i gemiti di quel personaggio si udivano per tutta la chiesa.

Pan Andrea congetturò tosto, per la ricchezza delle vesti, che colui doveva essere un personaggio ragguardevole. Egli si portò più avanti verso l'altare, per poter vedere il volto di quell'uomo che pregava con tanto fervore quando si sarebbe finalmente alzato da terra. La Messa volgeva alla sua fine e Kmita, non potendo più frenare la sua curiosità, urtò col gomito un nobile che gli stava al fianco, e gli disse sottovoce:

— Mi perdoni, Vostra Grazia, ma la mia curiosità è troppo forte. Chi è colui? — E indicò cogli occhi il personaggio prostrato sul tappeto.

— Come, non lo conoscete? — domandò l'interpellato con sorpresa. — Quegli è il Re.

— In nome di Dio! — sclamò Kmita.

Ma appunto in quel momento il Re si alzò perchè la Messa era finita.

Allora Pan Andrea scorse un viso emaciato, giallognolo, quasi trasparente come la cera. Gli occhi del Re erano umidi, le palpebre rosse. Avreste detto che tutto il destino della patria era riflesso in quella nobile fisonomia, tanto grande era il dolore che da essa spirava.

Finita la Messa, Giovanni Casimiro tornò ad inginocchiarsi ed a pregare.

Allora quel nobile che Kmita aveva interrogato gli chiese:

— Chi siete voi?

— Un nobile come voi, — rispose Pan Andrea.

— Come vi chiamate?

Babinich; sono della Lituania, vicino a Vityebsk.

— Ed io sono Pan Lugovski, maggiordomo del Re. Venite direttamente dalla Lituania?

— No; da Chenstohova.

Pan Lugovski rimase muto per un momento, poi disse:

— Se ciò è vero, venite a darci notizie. Il Re muore di ansietà mancandone da tre giorni. È così? Voi appartenete agli squadroni di Zbrojek, Kalinski o Kuklinovski?

— No. Vengo direttamente dal convento.

Davvero? Che cosa succede laggiù? Yasna Gora si difende ancora?

— Sì, e non si arrenderà. Gli Svedesi sono in procinto di ritirarsi.

— Il Re vi coprirà d'oro per tale lieta novella. Come mai vi hanno lasciato passare gli Svedesi?

— Io non ho chiesto il loro permesso; ma non posso darvi più ampie spiegazioni nella chiesa...

Giustissimo! — disse Pan Lugovski. — Venite ad attendere con me sulla porta, e quando il Re uscirà io vi presenterò a lui. Venite, non c'è tempo da perdere.

Andò innanzi, e Kmita lo seguì. Si erano appena appostati presso la porta quando apparvero i due paggi, e dietro ad essi Giovanni Casimiro.

Maestà! — disse Pan Lugovski, — questo nobile reca notizie da Chenstohova.

La faccia di cera di Giovanni Casimiro si animò all'istante.

Kmita si prostrò dinanzi a lui, ma Giovanni Casimiro lo rialzò tosto, dicendo:

Bando alle cerimonie. Alzatevi, in nome di Dio, e parlate. E stato preso il convento?

— Non è preso, e non lo sarà. Gli Svedesi sono battuti. Il loro formidabile cannone è scoppiato. Fra essi regna la paura, la fame, la miseria. Stanno per ritirarsi.

— Sia lode a Te, Regina degli Angeli! — esclamò il Re togliendosi il cappello ed inginocchiandosi sulla neve davanti alla porta del tempio. Stette così in silenzio colla testa appoggiata ad una colonna di marmo. Dopo alcun tempo si rialzò col volto ilare e tranquillo. Domandò a Kmita il suo nome, e quando questi gli ebbe detto che si chiamava Babinich, disse:

Pan Lugovski vi condurrà tosto ai nostri quartieri. Noi non faremo colazione senza udire il racconto della difesa.

Un quarto d'ora dopo, Kmita si trovava nella sala del Re davanti ad una eletta assemblea. Il Re non aspettava che la Regina per sedersi a tavola. Maria Lodovica apparve tosto. Appena Giovanni Casimiro la vide, esclamò:

Chenstohova non si è resa. Gli Svedesi si ritireranno! Questi è Pan Babinich, arrivato ora, che porta la lieta notizia.

Gli sguardi della Regina si fissarono sul giovane eroe; questi fece un profondo inchino e poi la guardò arditamente, come l'onestà e la sincerità sanno guardare.

— Sia grazie a Dio! — esclamò la Regina. — Voi ci togliete un terribile peso dal cuore.

Il Re presentò Pan Babinich a tutti i personaggi invitandolo a narrare minutamente tutto quanto era avvenuto a Yasna Gora.

Kmita, abituato a trattare con persone altolocate, principiò a fare la descrizione dell'assedio, senza mostrare il minimo imbarazzo, come un soldato che ha tutto veduto, toccato tutto con mano, provato tutto. Egli portò alle stelle Pan Zamoyski e Pan Charnyetski; parlò di Kordetski, il priore, come d'un santo profeta; esaltò tutti, eccettuato stesso.

Quando venne a narrare dell'ultimo bombardamento e dei grossi cannoni d'assedio che Miller aveva fatto venire da Cracovia, fra i quali uno, contro il quale non solo le mura d'Yasna Gora, ma nessuna fortezza del mondo poteva resistere.... si fece il più profondo silenzio, e tutti pendettero dalle labbra di Pan Andrea.

Ma d'improvviso egli si fermò; la sua faccia si suffuse di rossore, e, rialzando la testa, disse arditamente: — Ora bisogna che io parli di me stesso, sebbene preferirei tacere, onde non si creda che io voglia vantarmi.

Parlate con coraggio, io vi credodisse il Re.

— Ebbene, — soggiunse Kmita, — quel cannone io l'ho distrutto facendolo scoppiare.

— O Dio buono! — gridò il Re.

A questo grido successe il silenzio; tale era lo stupore che invase ogni persona.

— Come avete fatto? — chiese alfine il Re.

Kmita spiegò ogni cosa.

— E in qual modo vi siete salvato? — soggiunse il Re.

— L'esplosione mi stordì, — disse Kmita, — e al mattino gli Svedesi mi trovarono nella fossa svenuto. Mi giudicarono in sul momento, e Miller mi condannò a morte.

— Dunque siete fuggito?

— Un certo Kuklinovski mi richiese a Miller per poter mettermi egli stesso a morte, avendo una terribile animosità contro di me.

— Colui è un notissimo perturbatore ed assassino, ne abbiamo udito parlare, — disse il castellano di Kjyvinsk.

Dopo questa osservazione Pan Andrea riprese la parola e narrò tutto quanto era avvenuto nel granaio, ed in qual modo egli era stato salvato ed aveva fatto subire a Kuklinovski la sorte che questi aveva riservato a lui.

Maestà, — concluse Pan Andrea, — benchè sia rimasto chiuso tanto tempo nel convento di Yasna Gora mi è noto che tutti sospirano il giorno e l'ora del vostro ritorno. Basta solo che voi vi mostriate, o Maestà, ed in quel giorno tutta la Lituania e la Polonia staranno con voi come un sol uomo.

Mentre Kmita così parlava, i suoi occhi schizzavan fiamme. Il suo entusiasmo si comunicò alla Regina, la quale era donna di gran coraggio, e da lungo tempo andava persuadendo il Re al ritorno.

Quindi, rivolta a Giovanni Casimiro, ella disse energicamente:

— Dalla bocca di questo nobile io odo la voce del popolo intero.

Dio legge nel nostro cuore, che oggi stesso noi siamo pronti a partire, ci trattiene il potere degli Svedesi, bensì l'incostanza del nostro popolo, il quale, come Proteo, assume ad ogni momento un contegno diverso. Possiamo noi credere che un tale cangiamento sia sincero, che un tal desiderio non sia immaginario, che questa disposizione non sia ingannevole? Rammentate, o signori, che se noi lasciammo la patria e fummo costretti a cercar altrove un asilo, non fu per paura del nemico, ma per paura dei nostri sudditi, per salvare noi stessi, i nostri figliuoli dalla sacrilega mano dei regicidi o parricidi!

Sire! — esclamò Kmita, — il nostro popolo ha gravemente peccato; esso è colpevole, e la mano di Dio lo punisce giustamente; ma pure non vi è stato, vi sarà un uomo, che ardisca levare la mano sulla sacra persona dell'eletto da Dio.

— Voi non credete, perchè voi siete onesto, — rispose il Re, — ma noi ne abbiamo prove e lettere. I Radzivill ci hanno pagati con nera ingratitudine dei favori di cui li abbiamo colmati, ma pure Bogoslavio, benchè traditore, mosso da impulso di coscienza, non solo rifuggiva da tale atto, ma fu il primo ad avvertirci, ed a porci in guardia.

— Quale atto? — domandò Kmita attonito.

— Egli ci ha informati, — disse il Re, — che esiste un uomo il quale si è offerto di consegnarci, vivo o morto, agli Svedesi, contro il compenso di cento ducati d'oro.

Un brivido corse per tutta l'assemblea a queste parole del Re; e Kmita a stento potè formulare la domanda: — E chi era quell'uomo?... chi era?

— Un certo Kmitarispose il Re.

Tosto un'onda di sangue montò alla testa di Pan Andrea ed egli urlò con voce terribile: — Quest'è una menzogna! Il principe Bogoslavio mente per la gola! Sire, non credete a quel traditore; egli ha fatto ciò allo scopo di portare infamia contro un nemico e per ispaventarvi. Kmita non avrebbe mai fatto una cosa simile.

Le forze già esauste di Pan Andrea non ressero a quel colpo, ed egli cadde privo di sensi ai piedi del Re.

Lo portarono nella camera attigua, dove il medico del Re lo visitò. Ma nell'assemblea nessuno potè spiegarsi come mai le parole del Re avessero potuto produrre così terribile impressione sul giovane.

— Che sia forse un parente di questo Kmita? — disse il castellano di Cracovia.

— Bisogna interrogarlo, — soggiunse il cancelliere. — In Lituania i nobili sono quasi tutti parenti.

Maestà! — prese a dire un giovane cortigianoDio mi guardi dal voler dir male di quel giovane ma mi corre con insistenza il pensiero alla mente, che egli non sia ciò che egli dice di essere. Io l'ho incontrato in qualche luogo nella Lituania... quand'ero ancora fanciullo, ma non mi rammento dove ed in quale occasione.

— E che per ciò? — chiese il Re.

Sire, mi pare che Babinich non sia il suo vero nome.

— Ch'egli sia Babinich o no, poco importa, — replicò Giovanni Casimiro. — La sincerità e la verità gli si leggono in fronte, ed è evidente ch'egli ha un cuor d'oro.

— Egli merita più fede che non la lettera del principe Bogoslavio, — disse ad un tratto la Regina. — È evidente che doveva importar molto ai Radzivill di Birji che noi perdessimo completamente il coraggio; e viene da l'ammettere, che il principe Bogoslavio desiderasse in pari tempo vendicarsi di qualche nemico.

— Se io non fossi avvezzodisse il Primate, — a udir la saviezza medesima scaturire dalla bocca della nostra graziosa Regina, rimarrei attonito per l'assennatezza di tali parole.

Incoraggiata da tali detti la Regina prese a dire: — Io non mi curo dei Radzivill di Birji, della lettera di Bogoslavio che può essere informata ad interessi privati. Ma mi affliggono le parole di sconforto che il mio Signore, il Re, ha pronunciato a carico del nostro popolo. Imperocchè, chi risparmierà i nostri sudditi se lo stesso loro Re li condanna? Qual'altra nazione va esente come questa, delle infernali bestemmie, da truci delitti, da interminabili contese, di cui sono sempre ripiene le cronache straniere? Chi può citarmi nella storia del mondo l'esempio di un altro Regno in cui i Re sian tutti morti di morte naturale e tranquilla? Il popolo pecca di leggerezza ed ha errato ma si è pentito ed ha riconosciuto il proprio errore. Vedete, esso viene già a noi compunto, ed è pronto a spargere il suo sangue, e dare la propria vita per Vostra Maestà. E voi lo respingete? non perdonerete agli offensori pentiti? non crederete ai ravveduti, a coloro che fanno penitenza? non ridonerete il vostro paterno affetto ai vostri figliuoli, perchè un giorno hanno errato? No, Sire, voi non li respingerete e vi affiderete alla loro divozione, perchè in tal modo soltanto voi potete tramutare il male in bene, le sofferenze in giubilo, le disfatte in trionfo.

Detto ciò, la Regina sedette con gli occhi fiammeggianti.

— Io non ho ancora perduto il Regno, perchè Dio mi ha dato una tal Regina! — esclamò Giovanni Casimiro con enfasi. — Farò quello che ella mi detta, giacchè ha parlato con profetica ispirazione.

— Io non mi oppongo alla volontà dei miei Sovrani, penso a distoglierli dalla loro determinazione, per quanto azzardosa, — disse il Primate. — Tuttavia crederei cosa prudente radunarsi a Opol, dove dimora la maggioranza dei senatori, onde udire il parere di tutti.

— Dunque andiamo ad Opol! — replicò il Re; — quindi ci metteremo in cammino per i nostri Stati, e sarà quello che Dio vuole.

Dio ci darà un felice ritorno e la vittoria! — disse la Regina.

Amen! — rispose il Primate.


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