IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Dappoichè i montanari venuti così provvidenzialmente in aiuto del Re, assicuravano che sulla strada per Chorshtyn non eravi più nulla a temere da parte de' nemici, la scorta di Giovanni Casimiro si diresse verso quel castello, e presto si trovò sulla strada maestra, sulla quale il viaggio procedette meno faticosamente. I montanari si erano uniti alla scorta, e a mano a mano altre masse di popolo venivano a raggiungerli attratti dalle loro festose grida di: — Viva il nostro Re! — Anche i nobili di Novy Sang e Stary Sang cominciarono ad unirsi al popolo. Dissero che un reggimento polacco comandato da Voynillovich aveva disfatto gli Svedesi.
Ciò fu tosto confermato quando si videro sventolare sulla strada le bandiere, e Voynillovich stesso si avanzò col reggimento del Voivoda di Bratslav.
Il Re salutò con gioia il celebre e a lui ben noto cavaliere, e in mezzo all'universale entusiasmo del popolo e dell'esercito, mosse verso Spij.
Il nunzio, che aveva lasciato la Slesia pieno di timori per la sorte del Re e per la sua pelle, ora era fuori di sè dalla contentezza, essendo ormai sicuro che l'avvenire avrebbe portato vittoria al Re ed alla Chiesa sopra gli eretici, ed i vescovi condividevano la sua gioia.
— Le truppe polacche oggi si picchiano il petto con una mano, e coll'altra picchiano gli Svedesi, — disse Voynollovich. — Io li ho attirati fuori di Novy Sanch, e Dio mi ha dato la vittoria. Pan Feliciano Kokovzki, colla fanteria di Navoi mi aiutò, ed essi vennero pure sconfitti da quei dragoni che attaccarono tre giorni fa.
— Quali dragoni? — domandò il Re.
— Quelli che Vostra Maestà spediva innanzi dalla Slesia. E noi morivamo quasi d'inquietudine, pensando che Vostra Maestà si trovava fra quegli uomini. Iddio v'ha ispirato di mandar innanzi quei dragoni. Jegoski e Kuleska sono attivi nella Grande Polonia — soggiunse Voynollovich — Lantskoron è nelle nostre mani, e in Podlyasye, Sapyeha stringe d'assedio Tykotsin. Gli Svedesi sono in grandi angustie, condivise dal principe Voivoda di Vilna. Si dice che esiste una specie di confederazione formatasi colà contro gli Svedesi, della quale fanno parte Sapyeha e Stefano Charnyetski.
— Charnyetski è ora in Lyubelsk?
— Sì, Maestà. Ma egli oggi è qui, domani è altrove. Io devo unirmi a lui, ma non so dove trovarlo.
— Non vi prendete pensiero di ciò, — disse il Re — lo troverete.
— Lo credo anch'io, — rispose Voynillovich.
Così conversando giunsero in cima ad un colle da dove la vista spaziava ampiamente sul paese circostante. In lontananza videro avanzarsi una massa nera.
— Le truppe del Maresciallo! — esclamò Voynillovich.
— Purchè non siano invece Svedesi — osservò il Re.
— No, Sire; gli Svedesi non potrebbero venire dalla parte dell'Ungheria. Distinguo la bandiera degli usseri.
Il cuore del Re sussultò di giubilo alla vista di quelle truppe che gli muovevano incontro.
— Fermiamoci qui. Aspetteremo qui il Maresciallo, — disse il Re.
La scorta, con tutto il seguito, si fermò, ed un quarto d'ora dopo l'occhio potè abbracciare tutta quella massa di soldati che era avanzata rapidamente.
Le truppe presero posizione su due linee lungo la strada, e fra queste apparve su un cavallo bianco il Maresciallo del Regno, Pan Giorgio Lyubomirski. Egli si precipitò innanzi come un turbine seguito da due scudieri. Giunto ai piedi del colle scese da cavallo, e gettate le redini ad uno scudiero, salì a piedi sull'altura dove si era fermato il Re.
Egli si tolse il berretto, ed avanzò a capo scoperto verso il suo Sovrano.
Era un uomo nel vigore dell'età, di splendide forme. La testa aveva rasa attorno alle tempia; la fronte alta e un naso romano, accrescevano la bellezza e l'espressione del suo viso. Gli occhi erano piccoli e velati da palpebre rossiccie. Dalla sua fisonomia spirava una grande dignità, ma anche una incomparabile vanità. A prima vista s'indovinava che quel magnate anelava ad attirare sopra di sè gli occhi di tutta la Repubblica, anzi, di tutta Europa.
Lyubomirski avrebbe accettato una corona, se i nobili gliel'avessero posta sul capo: ma essendo d'animo debole, non aveva osato desiderarlo apertamente ed esplicitamente come il principe Radzivill. Radzivill era uno di quegli uomini cui il delitto abbassa al livello del delinquente, ed il successo eleva all'altezza dei semidei: Lyubomirski era un uomo sempre pronto a compromettere la salvezza della patria se si sentiva offeso nel suo orgoglio, senza sapere poi rialzarla con l'opera propria. Radzivill morì come il più colpevole, Lyubomirski come il più pericoloso degli uomini.
Ma in quel momento il suo orgoglio era abbastanza soddisfatto; si diceva che egli, per il primo, prendeva sotto la sua protezione il proprio Sovrano, che a lui spettava di rimetterlo sul suo trono, e a lui erano rivolti gli occhi di tutti.
Il Re spinse alquanto il cavallo verso il declivio, quindi si fermò per discendere e salutare. Ciò vedendo il Maresciallo si slanciò in avanti per tenere la staffa colle sue mani; e in quel momento, afferrato il proprio mantello se lo tolse dalle spalle, ed imitando l'esempio di certi cortigiani inglesi, lo gettò ai piedi di Sua Maestà.
Il Re, tocco nel cuore, aperse le braccia al Maresciallo, e se lo strinse al petto come un fratello. Per un tratto non potè parlare per la commozione; ma finalmente disse:
— Signor Maresciallo, noi vi ringraziamo con tutta l'anima.
— Sire, — rispose Lyubomirski, — la mia sostanza, la mia vita, il mio sangue, tutto ciò che possiedo depongo ai piedi di Vostra Maestà.
— Evviva! Viva Giovanni Casimiro Re! — tuonarono migliaia e migliaia di voci.
— Evviva il nostro Re, il nostro buon padre! — gridarono i montanari.
Dopo i primi saluti il Re rimontò a cavallo, ed il Maresciallo, per mostrare la sua devozione afferrò la briglia e condusse il Re fra le sue truppe, finchè giunsero presso una carrozza dorata tirata da otto cavalli pomellati, nella quale Giovanni Casimiro sedette avendo al fianco Vidon, il nunzio del Papa.
Tutti gli altri dignitari salirono in altre vetture, ed il corteo si mosse lentamente verso Lyubovlya fra le entusiastiche acclamazioni dei soldati e del popolo.
Sfortunatamente in mezzo al giubilo ed all'entusiasmo, nessuno prevedeva che più tardi le truppe di Lyubomirski si sarebbero di nuovo ribellate contro il loro legittimo Sovrano.
A Lyubovlya il Re discese dalla carrozza nel cortile del castello dove tutto era pronto per riceverlo.
Al banchetto, che ebbe luogo più tardi, il Re occupava un seggio elevato e il Maresciallo in persona volle servirlo. Alla destra del Re sedeva il nunzio; alla sinistra il Primate, principe Lehchinski.
In altra sala era preparata la tavola dei nobili, e fuori del castello si erano erette baracche pei contadini, perchè tutti, di qualsifosse ceto e grado, potessero allegramente festeggiare il ritorno del Re.
Giovanni Casimiro parlava dell'orribile combattimento avvenuto nel burrone, lodando il cavaliere che aveva trattenuto pel primo l'assalto degli Svedesi.
— E come sta egli? — domandò al Maresciallo.
— Il medico non lo abbandona, e garantisce della sua vita, — rispose Lyubomirski.
— Sia lodato Iddio! — sclamò il Re. — Io ho udito qualche cosa dalle sue labbra, che non ripeterò, perchè temo di non avere udito bene o ch'egli l'abbia detto sotto l'influenza del delirio; ma se quello ch'egli ha detto fosse vero ne rimarreste attoniti.
— Basta non abbia detto nulla che possa rattristare Vostra Maestà.
— Null'affatto! — disse il Re, — anzi, è cosa che ci ha confortati, perchè conferma che perfino coloro, cui noi con ragione consideravano come i nostri più accaniti nemici, sono ora pronti a dare all'occorrenza, il sangue e la vita per la nostra persona.
L'animazione a tavola divenne sempre maggiore. Si entrò gradatamente a parlare delle faccende politiche; si parlò dell'aiuto promesso dall'Imperatore, ma che fino allora s'era aspettato invano, e dell'appoggio dei Tartari, e della prossima campagna contro gli Svedesi.
Verso la fine del banchetto il Maresciallo fece un cenno al suo maggiordomo, il quale si avvicinò con due coppe di cristallo veneziano, d'un lavoro così meraviglioso che avrebbe potuto passare per l'ottava meraviglia del mondo. Ne porse una al Re e l'altra al Maresciallo, colme di malvasia. Allora tutti si alzarono. Il Maresciallo alzò la coppa e gridò con quanta voce aveva in corpo:
— Viva Giovanni Casimiro nostro Re!
— Evviva! Evviva! — ripeterono tutti i commensali con entusiasmo.
Era tale la gioia del Maresciallo che pareva impazzire, e vuotando la coppa, gridò sì forte che la sua voce vinse il tumulto generale:
— Ego ullimus!
E nel dire così scagliò in terra la preziosa coppa, come voleva l'uso, che andò in mille frantumi.