Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO X.

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CAPITOLO X.

In mezzo alla festa il buon Re non dimenticava il fedel cavaliere che sì intrepidamente aveva esposto il proprio petto per difenderlo, ed il giorno seguente al suo arrivo a Lyubovlya fece visita al ferito. Lo trovò in e quasi lieto, sebbene pallido come un morto, perchè il giovane eroe non aveva ricevuto, per grazia speciale di Dio, delle ferite molto gravi, ma aveva perduto una grande quantità di sangue.

Alla vista del Re, Kmita si pose a sedere sul letto, e sebbene il Re insistesse perchè si adagiasse, non volle.

Maestà, — diss'egli, — fra un paio di giorni sarò a cavallo, e col permesso di Vostra Maestà mi rimetterò in marcia.

— Eppure devono avervi ferito orribilmente. È cosa inaudita che un uomo solo possa tener testa a tanta gente.

— Mi sono trovato più volte in questo caso, — replicò Pan Andrea.

— Ma dove vi siete battuto prima d'ora? — gli chiese Giovanni Casimiro.

Un rossore passeggero apparve sulla faccia di Kmita.

Sire, — egli rispose, — io assalii Hovanski, quando tutti abbandonavano le armi.

— Avete assalito Hovanski? — esclamò il Re con meraviglia. — Ma dunque è vero ciò che mi diceste nel burrone? È vero che non siete Babinich? Noi sappiamo chi attaccò Hovanski!

Dopo breve silenzio il giovane cavaliere alzò gli occhi, e disse:

— Non fu delirio ma verità. Io sono Andrea Kmita, il porta stendardo d'Orsha. Io sono quel bandito condannato da Dio e dagli uomini per uccisioni e violenze. Io servii Radzivill, e insieme con lui tradii Voi e la patria. Ma ora mi batto il petto e ripeto mea culpa, mea culpa! e imploro la vostra paterna pietà.

Le lagrime sgorgavano dagli occhi del cavaliere, e tremando si fece a cercare la mano del Re. Giovanni Casimiro non ritrasse la sua mano, ma si fece triste, e replicò:

— Chi su questa terra cinge una corona deve incessantemente perdonare; quindi noi amiamo concedervi il nostro perdono, dappoichè a Yasna Gora e nel burrone ci avete servito con fedeltà esponendo la vostra vita. Ma v'è una cosa che non possiamo dimenticare, cioè che voi offriste al principe Bogoslavio di alzare le mani sulla Maestà nostra, finora inviolabile.

Kmita, che un momento prima non poteva muoversi, balzò dal letto, il crocifisso che pendeva alla parete sopra il suo capo, e respirando affannosamente, disse:

— Per la salvezza di mio padre e di mia madre, per le piaghe del Crocifisso, è falso! Bogoslavio ha mentito infamemente per vendicarsi di me.

— Dunque il principe inventò una tal cosa? — domandò il Re attonito.

— Fu una sua infernale vendetta per quello che io gli avevo fatto.

— Che cosa gli faceste?

— Io lo portai via di mezzo alla sua Corte ed alle truppe. Volevo buttarlo legato ai piedi di Vostra Maestà.

Il Re rimase come inebetito per lo stupore.

Kmita voleva spiegare come era andata la cosa, ma il Re vide il suo pallore, e perciò disse:

Riposatevi; più tardi mi direte tutto. Io vi credo; eccovi la nostra mano.

Kmita premette la mano del Re contro le sue labbra, e, benchè molto debole, volle narrargli tutta la sua storia.

— Vi perdono tutto! — esclamò Giovanni Casimiro quando Kmita ebbe finito la sua lunga narrazione che aveva dovuto interrompere parecchie volte per riposarsi. — Coloro vi mistificarono infamemente, ma voi li avete pagati! Kmita solo poteva far questo, e nessun altro. Io vi perdono ogni cosa con tutto il cuore! Voi mi siete caro come se foste mio figlio. Vi perdono tutto, lo ripeto, e la patria vi perdona con me. Ponete fine ad ogni rammarico.

Dio conceda a Vostra Maestà ogni bene per tale clemenza, — disse il cavaliere colle lagrime agli occhi. — Ma io devo ancora fare penitenza nel mondo per quel giuramento fatto a Radzivill.

Iddio non vi condannerà per questo — disse il Re. — Egli allora dovrebbe condannare all'inferno tutti coloro che ruppero fede a noi.

Kmita sorrise fra le lagrime.

— Che Dio mi restituisca le forze, ed io purificherò la mia anima nel sangue di più d'uno Svedese, con che spero non solo d'acquistar merito presso Dio, ma ancora di lavare da ogni macchia la mia reputazione.

— State di buon'animo. Verranno presto tempi più tranquilli; allora io stesso metterò in luce i vostri servigi, che non sono lievi, e certamente si faranno maggiori, e alle Diete solleverò tale quistione, che sarà tosto riparato il vostro onore.

— La parola di Vostra Maestà mi consola, — soggiunse Kmita, — ma prima d'allora le Corti di giustizia mi chiameranno a render conto dei miei misfatti, dal che non può preservarmi l'influenza di Vostra Maestà. E pazienza questo. Ma io pavento la fanciulla che amo. Ella si chiama Olenka, Sire; non l'ho più veduta da lungo tempo, ed ho sofferto immensamente per lei.

Giovanni Casimiro sorrise benevolmente.

— Come posso io aiutarvi in ciò, mio povero figliuolo?

— Chi mi può aiutare se non Vostra Maestà? Quella fanciulla è interamente devota alla Maestà Vostra e non dimenticherà mai le mie gesta di Kyedani, ammenochè Vostra Maestà interceda per me, e renda testimonianza della mia conversione.

— Se è per questo non mancherò d'intercedere... purchè ella sia ancor libera e non le sia accaduta qualche disgrazia, come è facile e frequente in tempo di guerra.

— Possano gli angeli proteggerla!

— Ella lo merita! Affinchè le Corti non vi molestino, ecco che cosa farete. Presto si comanderanno delle leve. Ora, siccome voi siete proscritto, non posso affidare un tale incarico a Kmita ma lo darò a Babinich. Voi farete l'arruolamento da valente soldato qual siete; poi prenderete il campo sotto il comando di Stefano Charnyetski; sotto di lui la morte è facile, ma le occasioni di acquistar gloria sono ancora più facili. E se si presenta il bisogno voi potrete assalire gli Svedesi come assaliste Hovanski. La vostra conversione e le vostre onorevoli azioni incominciarono allorchè assumeste il nome di Babinich; continuate a chiamarvi Babinich, e le Corti vi lasceranno in pace. Quando il vostro nome risuonerà trionfante per tutta la Repubblica, vengasi pur a scoprire chi siete. Molti si vergogneranno di citare un bel cavaliere davanti un tribunale, altri saranno morti; voi soddisferete i rimanenti. Io vi prometto che porterò i vostri servigi alle stelle e li presenterò alla Dieta per una ricompensa, perchè ai miei occhi la meritano.

Kmita, quantunque ammalato, balzò fuori dal letto e si prostrò dinanzi al Re.

— In nome di Dio! che fate? — gridò il Re.

Il Maresciallo, che da tempo lo cercava per tutto il castello, udì la sua voce ed entrò.

Santo Giorgio! mio Patrono! che cosa vedo! — esclamò scorgendo il Re che sorreggeva Kmita.

— Questi è Babinich, il mio più diletto soldato, il mio più fedel servo, che ieri mi salvò la vitadisse il Re. — Aiutatemi, signor Maresciallo, ad adagiarlo di nuovo sul suo letto.


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