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Il 25 dicembre Sapyeha era tanto certo di vincere, che si era recato a Tyshovsti lasciando proseguire l'assedio a Pan Oskyerko. Egli però diede ordine di non dare l'assalto definitivo fino al suo ritorno, che sarebbe avvenuto fra breve, perchè era stato informato che alcuni ufficiali intendevano fare giustizia del principe Giovanni Radzivill non appena questi fosse caduto nelle loro mani.
Quando tutto fu pronto per la partenza, Pan Sapyeha prese commiato dagli ufficiali e diede a ciascheduno le opportune istruzioni sul da farsi in sua assenza. In fine, avvicinatosi a Volodyovski, gli disse:
— Se per caso il castello capitolasse prima del mio ritorno, voi mi rispondete della vita del Voivoda.
— Garantisco a Vostra Grazia che non gli sarà torto neppure un capello, — rispose il piccolo cavaliere.
Pochi giorni dopo, il grande traditore contemplava dalle finestre del castello la neve, che come un funebre lenzuolo copriva la campagna, e tendeva l'orecchio al lugubre urlo del vento.
La lampada della vita si andava spegnendo lentamente per lui. A mezzogiorno passeggiava intorno alle mura contemplando le tende e le costruzioni in legno delle truppe di Sapyeha, due ore dopo si sentì tanto male che dovette essere portato nelle sue stanze.
Da quei tempi in cui nel castello di Kyedani smaniava per una corona, egli era oltremodo cambiato. I suoi capelli eransi fatti bianchi, rossi cerchi eransi formati intorno ai suoi occhi; la faccia era divenuta gonfia, floscia e nello stesso tempo quasi cadaverica, resa orribile dall'espressione di torture inesprimibili.
Eppure, sebbene la sua esistenza si potesse ormai contare a ore, egli aveva vissuto troppo. Tutto avevalo ingannato; eventi, calcoli, alleanze. Non gli era bastato di essere il più potente magnate della Polonia, principe del Romano Impero, Capitano generale di Lituania e Voivoda di Vilna; adesso si vedeva confinato in un piccolo castello, dove null'altro più lo attendeva, se non la prigionia o la morte!
Poco tempo prima era tanto ricco che avrebbe potuto formarsi un regno con i suoi possedimenti, ed ora non era nemmen più padrone delle mura di Tykotsin.
Dacchè le sue truppe l'avevano abbandonato, Carlo Gustavo lo disprezzava. Il re di Svezia avrebbe portato alle stelle un potente alleato, ma non si degnava gettare uno sguardo sopra un uomo che gli chiedeva aiuto.
Tutti lo avevano abbandonato, parenti, amici, conoscenti. Le truppe avevano saccheggiato le sue proprietà; i suoi tesori erano iti in fumo, ed, orribile a dirsi, Radzivill, negli ultimi giorni di sua vita pativa la fame!
Da lungo tempo nel castello mancavano i viveri ed il comandante aveva ridotto le razioni ai minimi termini.
Se almeno in quegli estremi momenti gli fosse venuta meno la coscienza! Ma no! Il suo respiro si faceva sempre più affannoso, poi divenne un rantolo.
Il corpo era freddo ma la mente, salvo nei rari momenti di delirio, rimaneva lucida, ed egli vedeva tutta la sua miseria, tutta la sua umiliazione.
Inoltre, come le furie tormentavano Oreste, così tormentavano l'anima di Radzivill i rimorsi. Ed ora che cosa lo aspettava?
I capelli gli si rizzavano in capo nel pensarvi.
Al principio della spedizione contro Podlyasye egli era pieno di speranza. Gli squadroni polacchi lo avevano abbandonato, ma egli si confortava, dicendosi che un qualche giorno Bogoslavio sarebbe venuto in suo soccorso.
Ma invece trascorsero i giorni, le settimane, i mesi, e Bogoslavio non venne e cominciò finalmente l'assedio.
Il principe sperò sino all'ultimo momento che forse il Re di Svezia stesso sarebbe venuto ad aiutarlo. Vana speranza! Nessuno pensò a lui.
L'assedio volgeva rapidamente al suo termine. La notizia della partenza di Sapyeha si sparse quasi tosto entro lo mura del castello ma la speranza che l'assedio venisse tolto si mostrò fallace. Il principe era stato adagiato sopra un sofà in una sala situata al lato occidentale del castello.
Intorno a lui sedevano il medico, l'astrologo e Pan Kharlamp.
Kharlamp non aveva lasciato il principe. Era per lui un servizio amaro, perchè il cuore e l'anima dell'ufficiale stavano con i suoi commilitoni nel campo di Sapyeha.
I patimenti e la fame avevano reso il pover'uomo simile ad uno scheletro. Egli stava in quel momento sonnecchiando per la stanchezza e la debolezza, sebbene il respiro del principe divenisse vieppiù affannoso e somigliante al rantolo della morte. D'improvviso il corpo gigantesco di Radzivill cominciò a tremare e il rantolo cessò. Coloro che gli stavano d'intorno gli si avvicinarono premurosamente.
— Mi sento meglio, — diss'egli. Volse poi gli occhi verso la porta e chiamò Kharlamp.
— Agli ordini di Vostr'Altezza.
— Che cosa vuole qui Shahovich? — egli chiese.
Le gambe tremarono sotto il povero Kharlamp perchè egli era assai superstizioso. Guardò rapidamente intorno alla camera, e replicò con voce soffocata:
— Shahovich non è qui: Vostr'Altezza diede ordine di fucilarlo in Kyedani.
Il principe chiuse gli occhi e tacque.
Per un pezzo non si udì più altro che l'urlo del vento.
— Il popolo piange — soggiunse il principe, aprendo di nuovo gli occhi e perfettamente in sè. — Ma non sono stato io a chiamare gli Svedesi, è stato Radzeyovski. — Siccome nessuno gli rispondeva, aggiunse:
— Ha fatto male, male, male! Ma non fui io, fu Radzeyovski, — replicò ancora, e nel suo spirito parve entrare una specie di conforto, al pensiero che eravi qualcuno più colpevole di lui.
Ma ben tosto altri dolorosi pensieri parvero turbare la sua mente, perchè la sua faccia si oscurò, ed egli ripetè più volte:
E di nuovo l'assalì la soffocazione. Mentre egli rantolava si udiva di fuori lo sparo dei moschetti.
— Si battono! — disse il medico.
— Come al solito! — rispose Kharlamp. — Quella gente ha freddo, e procura di riscaldarsi combattendo.
— Kharlamp! — mormorò il principe con voce soffocata, — che giorno è oggi?
— L'ultimo di dicembre, Altezza.
— Dio abbia misericordia dell'anima mia!... Io... io non vivrò sino al nuovo anno... Tempo fa mi era stato predetto, che ogni cinque anni la morte si sarebbe avvicinata a me.
— Iddio è con Sapyeha — replicò il principe malinconicamente.
Tutt'a un tratto guardò intorno a sè ed esclamò: — Non la vedo ma sento che è qui.
— Chi, Altezza?
— La morte.
— Ditemi, — domandò il principe, con voce rotta, — credete voi che fuori della vostra fede nessuno possa salvarsi?
— Anche nel momento della morte è possibile rinunciare agli errori, — disse Kharlamp.
Il rumore degli spari si era fatto in quel momento più frequente e cominciò di nuovo a tuonare il cannone.
Il principe si pose in ascolto, poi si sollevò un pochino sui cuscini, e stringendosi il capo fra le mani, si diede a gridare ad un tratto, come in preda a terribile disperazione:
— Bogoslavio! Bogoslavio! Bogoslavio!
Kharlamp uscì della stanza come un pazzo; si sentiva straziare l'anima.
Improvvisamente si udì un urlo spaventevole emesso da parecchie migliaia di voci; poi il frastuono di muri crollanti, di macerie che cadevano a terra. Subito dopo Kharlamp rientrò, gridando:
— Le truppe di Sapyeha hanno atterrata la porta. Il nemico è qui, Altezza!
La parola gli morì sul labbro. Radzivill stava seduto sul sofà, cogli occhi sbarrati, con i denti scoperti come quelli d'un cane in atto di mordere; egli strappava colle mani la stoffa del sofà, e fissando con terrore la porta gridò, o piuttosto urlò raucamente fra un respiro e l'altro:
— Fu Radzeyovski... non io... Salvatemi!... Che cosa volete?... Eccovi la corona!... Fu Radzeyovski.!... Salvatemi! Gesù, Gesù, Maria!
Queste furono le ultime parole di Radzivill.
Quindi lo assalì un violento accesso di tosse e gli occhi gli uscirono in modo spaventoso dalle orbite. Egli ricadde all'indietro e rimase immobile senza dare più segno di vita.
Kharlamp si avvicinò al cadavere e gli chiuse le palpebre; poscia si tolse dal petto un'immagine della Madonna, incrociò le braccia di Radzivill sul petto, gli pose l'immagine fra le dita. Sedette poi accanto al cadavere, e appoggiando i gomiti sulle ginocchia si nascose la faccia fra le mani.
Regnò per alcuni istanti un profondo silenzio, ma ad un tratto un vivo sprazzo di luce illuminò la stanza, e nello stesso tempo si udì un terribile fracasso, come se la terra sprofondasse sotto il castello. I muri traballarono, i cristalli delle finestre caddero in frantumi sul pavimento.
Tutti si prostrarono colla faccia a terra, resi muti dal terrore.
Kharlamp fu il primo a rialzarsi.
— Gli Svedesi hanno fatto saltare la torre — diss'egli — piuttosto che arrendersi.
Mentre così diceva si udì un rumore confuso di voci e di passi, la porta della camera si spalancò, e dei soldati vi entrarono precipitosamente tenendo in mano delle lanterne. Un piccolo cavaliere tutto coperto d'una maglia di ferro si avanzò gridando:
— Eccolo! — disse Kharlamp additando la salma sul sofà.
Volodyovski la guardò e chiese:
— È morto?
— È morto, — risposero i presenti.
— Il traditore, lo spergiuro è morto! — esclamò Pan Michele.
— È morto, — ripetè Kharlamp tristemente, — ma non insultate il suo cadavere, perchè prima di morire egli ha chiamato Nostra Signora e ne tiene l'immagine fra le mani.
Queste parole produssero su tutti una grande impressione. Le grida cessarono all'istante.
Stankyevich, i due Skshetuski, Horoskyevich, Yakub Kmita, Oskyerko e Pan Zagloba si accostarono al sofà.
— È vero! — disse Zagloba a bassa voce come se temesse di svegliare il principe. — Egli tiene fra le mani Nostra Signora, e la Sua grazia si riflette sul suo viso.
Nel dire così si tolse il berretto e tutti gli altri lo imitarono. Un riverente silenzio succedette, interrotto alfine da Volodyovski.
— Il principe sta dinanzi al tribunale di Dio, — diss'egli, — ma tu, Kharlamp, disgraziato, perchè per servir lui hai rinnegato la tua patria ed il tuo Re?
Kharlamp si alzò in piedi, si tolse dal fianco la sciabola e la gettò ai piedi dei colonnelli.
— Eccomi, fatemi pure a pezzi! — egli esclamò. — Non l'ho lasciato quand'era potente come un Re, e quando si è trovato nella miseria non volli abbandonarlo. Fate di me quel che volete, perchè io confesso (e qui la voce gli tremava) confesso che lo amavo.
Così dicendo barcollava e sarebbe caduto, ma Zagloba gli aperse le braccia, lo sostenne, e gridò:
— Date da mangiare e da bere a quest'uomo! Non vedete che muore d'inedia?
Questa scena toccò il cuore a tutti; quindi presero Kharlamp fra le loro braccia e lo condussero fuori della camera.
Nell'incamminarsi di nuovo ai loro quartieri, Zagloba si fermò, tirò Volodyovski per l'abito, e gli disse:
— Pan Michele, che ne sarà stato di Panna Billevich?
— Panna Billevich non è nel castello, — rispose il piccolo cavaliere.
— Come lo sai?
— Chiesi di lei ad alcuni paggi. Bogoslavio la condusse con sè a Taurogi.
— Ehi! — disse Zagloba. — Gli è come affidare una pecora ad un lupo. Ma questo non ci riguarda. Panna Billevich non è destinata a te.