Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XII.

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CAPITOLO XII.

Fin dal momento dell'arrivo del Re a Leopoli, la città erasi trasformata in una vera capitale della Repubblica. Insieme con Giovanni Casimiro erano venuti quasi tutti i vescovi del paese e i senatori che non avevano servito il nemico. I proclami pubblicati avevano già fatto accorrere i nobili di Rus e delle provincie più lontane non occupate dagli Svedesi.

I Cosacchi non osavano opporsi, poichè anche i loro cuori erano commossi, ed inoltre erano forzati dai Tartari ad inchinarsi al Re ed a rinnovare per la centesima volta il loro giuramento di fedeltà.

Era pure giunta un'ambasciata tartara, pericolosa assai per i nemici del Re, guidata da Suba Gazi Bey, la quale offriva, in nome del Khan, un'orda di centomila uomini in aiuto alla Repubblica, dei quali quarantamila si trovavano vicino a Kamenyets pronti a mettersi in marcia.

E con tale ambasciata ne veniva un'altra dalla Transilvania, onde intavolare accordi con Rakotski circa la successione al trono. Anche l'ambasciatore dell'Impero era presente. Ogni giorno poi giungevano deputazioni dalle armate del Regno e della Lituania e da tutte le province con dichiarazioni di fedeltà e col più sincero desiderio di difendere la patria.

In Leopoli regnava come una perpetua festa.

Le campane di tutte le chiese, cattoliche e non cattoliche, non cessavano di suonare, annunziando a tutti che Leopoli era, per suo eterno onore, fra tutte le capitali la prima a ricevere il Re tornato dall'esilio.

Giovanni Casimiro confermò la confederazione di Tyshovsti e vi si unì egli stesso; prese la direzione di tutti gli affari nelle sue mani, ponendo il bene della Repubblica di sopra ad ogni cosa, anche alla sua salute.

Ma non era qui il limite de' suoi sforzi. Egli voleva formare una lega fra tutti gli stati, una lega tale, che nessun potere umano potesse vincere, una lega che servirebbe a riformare radicalmente la Repubblica.

Il secreto era sfuggito a qualche senatore, e si divulgò, sicchè fin dalla mattina corse la voce, che durante i divini uffici sarebbe avvenuto qualche cosa d'importante... che il Re avrebbe fatto qualche solenne giuramento concernente la condizione del basso popolo. La curiosità era grandissima, l'aspettazione ansiosa.

La giornata era gelida e limpida; fiocchi di neve volavano per l'aria. Due file di soldati facevano ala davanti alla Cattedrale. Fra queste due file passò una lunga processione di senatori, di magnati, di nobili, di artigiani e finalmente di basso popolo.

A nessuno fu inibito l'ingresso, e ben presto la chiesa apparve gremita.

Per ultimo giunse il Re insieme al nunzio, all'arcivescovo di Guyezno, al vescovo principe Charnyetski, al vescovo di Cracovia, all'arcivescovo di Leopoli, al gran Cancelliere del Regno, a molti Voivoda e castellani.

La messa venne celebrata dal nunzio Vidon. Giovanni Casimiro vi assistette prostrato a terra a braccia aperte, come era suo costume, e si alzò soltanto per ricevere la comunione. Dopo ciò rimase concentrato in stesso.

Regnava in quel momento il più profondo silenzio nella chiesa. Ognuno indovinava ch'era giunto il momento solenne in cui Casimiro farebbe il suo giuramento.

Infatti, dopo alcuni istanti egli prese a dire con voce commossa ma sonora:

— O gran Madre della divina umanità, o gran Vergine! Io, Giovanni Casimiro, per favor tuo e del tuo figliuolo, Re di Polonia, qui prostrato ai tuoi santissimi piedi, giuro di scegliere Te a mia Patrona e Regina dei miei dominii. Commetto alla tua speciale protezione me stesso, il mio Regno, il Principato di Lituania, Russia, Prussia, Mazovia, Imud, Livonia e Chernziov, gli eserciti e tutto il mio popolo. Domando umilmente il tuo favore ed aiuto contro i nostri nemici e la vittoria sugli Svedesi. E in compenso, prometto di fare tutti i possibili sforzi unitamente agli Stati di questa Repubblica, per poter liberare il povero popolo dall'ingiustizia e dalla crudeltà che lo opprimono. E giacchè Tu, o Madre di misericordia, m'ispirasti di fare questo giuramento, ottienmi ora, per misericordia tua dal Figliuolo Tuo, la grazia di poter compiere quanto prometto.

A queste parole del Re il popolo scoppiò in pianto, e questo sfogo spontaneo e sincero di tenerezza si propagò a tutte le classi e divenne universale.

fu solo entusiasmo che s'impossessò di tutti i cuori, bensì anche vero e ardente affetto verso la Repubblica e la sua Divina Patrona.

Dopo i divini uffici, in mezzo al tuonare della moschetteria e dei cannoni e fra formidabili grida di — Evviva! — il corteo mosso verso il castello, dove il Re confermò il giuramento da lui fatto in chiesa e la confederazione di Tyshovtsi.


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