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In quello stesso giorno Akhah Ulan si presentava al Re e gli rimetteva lettere del Khan, in cui questi ripeteva la sua promessa di muovere con centomila uomini della sua orda contro gli Svedesi, purchè gli fossero pagati in anticipazione quarantamila talleri, e si trovassero i campi coperti della prima erba, senza di che sarebbe stato difficile mantenere sì gran numero di cavalli. Quel distaccamento era stato mandato dal Khan come una testimonianza del suo favore, onde i Cosacchi, che ancora minacciavano di ribellarsi, avessero un segno evidente, che un tal favore non sarebbe finito lì, ma che al primo tentativo di ribellione, la sua collera e vendetta sarebbe piombata su di loro.
Il Re ricevette Akbah Ulan affabilmente, e presentandogli in dono un bel destriero, gli disse che lo avrebbe mandato subito da Pan Charnyetski, desiderando convincere con i fatti gli Svedesi che il Khan veniva davvero in aiuto alla Repubblica.
Era appena uscito l'Agà, quando Kmita entrò, e prostratosi ai piedi del Re, gli disse:
— Sire! Io non sono degno del favore che domando, ma ci tengo più che alla mia vita. Permettetemi di assumere il comando di questi Tartari e di muovere con essi al campo sul momento.
— Io non rifiuto — rispose attonito Giovanni Casimiro — poichè sarebbe difficile trovare un miglior condottiero. Per tener costoro al dovere occorre un cavaliere di grande ardire. Soltanto non voglio che andiate domani, ma quando si saranno cicatrizzate le vostre ferite.
— Io so, che non appena il vento soffierà intorno a me sul campo, la mia debolezza passerà, e mi ritorneranno le forze. Quanto ai Tartari, io li ridurrò molli come cera.
— Ma perchè tanta premura? Che cosa vi attira al campo?... — gli chiese il Re.
— Vi dirò tutto come ad un padre, — replicò Kmita. — Il principe Bogoslavio, non contento della calunnia che gettò su di me, ha preso Panna Billevich e l'ha confinata a Taurogi, e forse sta attentando al suo onore. Sire! la mia testa si confonde, quando penso in quali mani è caduta la povera donzella. Per la passione di Nostro Signore queste mie ferite non sono nulla a petto di tali pene. Ella crede in questo momento che io abbia davvero offerto a quel dannato di alzare la mano su Vostra Maestà... ed in cuor suo mi riguarda come il più vile dei miserabili. Io non potrò mai più vivere in pace, finchè non l'abbia trovata e liberata... È venuto il momento di battere il nemico, ed io servirò la causa di Vostra Maestà e della Repubblica servendo la mia, e raggiungendo un traditore che merita il più terribile castigo.
— Mi consta che Bogoslavio sta per muovere con Carlo Gustavo, da Elblang, — osservò il Re.
— Ebbene, io andrò ad incontrarli.
— Con quel distaccamento? Vi schiaccerebbero in un attimo.
— Hovanski, con ottanta mila uomini, non è riuscito a schiacciarmi.
— Voi andrete da Charnyetski, ma a Taurogi con sì poca gente non potrete andare. Radzivill ha dato tutti i castelli d'Jmud in mano al nemico, e dappertutto stazionano guarnigioni svedesi. Ma Taurogi, mi pare, è in qualche punto sui confini della Prussia?
— Precisamente sul confine dell'Elettorato, ma dalla nostra parte, a una ventina di miglia di Tyltsa. Maestà, credetemi, dovunque io mi mostrerò, il paese si solleverà contro gli Svedesi e noi li batteremo.
— Ma voi non pensate che forse i Tartari non vorranno venire così lontano con voi.
— Che si provino un po' a non volere! Che lo tentino soltanto! — disse Kmita digrignando i denti. — Io li farò impiccare tutti quanti. Non mancano alberi. Si provino a ribellarsi contro di me!
— Yandrek! — disse il Re sorridendo — per quanto m'è caro Iddio, non si può trovare miglior pastore di voi per quegli agnelli! Prendeteli, conduceteli dove meglio credete.
— Grazie, grazie, Maestà! — disse il cavaliere stringendo le ginocchia del re.
— Quando volete partire? — domandò Casimiro.
— Ebbene, prendete quest'anello; dite a Panna Billevich che l'avete avuto dal Re, il quale le comanda di amare costantemente il di lui fedelissimo difensore.
— Voglia Iddio concedermi, — disse il giovane eroe colle lagrime agli occhi, — che io non muoia se non nel difendere Vostra Maestà.
Alla fine il Re si ritirò, e Kmita si affrettò a ritornare nel suo alloggio per prepararsi alla partenza.
Sebbene alla mattina di quel giorno fosse ancora così debole, ora sentiva invece che le forze gli erano ritornate, e che avrebbe potuto montar a cavallo sul momento.
I servi avevano finito di preparare i bagagli e si disponevano a caricarli, quando ad un tratto qualcuno si fece a bussare adagio verso la porta.
— Va a vedere chi è, — disse Kmita ad un servo. Questi andò e tornò tosto, dicendo:
— Un soldato desidera presentarsi a Vostra Grazia.
— Per l'amor di Dio! fallo entrare subito, — gridò Kmita. E senz'aspettare che il servo eseguisse l'ordine, si slanciò egli stesso verso la porta.
Soroka entrò, e rammentando la disciplina militare, non si gettò ai piedi del suo colonnello, bensì rimase ritto dinanzi a lui, e disse:
— Eccomi agli ordini di Vostra Grazia!
— Che tu sia il benvenuto, camerata! — gridò Kmita commosso, stringendo fra le sue braccia il vecchio sergente come un caro amico.
— Donde vieni? — gli chiese finalmente.
— Da Chenstohova.
— E da chi sapesti che io ero vivo?
— Dagli uomini di Kuklinovski. Il priore Kordetski era fuori di sè per la gioia e celebrò una Messa di ringraziamento. Poi venne la notizia che Pan Babinich aveva condotto il Re attraverso le montagne; da ciò conobbi che si trattava di Vostra Grazia e di nessun altro.
— E come sapesti che ero venuto col Re a Leopoli?
— Io pensai che avendo condotto il Re attraverso i monti dovevate trovarvi presso di lui. Temevo soltanto di giungere troppo tardi e di non trovare più qui Vostra Grazia.
— Sia grazie a Dio che sono arrivato in tempo! — esclamò il vecchio soldato.
— Anch'io ringrazio Dio di avermiti mandato in questo momento, — disse Kmita. — Ora darò ordine ai servi di portarti da mangiare perchè tu sarai certo stanco ed affamato, poi parleremo. E rivolgendosi ai servi soggiunse:
— Animo, bricconi, date da mangiare a questo brav'uomo.
I servi si precipitarono l'uno dietro all'altro, e in un attimo posero davanti a Soroka un enorme piatto di salsiccie affumicate ed una bottiglia di Vodka10.
— Siedi, mangia! — gli comandò Kmita.
Egli intanto si mise a passeggiare; dopo alcun tempo mormorò:
— Non può essere altrimenti. È necessario che io lo mandi. Gli ordinerò di parlarle... No... ella non crederebbe. Ella non leggerebbe nemmeno una mia lettera, perchè mi crede un traditore. È meglio che egli non si presenti a lei, e vada solamente per riferirmi poi quello che succede colà.
— Soroka! — chiamò ad un tratto.
Il soldato balzò prontamente in piedi.
— Agli ordini di Vostra Grazia, — diss'egli.
— Tu sei un uomo onesto, e, occorrendo, anche astuto. Tu partirai per un lungo viaggio.
— Ai vostri ordini! — ripetè il sergente.
— Andrai a Tyltsa, sul confine prussiano, ove dimora attualmente Panna Billevich nel castello di Bogoslavio Radzivill. Ti informerai se il principe è là e farai attenzione ad ogni cosa. Non cercare mezzi per vedere Panna Billevich; ma se il caso ti facesse incontrare con lei, dille e giurale, che io ho condotto il Re attraverso i monti. Ella non ti crederà; perchè il principe mi ha diffamato con dire che io ho voluto attentare alla vita del Re, il che è una menzogna degna di lui.
— Ai vostri ordini.
— Dille tutto quello che sai. Guarda tutto, ascolta tutto. Ma sta bene in guardia per te, perchè se il principe ti riconoscesse, o ti riconoscesse qualcuno della sua Corte, ti farebbe impalare. Avrei mandato il vecchio Kyemlich, se non fosse all'altro mondo, e i suoi due figli sono troppo stupidi. Da Tyltsa andrai a Taurogi dove ti tratterrai finchè avrai visto e saputo tutto. Poscia verrai da me dove mi troverò. Domanderai dei Tartari e di Pan Babinich. E adesso va a dormire. Domani ti metterai in marcia.
Dopo queste parole Soroka uscì. Kmita stette ancora un pezzo senza coricarsi, ma finalmente la stanchezza lo vinse, e allora si lasciò cadere sul letto e dormì d'un sonno profondo e tranquillo.
La mattina seguente egli si alzò assai più in forza del giorno prima, e si pose subito in moto. Si recò anzitutto da Suba Gazi Bey, capo dell'ambasciata tartara, il quale, oltre ad un salvacondotto, gli diede il suo berretto, un bastone verde ed un pezzo di corda verde. Indi si recò dal Re che tornava appunto dalla Messa e si accommiatò da lui. Poi si portò, seguito dai due Kyemlich e dai suoi servi, sulla piazza dove era accampato Akbah Ulan col suo chambul11 e gli disse che il Re lo aveva mandato a prendere il comando del suo distaccamento.
Il volto del vecchio Tartaro si fece cupo e severo ed egli tentò di opporsi. Ma Kmita si pose in capo il berretto di Suba Gazi, trasse fuori dalla cintura il bastone verde e dalla tasca la corda.
Non appena Akbah Ulan vide quegli oggetti cadde ai suoi piedi toccando il suolo con la fronte.
Un'ora dopo i Tartari partivano in una lunga fila per la strada che da Leopoli conduce a Vyelki Ochi.
Leopoli era già scomparsa in distanza fra la bruma. I Tartari cavalcavano adagio avvolti come in un nembo di vapori prodotti dal fiato dei cavalli. Ad un tratto udirono il galoppo di cavalli dietro di loro, e dopo pochi minuti apparvero due cavalieri. L'uno era Pan Michele, l'altro il tenente Vansosh; entrambi, oltrepassato il chambul, corsero direttamento verso Kmita.
— Ferma, ferma! — gridò il piccolo cavaliere.
Kmita trattenne il cavallo. Pan Michele fermò pure il suo, e disse:
— Reco delle lettere del Re; una per voi, l'altra per il Voivoda di Vityebsk.
— Io vado da Pan Charnyetski, non dal Voivoda.
— Leggete la lettera, — soggiunse Pan Michele.
Kmita ruppe il suggello e lesse quanto segue:
«Apprendiamo a mezzo d'un corriere testè arrivato da parte del Voivoda di Vityebsk, che questi non può marciare per la Piccola Polonia, e retrocede verso Podlyasye, perchè il principe Bogoslavio, che non è col Re di Svezia, ha divisato di piombare da Tykotsin su Pan Sapyeha. E siccome questi deve avere una gran parte delle sue truppe in guarnigione, vi ordiniamo di accorrere in suo aiuto con codesti Tartari. E giacchè con ciò resta soddisfatto il vostro desiderio, non sentiamo il bisogno di sollecitarvi. L'altra lettera la consegnerete al Voivoda. In essa noi raccomandiamo Pan Babinich, nostro fedel servo, alla benevolenza del Voivoda, e sopratutto alla protezione di Dio.
— Per l'amor di Dio, per l'amor di Dio! Qual lieta notizia per me! — esclamò Kmita. — Io non so come ringraziare il Re e voi.
— Mi sono offerto io stesso di venire, — disse il piccolo cavaliere, — mosso da compassione per le vostre pene, e perchè le lettere vi giungessero più sicuramente.
— Quando è giunto il corriere?
— Mentre eravamo col Re a pranzo. La lettera di Pan Sapyeha recava un'altra brutta notizia. L'Elettore ha rotto tutti i suoi giuramenti, unendosi alla fine col Re di Svezia contro il suo legittimo Sovrano.
— Un altro nemico? Non bastavano quelli che vi sono stati finora! — gridò Kmita, congiungendo le mani. — Gran Dio! Almeno che Pan Sapyeha mi mandasse per una settimana in Prussia; e se Iddio misericordioso lo permette, vi dico che dieci generazioni si ricorderanno di me e dei miei Tartari.
— Forse vi andrete, — disse Pan Michele; — ma prima dovete sconfiggere Bogoslavio, perchè in conseguenza di tale tradimento dell'Elettore, egli è provvisto d'uomini ed autorizzato a recarsi a Podlyasye.
— Com'è vero che vi è un Dio in cielo, c'incontreremo! — gridò Kmita, i cui occhi lampeggiavano, — ed io lo sconfiggerò.
— Anche il Re disse tosto: «È una spedizione fatta apposta per Yendrek. — Il Re voleva mandarvi un suo servo ma volli venire io.
Kmita si chinò sul cavallo e strinse il piccolo cavaliere in un tenero abbraccio.
— Un fratello non mi avrebbe fatto quello che mi avete fatto voi! Dio mi conceda di potervi ringraziare meglio che colle parole!
— Vi aiuti Iddio! — disse Volodyovski, — e vendicate il tradimento dei Prussiani.
— State sicuro su questo punto, — replicò Kmita, — si ricorderanno di me!
I due cavalieri si abbracciarono di nuovo e si separarono.
Volodyovski e Pan Jendzian ripresero il cammino di Leopoli e Kmita fece divergere il suo chambul in sul momento, come un auriga fa girare il suo cocchio, e si diresse verso il nord.