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Quantunque i Tartari, e specialmente quelli della Dobrudja sapessero combattere valorosamente contro uomini armati in campo aperto, pure preferivano fare strage fra le indifese popolazioni, rapire le donne, far prigionieri gli uomini, e sopratutto, saccheggiare. La strada riusciva quindi noiosa ed amara a quel chambul comandato da Kmita, sotto la cui ferrea mano quei selvaggi guerrieri dovevano diventare agnelli. Alcuni tentarono di rimanere indietro e di ribellarsi, ma il giovane comandante li fece impiccare senza misericordia. L'esecuzione severa non sollevò nè odio nè malumore contro Kmita; era tale l'ascendente di quel soldato, che i suoi subordinati tanto più lo amavano quanto più lo temevano.
Egli s'inoltrava ora col suo distaccamento in un paese nel quale gli Svedesi non avevano mai potuto porre il piede; ma più innanzi dovevano passare in luoghi dove avevano stanziato guarnigioni nemiche che erano state poi cacciate dai confederati. Dappertutto incontravano grosse e piccole bande di contadini, che più d'una volta chiusero loro minacciosamente il passo, e ai quali riusciva difficile far comprendere, che avevano a che fare con amici e servi del Re di Polonia.
Arrivarono finalmente a Zamost. I Tartari rimasero abbagliati alla vista di quella poderosa fortezza: ma che cos'avrebbero pensato se avessero saputo che poco tempo prima quella fortezza aveva arrestato tutte le forze di Hmelnitski?
Pan Zamoyski, il comandante ereditario, permise loro, per un segno di speciale favore, di entrare nella città, la cui bellezza sorprese persino Pan Kmita, il quale si disse che ben poche città e ben poche fortezze potevano reggere al confronto con la città e la fortezza di Zamost.
Anche Pan Zamoyski piacque sommamente a Kmita. Egli era come un piccolo re in quella sua Zamost; un uomo nel vigore dell'età, di bella presenza, sebbene alquanto sciupato perchè non aveva saputo frenare a suo tempo gli ardori giovanili. Egli aveva sempre amato il bel sesso, tuttavia la sua salute non ne era stata scossa al punto da spegnerne la giocondità del carattere.
Benchè le famiglie più cospicue della Repubblica gli avessero spalancate dinanzi le porte, egli asseriva che non trovava in essa una fanciulla abbastanza bella per lui, e perciò non si era ammogliato. Ne aveva trovato una ultimamente, nella persona d'una donzella francese, la quale, sebbene innamorata d'un altro, gli avrebbe concessa la sua mano senz'esitazione, non prevedendo che il suo primo amante abbandonato, avrebbe adornato in avvenire il suo capo e quello di lei d'una corona reale.
Il comandante di Zamost non si distingueva per la prontezza dello spirito, quantunque ne avesse abbastanza per suo uso, ma era un uomo assai simpatico e piacevole.
E come egli piacque a Kmita, così Kmita piacque a lui; quindi invitò il giovane cavaliere nel suo castello e ve lo trattenne perchè ambiva che venisse esaltata la sua ospitalità.
Pan Andrea conobbe nel castello molte persone ragguardevoli, sopra tutte la principessa Griselda Vishnyevetski, sorella di Pan Zamoyski e vedova del grande Geremia.... quell'uomo, che a' suoi tempi era stato quasi il più grande della Repubblica, ed aveva perduta tutta la sua immensa sostanza al tempo della invasione dei Cosacchi, talchè la principessa era presentemente ridotta a vivere in Zamost della generosità di suo fratello.
Ma quella signora era così piena di grandezza, di maestà e di virtù, che il fratello era il primo ad inchinarsi dinanzi a lei. Non eravi caso in cui egli non ne soddisfacesse i desideri nè faccenda per la quale non si consigliasse con lei. La gente del castello diceva che la principessa governava Zamost, l'armata, il tesoro e il fratello; ma ella non voleva approfittare della sua preponderanza, e tutta la sua esistenza era consacrata a piangere il suo Geremia ed alla educazione del figlio.
Quel figlio era da poco ritornato dalla Corte di Vienna, ma solo per breve tempo, e conviveva colla madre. Era nella primavera della vita, ma invano Kmita ricercava in lui quei lineamenti che dovevano caratterizzare il figlio del gran Geremia.
Pan Andrea veniva per altro assicurato da coloro che godevano maggiore intimità col principe, che questi aveva un'anima nobile, un ingegno non comune, una memoria rara, grazie alla quale parlava quasi tutte le lingue, e che una certa pesantezza del corpo ed una certa avidità dei cibi erano gli unici difetti del giovane. Infatti, conversando con lui, Pan Andrea si convinse che era intelligentissimo, ma si convinse inoltre, al primo pranzo, della verità di quanto si diceva circa la ghiottornìa di Michele Vishnyevetski. Il giovane principe sembrava non pensasse più ad altro che a mangiare. Il volto della principessa, che pareva scolpito nel marmo, si oscurava sempre più per la collera.
Ma Zamoyski non si occupava nè del principe Michele, nè degli ospiti. Kmita ne seguì la direzione degli sguardi e allora vide dietro le spalle della principessa Griselda una fanciulla di una bellezza sorprendente.
La sua fronte era adorna di brune ciocche ricciute; ella girava gli occhi vivaci sugli ufficiali seduti vicino a Zamoyski senza trascurare Zamoyski medesimo. Alla fine quegli occhi si fermarono su Kmita fissandolo con insistenza.
Ma Kmita non era facile a confondersi: anzi, egli stesso si fece ad un tratto a guardare in quegli occhi con calma perfetta, quasi insolente, poi urtò nel fianco Pan Shurski luogotenente dello squadrone di corazzieri nel castello di Zamost, e gli domandò sottovoce:
— Chi è quella donzella?
— Panna Anusia Borzobogati, — rispose l'interpellato. — Tutti ne sono innamorati... persino Pan Zamoyski. Ella ci ha stregati tutti quanti e stregherà anche voi.
— Non mi stregherà, — replicò Kmita sospirando.
Egli si fece ad un tratto malinconico, perchè i suoi casi gli corsero alla mente, e non si accorse più che i neri occhi della bella fanciulla stavano più che mai inchiodati su di lui, come domandando: Come ti chiami? Donde vieni, bel cavaliere?
Kmita si liberò dalla sua preoccupazione, e disse:
— Come mai nessuno di voi s'indusse a sposarla?
Shurski si chinò all'orecchio di Kmita e disse con mistero:
— Dicono che ha venticinque anni e benchè tutti ne siano innamorati è ancora zitella. Chi sa mai perchè?
Dopo pranzo Zamoyski passò il suo braccio sotto quello di Kmita, e gli disse:
— Pan Babinich, voi mi avete detto che siete della Lituania?
— Sì.
— Conoscete i Podbipienta?
— Quanto a conoscerli, no, perchè non sono più al mondo. L'ultimo di essi cadde a Zbarai. Egli era il più gran cavaliere della Lituania. Chi di noi non conosce di fama i Podbipienta?
— Io pure ne udii parlare, ma domando per questa ragione. Vi è fra le damigelle di mia sorella una donzella di famiglia onorevole. Ella era la fidanzata di quel Podbipienta che rimase ucciso a Zbarai. È orfana di padre e di madre: siccome mia sorella l'ama assai, essendo io il naturale protettore di mia sorella, ho anche la fanciulla sotto la mia tutela.
— Una piacevole tutela, — osservò Kmita sorridendo.
— Un boccone ghiotto! — esclamò Zamoyski facendo schioccare la lingua.
Ma tosto s'accorse che si tradiva; assunse perciò un aspetto serio, e soggiunse:
— Quel Podbipienta che ella doveva sposare fece un testamento in suo favore. Egli deve avere dei parenti dalle vostre parti e mi hanno detto che era ricchissimo.
— Infatti, così si diceva, ma ora il paese è in mano al nemico.
— Consigliatemi a chi potrei colà affidare la causa di questa fanciulla.
— Il meglio sarebbe di rivolgersi a Pan Sapyeha — proseguì Zamoyski. — S'egli volesse incaricarsene, potrebbe far molto come Voivoda di Vityebsk e come l'uomo più ragguardevole della Lituania.
— Pan Sapyeha ha ora ben altro pel capo, — rispose Kmita.
— La donzella potrebbe essere affidata a lui ed avendola sotto gli occhi egli sarebbe più sollecito ad adoperarsi per lei.
Kmita guardò Zamoyski con meraviglia. — Che cosa può mai avere in vista col voler allontanare la fanciulla? — pensò fra sè.
Zamoyski continuò: — Sarebbe pericoloso per lei vivere nella tenda del Voivoda; ma potrebbe stare con le sue figlie, ma la difficoltà sta in questo. Come posso io mandarla da quelle parti in questi tempi torbidi? Occorrerebbero parecchie centinaia d'uomini di scorta ed io non voglio sguarnire Zamost. Se potessi almeno trovar qualcheduno che la conducesse! Ora, voi potreste ben prenderla con voi; voi andate appunto da Sapyeha. Vi darei delle lettere, e voi mi dareste la parola d'onore di recarla dal Voivoda sana e salva.
— Io condurla da Sapyeha? — disse Kmita meravigliato.
— Vi spiace l'incarico? Quand'anche v'innamoraste lungo il viaggio....
— Ah! — disse Kmita — un'altra già regna nel mio cuore.
— Tanto meglio: io posso confidarvela con maggior sicurezza.
— Ebbene, volete assumervi l'incarico? — chiese alfine lo Starosta.
— Io marcio con dei Tartari, — replicò Pan Andrea.
— Mi dicono che i Tartari vi temono più che il fuoco. Dunque? Volete o no?
— Eh! perchè no, se con ciò posso obbligare Vostra Grazia? Ma...
— Ah! voi pensate che ci vuole il permesso della principessa... Lo darà, perchè ella... figuratevi... ella sospetta...
Qui lo Starosta bisbigliò qualcosa nell'orecchio di Kmita; poi disse forte:
— Ella andò in collera con me, ma io feci orecchio da mercante. Le darò in tal guisa la miglior prova che non macchino nulla di male. Ne sarà stupita, è vero, ma acconsentirà. Alla prima occasione gliene parlerò.
Detto questo, Zamoyski si volse e uscì. Kmita, guardandolo, mormorò:
— Voi preparate qualche gherminella, mio caro, e quantunque io non ne comprenda ancora lo scopo, vedo chiaramente di che si tratta perchè voi siete un malaccorto.
Zamoyski era soddisfatto di sè stesso, quantunque comprendesse bene che la cosa era fatta solo a metà e ne rimaneva la parte più difficile. Egli doveva sollecitare il permesso dalla principessa Griselda, la cui severità e penetrazione gli riempivano l'anima di paura. Ma si fece animo, e la mattina successiva, dopo la Messa, si recò nelle camere della principessa.
Egli trovò la dama che ricamava una pianeta. Dietro a lei stava Anusia intenta ad aggomitolare della seta.
Gli occhi di Zamoyski scintillarono alla vista della ragazza, ma fu pronto nell'assumere un'espressione seria, e, riverita la principessa, cominciò come a malincuore:
— Quel Pan Babinich che è venuto qui coi Tartari è un Lituano... ma è uomo di gran valore ed un perfetto cavaliere. Io l'ho interrogato circa quelle proprietà lasciate a Panna Borzobogati. Egli dice che è una ricchezza quasi uguale a quella dei Radzivill.
— Tanto meglio per Anusia; la sua condizione d'orfana le sarà meno crucciosa, la sua vecchiaia sarà più felice, — replicò la dama.
— Ma vi è pericolo che i parenti lontani se ne impossessino. Babinich dice che Sapyeha potrebbe occuparsene, se volesse. Egli è un onest'uomo e grande amico nostro. Io non esiterei a confidargli anche mia figlia. Basterebbe per lui mandare i documenti necessari ai Tribunali. Ma Babinich sostiene che è necessario che Panna Anusia si trovi in persona da quelle parti.
— Dove?... presso Pan Sapyeha?
— O presso le figlie. Basta ch'ella si trovi sul luogo, e possa stabilirsene la formale dichiarazione di domicilio.
Lo Starosta inventava in quel momento la «formale dichiarazione di domicilio» pensando giustamente, che la principessa avrebbe accettata per buona quella scusa. Ella riflettè alquanto, poi disse:
— Come potrebbe ella andare adesso mentre gli Svedesi occupano le strade?
— Io ho avuto notizia che gli Svedesi hanno lasciato Lublino. Tutta questa parte della Vistola è libera.
— E chi condurrebbe Anusia a Pan Sapyeha?
— Supponiamo questo stesso Babinich.
— Coi Tartari? Caro signor fratello, sono selvaggi...
— Io non ho paura, — sorse a dire Anusia in tono risoluto.
Ma la principessa Griselda aveva già notato che suo fratello aveva un piano prestabilito; quindi, fatta uscire Anusia dalla camera, cominciò a fissare suo fratello con sguardi penetranti, e disse:
— Quali ragioni avete voi di mandarla via da qui?
— Che ragioni ho? — risposegli abbassando gli occhi, — che ragioni posso avere?... nessuna!
— Giovanni, voi avete cospirato con Babinich contro la sua virtù.
— Ah! per Dio! questo ci mancherebbe. Leggerete la lettera che io manderò a Sapyeha e mi darete la vostra. Dirò semplicemente questo che io non lascerò Zamost. Finalmente chiedete a Babinich voi stessa se egli è pronto ad assumersi l'incarico. Dal momento che mi sospettate, io non me ne occupo altrimenti.
— Ma perchè insistete a che ella si allontani da Zamost?
— Per il suo bene. Notate che si tratta d'una sostanza immensa. D'altra parte, vi confesso che preme a me molto che Anusia lasci Zamost. I vostri sospetti mi riescono sempre più fastidiosi. Vi dirò di più; i miei ufficiali si guardano in cagnesco l'un l'altro, e si minacciano ad ogni momento in causa dei suoi begli occhi. Io ne ho abbastanza. Fate come credete; ma state attenta a Michele, perchè questo non à affar mio.
— Michele!... — esclamò attonita la principessa corrugando la fronte e impallidendo visibilmente.
Pan Zamoyski, vedendo che alla fine era riuscito a colpire sua sorella nel punto debole, soggiunse:
— Signora sorella, è così. Che importa a me del resto? Lasciamo che Michele sussulti ed arrossisca, quando la guarda. Se non avete nulla in contrario voi... Essi non sono nemmeno della stessa età... ma, come ripeto... non è affar mio.
Zamoyski si alzò, ed inchinatosi cortesemente si mosse per uscire.
Il sangue affluiva al volto della principessa. L'orgogliosa donna non vedeva in tutta la Repubblica un partito degno dei Vishnyevetski; nè fuori della Repubblica, nè fors'anche fra le principesse d'Austria; quindi quelle ultime parole di suo fratello la bruciarono come se l'avessero toccata con un ferro rovente.
— Giovanni, — disse, — attendete un momento!
— Signora sorella, — replicò Zamoyski fermandosi, — io volli darvi una prova che mi sospettavate ingiustamente, e farvi intendere che dovete sorvegliare qualchedun'altro. Adesso fate come vi pare. Io non ho più nulla da dirvi.
E Pan Zamoyski s'inchinò ed uscì.